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Riflessioni per l’Italia

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Spesso nella vita delle nazioni e di popoli vi sono momenti che ci costringono a guardare con occhi diversi alla nostra piccola storia e a reinterpretare con sentimenti meno pervasi da certezze la grande storia, quella del Paese. Tuttavia, sono proprio le emergenze, quell’imprevisto che mette in discussione ogni nostra sicurezza o rendita ritenuta acquisita forse per abitudine che ci ricorda che non ci sono valori universali e conquiste di diritti senza una continua, costante, difesa di quanto ci ha distinto nel tempo.
In questo l’Italia di certo ha dimenticato cosa è stata, pur con mille difficoltà, cosa sarebbe dovuta essere e cosa non è divenuta rischiando di arretrare ogni giorno per colpa di un malinteso senso della politica o, meglio, di una politica espressa in mala fede e rivolta solo a aumentare prestigi effimeri di chi ne ha fatto un affare ai danni dei cittadini, di ogni classe e di ogni orientamento.
Ricostruire il Paese significa definire un modello nuovo di nazione che riprenda in mano le redini di un’economia produttiva che rimetta in moto le piccole imprese alle quali non solo va data fiducia, ma resa giustizia.
Imprese cui andranno supportati gli sforzi con un accesso alla tecnologia non semplificatrice ma di scopo, oltre che attraverso misure finanziarie che vedono nella defiscalizzazione degli utili reinvestiti e nella flessibilità del lavoro, a occupazione data, le ricette più semplici ma più immediate per favorirne il rilancio e la competitività in settori dove l’Italia emerge: quei prodotti di nicchia ad alto valore aggiunto che nessuno sforzo tecnologico di omologazione del know how potrà sostituire.
Piccole e medie imprese messe in rete e con un mercato del lavoro flessibile ma garantito nella collocazione, costituirebbero quel tessuto connettivo che nessuna grande industria potrebbe fare. A questo si aggiungerebbe la sfida di un’offerta turistica multistagione realizzata nella capacità di mettere le regioni all’interno di progetti di una politica turistica che faccia della diversità dell’offerta il suo carattere distintivo attraendo a se domande diverse di ospitalità e di attività ludico-culturali che coinvolgono tutto lo spettro dell’ospitalità italiana.
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Ogni possibile crescita futura dovrà contare su uno spirito solidaristico e cooperativo che faccia della difesa della identità non una barriera ma un valore condiviso inclusivo nel rispetto dei valori comunitari e nella volontà di chi decide di essere italiano di condividerne principi e stili di vita nel rispetto della cultura di cui questi possa essere portatore. Inoltre, diventa necessario stabilire modi e termini di una pace fiscale tra Stato e contribuenti, tra pubblico e privato, tra chi ha certezza di stipendio e chi si affida alla costruzione di un reddito con lavori autonomi.
In un’economia sempre più interdipendente e che non lasci spazi a immunità di rendita e di accesso ai servizi, la pace fiscale diventa pace sociale. Diventerà, così, necessario stabilire modi e termini di una pace fiscale tra Stato e contribuenti, tra pubblico e privato, tra chi ha certezza di stipendio e chi si affida alla costruzione di un reddito con lavori autonomi.
In un’economia sempre più interdipendente e che non lascia spazi a immunità di rendita e di accesso ai servizi la pace fiscale, infatti, diventa pace sociale. Ma non solo. Al di là delle posizioni di difesa o meno dell’euro, la necessità di rilanciare l’Italia in Europa risiede nella volontà di ridurre la morsa degli interessi a debito con un concordato tra Ue e Italia, condizionato alla permanenza dell’Italia stessa nell’aggregazione continentale.
Una condizione che sarebbe dimostrazione di buona volontà ma, anche, decisione nel voler di rinegoziare un controvalore euro/lira per ottenere, a redditi dati, un aumento del potere di acquisto dei salari e degli stipendi degli italiani. Una condizionalità che non sarebbe velleitaria per un Paese che si è posto tra i primi nel credere alla scommessa continentale e che non può retrocedere ad essere una semplice comparsa.
Rilanciare l’Italia significa dare spazio al merito, collocare la dialettica politica all’interno di un quadro di servizio e non di potere e definire termini e modi per aiutare i più deboli ma non favorire i più furbi. Aprire la carriera alle professioni legali in magistratura e chiudere ogni casta nelle Istituzioni dello Stato.
Significa realizzare una solida politica interna, una equilibrata e equipartecipativa politica economica e fiscale e una politica estera più assertiva sia nella partecipazione nella comunità atlantica che nel Mediterraneo. Significa far sì che l’Italia diventi, finalmente, ciò che non è mai stata sino ad oggi: protagonista in un mondo che cambia e riferimento per i popoli a noi prossimi!