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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 16 MAGGIO 2024

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Richiamare nel cuore L'avvocato Giuseppe d'Agostino ricorda l'amico Giancarlo Giusti

Richiamare nel cuore L'avvocato Giuseppe d'Agostino ricorda l'amico Giancarlo Giusti
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di Giuseppe d’Agostino


 

Conobbi Giancarlo Giusti nel settembre del 1980, il primo giorno di scuola del primo anno delle superiori, che allora si chiamava “quarta ginnasio”. Tutti fecero a gara per sedersi nello stesso banco con il compagno delle scuole medie o almeno con un compaesano. Per quanto ricordi, gli unici che non fecero a gomitate e restarono “spaiati” fummo io, taurianovese, e Giancarlo, cittanovese; cosicché divenimmo compagni di banco.
Battibeccavamo spesso, anche aspramente, sul calcio: io interista lui juventino, sulla politica: lui di sinistra io di destra. Perfino i gusti musicali ci trovavano in disaccordo: Giancarlo era un vero appassionato di Pino Daniele, che io, all’epoca, trovavo noioso.
Ebbi la fortuna-sfortuna di essere nello stesso banco con il più bravo della classe. Giancarlo era uno che si poteva invidiare. Non era il prototipo dei migliori della classe che sgobbano sui libri ma sono poi impacciati nella vita di relazione, cosa che conforta i meno studiosi. Giusti era studioso ed intelligente, scaltro, coraggioso, capace di fare a botte, se necessario, anche con quelli più grossi di lui. Fu lui ad insegnarmi a giocare a scacchi.
Ricordo che un’estate, durante un giro in bicicletta insieme ad altri compagni, proposi di entrare dentro una casa che si diceva infestata dai fantasmi, davanti alla quale stavamo passando. Lui fu l’unico che accettò l’invito e si addentrò con me in quella casa abbandonata. Aveva paura tanta quanta ne avevo io mentre salivamo al piano di sopra attraverso quelle strette scale, ma il coraggio non è assenza di paura (quella è follia), il coraggio è la forza di controllare la paura. Il nostro coraggio finì quando la porta in cima alle scale, fino ad allora spalancata, si chiuse sbattendo rumorosamente allorché vi giungemmo davanti. Sicuramente fu il vento a farla sbattere, ma non avemmo il tempo di rifletterci nei due secondi successivi in cui volammo per le scale e ci tuffammo fuori attraverso una finestra.
L’ultima volta che facemmo una passeggiata insieme fu quando eravamo all’università. Studiavamo giurisprudenza in due diversi atenei. Era l’estate del primo anno d’università, ci incontrammo a Taurianova, durante la festa della Madonna della Montagna. Io, come tutti, avevo dato le materie romanistiche, lui, il solito Giusti, aveva dato già diritto privato. Chiacchierammo del più e del meno, dei vecchi compagni, del presente e del futuro che immaginavamo.
Poi passarono anni in cui ci incontravamo saltuariamente, magari a Cittanova, durante la festa di San Rocco, e ci salutavamo al volo.

Ci ritrovammo da adulti nelle aule dei tribunali, lui giudice ed io avvocato. L’indole di entrambi ci induceva a far quasi finta di non conoscerci. Non perché gli altri ammalignassero, ma perché io non volevo che lui credesse che mi aspettassi trattamenti da amico e lui non voleva che io, eventualmente, pensassi che mi aveva trattato da amico.
Qualche parola la scambiammo nelle pause. Poche, quasi con imbarazzo.
Mi colpì che tenesse la penna dentro un borsellino di quelli che si usano a scuola. Sembrava il solito Giusti di sempre. D’altronde neppure il suo aspetto era cambiato granché.
Quello che ricordo io è soprattutto il Giancarlo Giusti dell’adolescenza e magari chi lo ha conosciuto dopo e anche meglio ne avrà un ricordo completamente diverso.
Per conto mio posso dire che aveva tutte le qualità per ottenere senza avere regali.
Nei procedimenti in cui ho avuto a che fare con lui ho visto un giudice competente, esigente ed equo.
Nel merito della vicenda che gli è costata la vita non voglio e soprattutto non posso entrare, considerati i pochi dati di cui ho cognizione. Potrei dire genericamente che ho visto molti, troppi, processi in cui si giudica quel che potrebbe essere più che quel che, al di là di ogni ragionevole dubbio, è.
Ad averlo ucciso, di questo sono certo, è stato lo scempio della vita privata, delle proprie debolezze buttate in pasto all’opinione pubblica.
Lo puoi assolvere un giudice che ha dato tanto discredito alla magistratura? Forse Giusti non ha commesso i reati contestati, ma andava a donne. Lo stesso giorno in cui fu arrestato ci furono altri arresti eccellenti. Chi tra i lettori li ricorda? Lì non c’è da temere suicidi: non si è saputo che andassero a cercare sesso a pagamento, nessuno li ha sputtanati su vizi privati. Forse Giusti ha commesso i fatti di cui era accusato, ma se non ci fosse stata qualche prostituta di mezzo, pochi lettori ricorderebbero la vicenda.
Se avesse potuto contare su una maggiore discrezione, avrebbe potuto attendere con più serenità l’esito della vicenda a suo carico e, magari, un po’ di serenità in più l’avrebbero avuta anche i suoi giudici nel giudicarlo.
Non l’ha ucciso la sentenza della cassazione, aveva già tentato prima di farla finita. Ed è scellerato tenere agli arresti domiciliari un uomo che vive da solo e ha già tentato il suicidio.
Mi rattrista e addirittura spaventa il solo immaginare l’abisso di solitudine su cui si è affacciata la sua anima.
Al di là delle polemiche che a stento riesco a soffocare, comunque, voglio solo ricordare un amico. “Ricordare” deriva etimologicamente dal latino, che così bene conosceva Giancarlo, re– indietro, cor cuore: richiamare nel cuore. Richiamare nel cuore il mio amico Giancarlo; ricordare il Giudice Giusti.