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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 05 MAGGIO 2024

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A soli dieci anni, sa cosa vuol dir morire “La montagna di merda” non risparmia nemmeno i bambini

A soli dieci anni, sa cosa vuol dir morire “La montagna di merda” non risparmia nemmeno i bambini
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Prefazione La mafia come la ‘ndrangheta sono sempre più delle montagne di merda

Stavo scrivendo, in questa rubrica, una riflessione sulla pedofilia, giunto al termine e quindi alle conclusioni, arriva la notizia di un omicidio di mafia dove era stato coinvolto un bambino di dieci e che versava in condizioni gravi di vita, perché delle bestie (mafiose) e senza scrupoli non hanno esitato a portare a termine il loro bersaglio pur essendo in presenza di un piccolo innocente.
A solo dieci anni, e accompagnava solitamente la vittima, Giuseppe Fabio Gioffrè, appartenente a una famiglia molto nota della nomenclatura mafiosa, perché aveva la passione per la campagna e la natura. Figlio di amici della vittima, una famiglia di origini bulgare. Adesso giace su un letto dì ospedale in gravi condizioni, ma sembra che le condizioni sono stabili e fortunatamente non sembra essere in pericolo di vita. Ma è sorvegliato a vista per le misure di vigilanza disposte dal questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi, così come i suoi familiari, in quanto potrebbe essere un potenziale testimone.
Quei pallettoni destinati al Gioffrè, in quei momenti (sbagliati) del destino, dove drammaticamente non puoi farci nulla, hanno colpito pure lui in varie parti del corpo. Un bambino che a dieci anni sa cosa vuol dire morire, cos’è quella morte, vigliacca, prepotente, procurata dalle bestie assetate di sangue e potere, tipica della criminalità organizzata, quella della mafia, della ‘ndrangheta che esiste, eccome se esiste in Calabria e crea pure una miriade di problemi come un cancro in metastasi.
Si potrebbe dire che “la mafia uccide solo d’estate” e non guarda in faccia a nessuno. Nemmeno a vite innocenti che non sanno nemmeno cos’è la parola ‘ndrangheta, quella che distrugge la cultura di un territorio, l’annienta nel suo intimo, lasciando solo l’aridità dei lutti e la paura di vivere. Un circolo vizioso di omertà che distrugge ogni concetto di libertà, di sviluppo sociale e di amore per la propria terra nonché lede ogni principio di regole e di legalità democratiche.
Il piccolo si è salvato fortunatamente, ma altri sono morti sotto i colpi della barbarie mafiosa. Sono vittime innocenti uccisi per sbaglio, come a Soriano Calabro Filippo Ceravolo ucciso perché si trovava in compagnia di chi doveva subire un regolamento di conti mafioso.  È stato ucciso a tre anni e poi bruciato a Cassano allo Ionio, Cocò Campolongo, insieme al nonno, un boss che lo portava dietro perché pensava che davanti al piccolo non gli avrebbero torto un capello, una sorta di scudo umano, ma così non è stato, non c’è pietà, non provano pietà le bestie. E potremmo ancora citare Claudio Domino, Giuseppe Di Matteo, Giuseppe Letizia, il famoso pastore che fu ucciso perché testimone scomodo a 14 anni con una dose letale iniettata dal boss medico Navarra nella Corleone degli anni ’40 e poi c’è ancora in Sicilia Giuseppina Savoca. E poi ancora a Crotone mentre giocava in un campetto di calcio, il piccolo Domenico Gabriele, Dodò per mamma e papà, a solo undici anni, per un proiettile vagante. E la lista è ancora lunghissima, supera i cento bambini dalla fine dell’ottocento a oggi.
Finché ci saranno episodi di questo genere, dove la violenza delle bestie non si ferma nemmeno davanti a un viso innocente di un bambino, siamo destinati a soccombere con le bruttezze e le orripilanti storture sociali di una terra affossata dalla criminalità mafiosa. E tutte le manifestazioni antimafia, come i gesti di solidarietà e le indignazioni del caso non serviranno a nulla perché se non diamo un concetto rivoluzionario contro la cultura della mafiosità sia come mentalità che come stati di atteggiamento, cammineremo sempre sopra una montagna di merda sporcando costantemente le nostre scarpe, la nostra vita e impregnando della sua puzza la nostra anima.