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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 29 APRILE 2024

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Perchè Matteo Renzi non piace?

Perchè Matteo Renzi non piace?

Editoriale di Bartolo Ciccardini

Perchè Matteo Renzi non piace?

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Aldilà di tutte le critiche possibili e legittime che si possono fare a
Matteo Renzi, ho notato un pregiudizio profondo nei suoi confronti che non
finisce di stupirmi.

Renzi negli ambienti della sinistra estrema, ma anche nella parte più
archeologica del suo stesso partito, nelle critiche della destra più
profonda, come nelle ingiurie dei leghisti e dei grillini, viene considerato
l’ultimo frutto della pianta che dette origine a Berlusconi, a Craxi ed a
Mussolini.

Vorremo darci una spiegazione razionale di questa che non può essere
soltanto una allergia primaverile di queste settimane.

(Come antipasto citiamo un articolo autocritico della Repubblica che si è
distinta nella critica preconcetta a Renzi che richiama tutti ad un giudizio
più razionale. Lo troverete cliccando:
http://www.camaldoli.org/2014/04/qualcosa-di-sinistra-di-guido-crainz/).

Ma noi vorremo andare aldilà delle vicende politiche quotidiane. Ed
esaminare la faglia profonda che divide il Partito Democratico e
coinvolge tutta la sinistra e gran parte della destra. Io ritengo, infatti,
che questa reazione allergica sia determinata da un problema irrisolto della
nostra cultura politica: si tratta della morte del concetto ideologico di
partito che fui il motore delle vicende politiche dai tempi della
Rivoluzione Francese ad oggi. La non accettazione della morte del “partito
ideologico” è la ragione di fondo di questa crisi. Non è possibile trattare
qui in un editoriale la storia ed il significato della ” idea-partito”. Ma
pur tuttavia bisogna accennare alla sua importanza.

L’opinione pubblica della vita politica nasce nella Gran Bretagna
costituzionale del 1700 assieme alle teorie economiche del liberismo ed
assieme al pragmatismo utilitaristico di quel sistema politico fondato sulla
rappresentanza parlamentare. Ma è in America che l’opinione pubblica nelle
sue forme organizzative assume grande importanza in una società politica
molto più agile perché disponeva di grandi spazi. Ed il Tocqueville che nel
suo viaggio in America individua questa differenza della società americana,
molto pragmatica, viva e, come oggi diremmo, liquida. E la chiama
“democrazia”.

Jefferson, ambasciatore della nuova repubblica americana a Parigi, insegna
alla curiosa società libertina francese il concetto della opinione pubblica
organizzata. Questo concetto si trasformerà in dibattito politico, darà
luogo ai club giacobini, che presto si trasformeranno in partiti.

I partiti saranno per tutto il secolo XIX saranno il collegamento fra
l’opinione pubblica e la rappresentanza parlamentare. In un’Europa dove gli
spazi sono più ristretti, dove le caste aristocratiche e le aristocrazie
borghesi sono più solide, il partito assume una forma ideologica. A questo
contribuiscono tutti gli studi politici di quel secolo, compreso il più
importante di essi, il Marx del Manifesto del ’48.

L’esempio più classico del partito moderno è la socialdemocrazia tedesca,
che alla fine del secolo XiX ed agli inizi del XX fu la speranza
progressista di Europa.

La socialdemocrazia tedesca, con le sue correnti dottrinarie, con la sua
ideologia e con le sue eresie, è la madre di tutti i partiti europei.
Costituisce un modello organizzativo che si diffonde in tutta l’Europa, dove
Questa nuova forma di aggregazione simile ad un ordine religioso si collega
con le teorie strategiche militari di Carl von Clausewitz. Ma sarà Lenin,
dopo il terremoto della Prima Guerra Mondiale che distrugge gli imperi
europei, a realizzare l’idea del partito come ordine religioso-militare, con
la sua strategia e la sua tattica. Il partito è l’avanguardia della classe
proletaria che libererà l’umanità e la maggioranza del partito (bolscevico
in Russia significa maggioranza) esprime un esecutivo che ha il crisma ed il
privilegio di essere dalla parte della storia.

Nascono così i partiti totalitari il Partito Comunista (bolscevico), quello
fascista lodato da Lenin, e quello nazista che porta alle estreme
conseguenze la creatura dello stimato maestro Mussolini. Quello che Papa
Giovanni Paolo chiamerà il “male assoluto”.I partiti totalitari distruggono
l’Europa.

M, nel tempo in cui mantengono il potere, ed in modo particolare il Partito
Fascista in Italia riescono a realizzare la “nazionalizzazione delle masse”.

Il partito totalitario riesce, con metodi totalitari, a portare nella
dimensione statale le masse che ne erano escluse. Con il cinema, con l’Opera
Nazionale Balilla, con il Dopolavoro, i Sindacati e perfino le Massaie
rurali,penetra profondamente nella vita sociale, creando condizioni nuove
per i risorti partiti democratici.

