Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il dodicesimo
“Rosso”, ecco il dodicesimo capitolo del libro di Mario Aloe
Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il dodicesimo
LECCO, VIA ROMA ORE 23:00
Rientravano in albergo, stretti l’una all’altro, ed intenti a se stessi: sulla strada nessuno.
Sentirono la macchina avvicinarsi dal nulla a fari spenti. La velocità del mezzo aumentava sempre di più. Loro erano prossimi al marciapiede e con uno scatto riuscirono ad evitare l’auto, una Renault Clio di colore blu.
Erano finiti a terra in preda allo spavento.
«Bastardo, per poco, la nostra romantica vacanza sarebbe finita in ospedale e, nemmeno, nella stessa stanza».
Cercava di rassicurarla.
«Non ho mai capito questa separazione netta dei sessi: il modello è quello delle carceri, uno per le donne e un altro per i maschi. Si vuole punire la promiscuità causa del male e, di conseguenza, di qualsiasi malattia. Sebbene il 2000 siamo rimasti con la testa nel medioevo».
«Totò, l’abbiamo scampata per un pelo; l’autista era ubriaco o eravamo distratti e non ci siamo accorti del sopraggiungere dell’auto. Lo stronzo non si è nemmeno fermato per accertarsi se aveva causato danni, se stavamo bene. Esistono delle persone così… così codarde da non assumere responsabilità, di scappare da esse».
«La strada era libera, nessun altro pedone o mezzo nelle vicinanze, ma la macchina non ha sterzato, provato a rallentare, non ha cercato di evitarci. Vogliono farmi paura. C’è qualcosa che non va! Mi dispiace di averti portata con me, potevano farti del male e la colpa sarebbe stata tutta mia».
«Se avevano intenzione di investirci potevano farlo tranquillamente e senza sbagliare: esageri e ti preoccupi eccessivamente. Quante volte devo ripetertelo: io non ti seguo, caro il mio eroe, ti accompagno». I suoi occhi luccicavano d’orgoglio. «Scelgo io cosa fare e sono responsabile di me stessa, in grado di badare a me stessa.
«Sì, potevano metterci sotto, può essere un avvertimento
o un caso fortuito. Dopo il colloquio con Lagherio – sono in fibrillazione – ho avuto la certezza di un “intrigo internazionale”, una dimensione dei fatti, diversa e preoccupante, in cui è possibile immaginare di tutto. Molti scappano dopo un incidente, il nostro autista può essere uno di questi tipi».
La donna lo baciò, prima piano e, poi, appassionatamente: lo scampato pericolo aumentava la loro eccitazione.
Il sabato lo avevano trascorso sul lago: una gita con la motonave Concordia, una vecchia nave del 1926, caratteristica per la sua propulsione a ruota.
Il lago, una ipsilon rovesciata, era una continua sequenza di panorami mozzafiato, luoghi incantevoli e pieni di storia, un piccolo mare circondato da montagne, che trasmetteva l’impressione della navigazione in un fiordo.
L’articolo era stato spedito nel tardo pomeriggio, Un intrigo internazionale, mafie e servizi segreti nel commercio illegale di rifiuti tossici e sarebbe apparso, il giorno dopo, quasi sicuramente, sulla prima pagina.
Un punto di arrivo della storia, ma, nello stesso tempo, una nuova stazione di partenza da cui partire per raccogliere testimonianze e fatti e individuare responsabilità. Occorreva passare ai nomi, dare la dimensione dei ruoli giocati dai personaggi nel malaffare.
La giornata era stata piena e radiosa:. tante parole, dense di significato, erano state scambiate, insieme a sguardi e carezze. Una lunga confessione a due voci, un disvelarsi, che apriva l’animo e rendeva leggeri, mentre metteva in sintonia i loro cuori allontanando le incertezze.
Si fermarono per la notte a Bellagio, la perla del lago.
I fiori, le ville, gli alberghi appartenevano ad un’altra Italia. La cura del particolare faceva risaltare l’ordine delle cose trasmettendo una sensazione di benessere: si poteva stare tranquilli, nulla sarebbe successo di imprevisto a turbare l’esistenza delle persone.
Erano usciti di buon mattino a comprare i giornali, nazionali e regionali, e si erano fermati a fare colazione su un terrazzino da dove lo sguardo spaziava sulle montagne e si perdeva, lontano, sulle acque del Lario. Gli occhi della donna
si posarono sulla foto di un uomo e il titolo del quotidiano, poco sopra annunciava: Morto nella macchina con un colpo di pistola in testa.
«Strano, mi sembra di conoscere questa persona, dove l’ho visto? È stata una visione fugace, ma il suo volto l’ho già visto. È l’autista della macchina che voleva investirci. Più lo guardo e più ne sono sicura: sì è lui».
«Chiara – Salvatore si era avvicinato con la sua sedia per vedere meglio – ne sei sicura? Io non ho guardato e non ricordo niente, leggi l’articolo, sentiamo che dicono: può essere un suicidio».
«Uomo, dall’apparente età di 35 anni, è stato ritrovato morto in una Clio di colore blu. La causa del decesso è dovuta ad un colpo di pistola sparato alla tempia destra da distanza ravvicinata. L’identità del morto non è stata accertata in quanto non è stato trovato nessun documento di riconoscimento. La macchina, invece, era stata rubata nei giorni precedenti a Varese come risulta dalla denuncia del proprietario. Da indiscrezioni da noi raccolte sembrerebbe che il colpo sia stato esploso da distanza ravvicinata da una pistola, munita di silenziatore».
La donna si arrestò, non c’era altro da aggiungere.
«È lui e la sua morte fa luce anche sull’incidente. Volevano investirci e non solo farci male o impaurirci, penso proprio che il loro obiettivo era quello di tapparci la bocca. Cara, ho messo il naso in un vespaio e ho suscitato un casino dalle conseguenze incalcolabili e loro hanno liberato i sicari sulle nostre tracce».
«Dobbiamo parlarne con la polizia, denunciare quello che ci è accaduto e dire dell’uomo…».
«Aspetta, fammi finire». Totò la interruppe subito voleva continuare, narrarle l’incontro alla stazione ferroviaria.
«A Milano, prima che tu arrivassi, mi ha fermato una persona, un israeliano, una spia. Sapeva tutto delle mie ricerche: chi ero, dove andavo, sapeva anche di te e mi ha raccontato di traffici di uranio verso i paesi arabi, di un aereo abbattuto. Non ho creduto a niente, anzi ho pensato che volessero portarmi su una falsa pista, lontano da Lecco e da Lagherio. Mi
sbagliavo ed adesso il gioco si è scoperto: sono al centro di un intrigo internazionale ed ho trascinato anche te nel gorgo».
La donna lo ascoltava preoccupata e gli stringeva forte la mano.
«Al mio rifiuto di collaborare mi ha assicurato che nessuno sarebbe riuscito a torcerci un capello, a me e a te: è stato di parola. Davide ha detto di chiamarsi».