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Polistena, infanzia negata “In nome di Dio e della Patria”

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di Giuseppe Campisi

Polistena – Se la fine del franchismo ed il conseguente ritorno alla democrazia in Spagna è stato un percorso lungo e difficile che ha visto nel 1978 l’anno della svolta è pur vero che solo quarant’anni dopo gli spagnoli ebbero la forza di prendere coscienza del dramma che la sua gioventù aveva vissuto anche ben oltre gli anni bui del regime. Lo racconta benissimo Piero Badaloni, scrittore e noto giornalista televisivo Rai, nel suo intenso libro “In nome di Dio e della Patria” presentato ieri sera a Polistena su iniziativa dell’Associazione Culturale Girolamo Marafioti presieduta dall’instancabile Piero Cullari, che ha tenuto a ricordare la vocazione culturale della città, e dall’amministrazione comunale, con la presenza del sindaco Michele Tripodi, che ha sottolineato l’importante lavoro di ricerca dell’autore (durato ben 4 anni, nda) cimentatosi con un tratto di storia non limpida che «abbiamo il dovere di non dimenticare».

Una storia cupa ed intricata che ha chiamato in causa non solo la dittatura di Franco ma anche la complicità inspiegabile di medici ed alcuni ordini religiosi spagnoli che hanno avallato le malefatte del sistema pronto a strappare, secondo i criteri scellerati di una ideologia malata, i figli alle madri dissidenti per consegnarli alle coppie sterili del regime. Vicende che affondano le radici all’inizio del secolo scorso con l’attecchimento del potere dittatoriale in Spagna e che solo apparentemente cessano con l’affaccio del corso democratico nel 1978 ma che invece riemergono in tutta la loro drammaticità quando nel 2008 il governo Zapatero approva una legge per «recuperare la memoria storica dei fatti» ha spiegato compiutamente il giornalista. Due gli avvenimenti dirompenti nelle storie raccontate da Badaloni: il rinvenimento di oltre 200 fosse comuni con oltre 130 mila dissidenti (argomento trattato nel saggio precedente “Una memoria squilibrata”, nda) ed appunto le tragiche vicende dei bambini “rubati” alle famiglie dei dissidenti (300 mila, e per difetto, nda), molto spesso carcerate prima che sterminate, e consegnate quasi fossero un dono a quelle franchiste quale premio della loro fedeltà al regime. Una sorta di epurazione che, nella propaganda franchista, aveva anche lo scopo di salvaguardare queste giovani vite dalla contaminazione del dissenso per crescere nel culto del governo al potere, senza condizionamenti fuorvianti.

E tutto questo in cambio di soldi o favori per il sostegno dato al generalissimo durante il colpo di Stato con la colpevole complicità di medici e sanitari che venivano pagati per mentire, spesso con la ancor più ignobile connivenza di alcuni ordini religiosi convinti di agire “in nome di Dio e della Patria”. «Scheletri tirati fuori dall’armadio a distanza di quarant’anni e che non sono poi tanto diversi dalle malefatte naziste e fasciste» ha concluso Badaloni che ha insisto sul dovere per i giornalisti di non tenere nascosta la verità «di salvaguardare questa memoria storica, specie nelle scuole» soprattutto per evitare pericolosi scivoloni negazionistici.