I partiti democratici che rinascono dopo la caduta del fascismo non sono più
quelli del periodo liberale. Innanzitutto sono partiti nati in clandestinità
che durante la Resistenza danno vita a formazioni militari vere e proprie.
Essi raggiungono con la Costituzione un grande compromesso storico che fonda
la democrazia su concetti comuni che restano un grande esempio di progetto
democratico. Ma ereditano dal fascismo la nazionalizzazione delle masse. La
Democrazia Cristiana eredita le confederazioni degli artigiani, dei
commercianti, e dei coltivatori diretti. Il Partito Comunista eredita il
radicamento dei sindacati fascisti. Il sistema plurale dei partiti,
garantito da una legge elettorale proporzionale eredita il sistema bancario
nazionalizzato dai fascisti, ed il sistema industriale organizzato nell’IRI.
La democrazia è una democrazia di partiti.

Di fronte a questi partiti ci leviamo il cappello. Si armarono per ridare
un’anima ad un Paese tragicamente distrutto, trovarono un’intesa nella Carta
Costituzionale, attraverso un bipartitismo imperfetto che non prevedeva
l’alternativa, costruirono la quinta potenza industriale del mondo. Chapeau!

Il miracolo agli inizi degli anni ’70 è compiuto, ma era naturale che subito
dopo si cominciasse a parlare di crisi della partitocrazia.

(Quest’anno, in alcune occasioni speciali, parleremo della Resistenza non
organizzata dai partiti, per ricostruire il contributo della società
italiana non militarizzata ed i suoi valori. Parleremo del tentativo di
Labor di superare il collateralismo delle forze sociali assoggettate dai
partiti, che non trovavano più spazio nella partitocrazia. Parleremo dei
tentativi di riforma delle leggi elettorali della Costituzione per lasciar
crescere una società che i partiti soffocavano. Sarà utile farlo).

Un possibile riforma in senso “liberal” della partitocrazia fu bloccata dal
decennio di piombo: quella che avrebbe potuto essere una crescita ordinata,
attenta e fantasiosa, divenne una ribellione anarchica, distruttiva ed
assetata di sangue. La crisi si trascinò così nell’impotenza politica e
nell’aumento incontrollato del debito pubblico.

I partiti ideologici europei morirono con la caduta del muro di Berlino. La
crisi del comunismo segnò la fine dell’ultimo partito totalitario e
l’America, madre della democrazia politica senza partiti ideologici, potè
cantare vittoria. Il partito totalitario del ‘900 esiste ancora, come
reperto archeologico che viene adattato ad altre funzioni, conservato nel
museo cinese.

L’Italia diventa un campo di sperimentazione. Il Partito Democratico nasce
come partito che eredita diverse culture politiche non più ingessate in
forme di organizzazione politica rigide. Prodi, aiutato dalla fantasia di
Veltroni e dalla pignoleria di Parisi, crea un’organizzazione politica
aperta alla società civile, l’Ulivo, che introduce le primarie come metodo
nuovo del rapporto fra società civile ed organizzazione politica. Questa
rivoluzione è ancora in corso e Prodi viene tuttora conservato in
frigorifero come ultima soluzione possibile. Ma l’ultimo frutto della crisi
dei partiti ideologici, frutto nato dall’esperimento delle primarie, è
Matteo Renzi.

Non ha l’altezza di Prodi, non ha la sensibilità di Veltroni, non ha
l’acutezza di Parisi, ma si muove istintivamente come un giovane che è nato
in un’epoca diversa. E provoca un fenomeno rigetto, contrario alle nuove
forme democratiche più che a lui. Il vecchio organismo rifiuta con tutte le
sue forze il trapianto. Questa è sola spiegazione che si può dare ai
singolari e per molti versi strani pregiudizi che si sono rovesciati sul
giovane Presidente del Consiglio.

Bartolo Ciccardini

P.S.: Nel 1980 uno scrittore anonimo immaginò, in un libro di fantapolitica,
un compromesso storico fra Berlinguer e copertina Berlinguer ed il
professore.jpgFanfani, a segnare l’inizio di una nuova era per l’Italia. Il
libro era intitolato “Berlinguer ed il professore”. Il professore era
naturalmente Amintore Fanfani, che così veniva chiamato dai giovani
dossettiani. Nella copertina la figura di un’Italia che ha nel braccio
sinistro lo scudo crociato, nel destro la falce ed il martello, alla sua
sinistra il corno della fortuna, pieno di ricchezze, e sul capo i raggi
della statua della Libertà americana. Il libro così si conclude: “La
ristrutturazione politica invece avvenne con lentezza, ma con ordine, senza
procurare nessun trauma agli italiani. Due anni dopo il celebre comunicato,
il Professore ricomparve sui teleschermi, per annunciare che la Democrazia
Cristiana avrebbe cambiato nome e si sarebbe chiamata, da allora, “Partito
Popolare dei Lavoratori Italiani”. Le iscrizioni erano aperte a tutti gli
appartenenti ai partiti dell’arco costituzionale. Un’apposita commissione
avrebbe esaminato le domande di adesione riservandosi di approvarle a suo
insindacabile giudizio. Vennero accolte quasi tutte le domande dei
comunisti. Furono invece severamente vagliate le domande presentate dai
socialisti, dai socialdemocratici, dai repubblicani e dai liberali.
Presidente del Partito fu il Professore. Segretario divenne l’On.
Berlinguer. In uno storico discorso in Piazza del Popolo, il Professore e
Berlinguer annunciarono ad una amnistia. Il giorno dopo il professore e
Berlinguer vennero ricevuti in udienza speciale da Giovanni XXV”.