Il filosofo italiano è il primo europeo dell’Ovest a ricevere la medaglia Makarenko
Nicola Siciliani de Cumis intervistato da Calabria on web
Il filosofo italiano è il primo europeo dell’Ovest a ricevere la medaglia Makarenko
Nicola Siciliani De Cumis, ordinario di pedagogia generale alla Sapienza, dove presiede il progetto-pilota “Carte di famiglia” per la divulgazione dei patrimoni archivistici familiari presenti in Italia ed include quattro lettere inedite di Italo Calvino, nonché uno dei massimi esperti di Antonio Labriola, il filosofo italiano con particolari interessi nel campo del marxismo, è il primo europeo dell’Ovest a ricevere la medaglia Makarenko. Ed è molto probabile che Siciliani de Cumis a settembre, quando sarà a Mosca per una serie di convegni sul fondatore della pedagogia sovietica (morì di crepacuore nel 1939, dopo aver dato alle stampe il libro che lo rese celebre: “Poema pedagogico”) noto per aver elaborato la teoria dei collettivi autogestiti di studenti e per aver introdotto il concetto di lavoro produttivo nel sistema educativo comunista, diventi il presidente dell’associazione internazionale Anton Semenovych Makarenko. Il professore, nato a Catanzaro 70 anni fa, in un’intervista pubblicata da “Calabria on web”, il magazine edito dal Consiglio regionale della Calabria (www.calabriaonweb.it) esprime il suo entusiasmo per il viaggio in Russia “perché – spiega – andrò finalmente a vedere da vicino i materiali degli archivi del pedagogista russo che puntava alla formazione del buon cittadino comunista”. Come nasce l’interesse di Siciliani de Cumis per Makarenko? A Chiara Fera che lo intervista risponde così: “Fin dal mio primo insegnamento nella scuola media a Belcastro e, poi, nell’Istituto magistrale di Catanzaro, negli anni Sessanta e Settanta. Mi incuriosiva e mi impegnava allo studio di certi autori la mia frequentazione di Giovanni Mastroianni e l’amicizia, fin da ragazzo, di Agostino Bagnato. Alla grande cultura del Paese di Pietro il Grande e del cosiddetto socialismo reale, chiedevo la possibilità di un ampliamento e di un approfondimento “mirato”, per analogia e per differenza, dei temi e dei problemi relativi alla concezione materialistica della storia di Antonio Labriola e agli esiti decisamente antistaliniani del marxismo di Gramsci. Però, la vera molla è stato il rimorso: il rimorso di avere spiegato Makarenko ai miei studenti dell’Istituto Magistrale di Catanzaro senza avere letto il Poema pedagogico; il rimorso di essermi nutrito di luoghi ideologici comuni; e, di conseguenza, il rimorso di non corrispondere in modo adeguato all’impellente bisogno di rimuovere il disagio di un colpevole ritardo culturale. Di qui, per otto anni, l’impegno profuso nel seguire corsi serali di lingua russa e nel proporre ai miei studenti una lunga serie di corsi monografici sul Poema pedagogico, con la conseguenza, per circa un ventennio, di un coinvolgimento didattico crescente in fatto di seminari, laboratori, tesi di laurea, saggi in volume e in rivista, mostre (una proprio a Catanzaro al Ginnasio-Liceo “Galluppi”). E, infine, la decisione di realizzare una nuova edizione del romanzo makarenkiano, con la collaborazione di esperti italiani e stranieri, di alcuni laureati e cultori della materia di lingua madre (russa e ucraina), e degli stessi studenti dei miei corsi di pedagogia generale e di terminologia pedagogica e di scienze dell’educazione… Ne è venuta fuori una curatela progressiva, individuale e collettiva, del Poema pedagogico, che si è giovata di diverse competenze e di quanto di meglio (e di peggio) è stato prodotto in precedenza da altri in Italia, Germania, Russia e in altri Paesi”. Nell’intervista, Siciliani de Cumis spiega in che modo si potrebbero declinare i precetti di Makarenko in un contesto occidentale e non socialista, le comparazioni tra Makarenko e Dante (nei rispettivi contesti storico-culturali) e di Pinocchio (della sua antipedagogia dell’ “Uomo Nuovo” da bamburattino”) e si sofferma, in particolare, sulle anticipazioni che nell’autore russo s’intuiscono delle idee di Muhammad Yunus del Banchiere dei poveri, di Un mondo senza povertà, di Si può fare e, ora, di Per una economia più umana, libro che uscirà da Feltrinelli in ottobre. Dopo decenni d’insegnamento nell’università, Siciliani de Cumis critica alcune abitudini che remano contro: “nessuna attenzione, o quasi, della classe politica e dei mass media (specchio della società civile) sulle interferenze del “privato” nella funzione pubblica dell’insegnare e dell’apprendere; assai scarse le riflessioni sul ruolo delicatissimo degli intellettuali (quindi anche degli insegnanti e dei professori universitari) in una democrazia compiuta e, quindi, in un’università di massa”. Sul Mezzogiorno asserisce: “Le “questioni meridionali” e le “questioni settentrionali” sono due facce della stessa medaglia culturale, politico-sociale, etico-pedagogica: il che vuole dire individuazione e neutralizzazione delle passività mentali, rifiuto della pigrizia e dell’inerzia educativa e, all’opposto, assiduo lavoro su motivazioni e interessi, attivazione della capacità critica, formazione della padronanza individuale e collettiva (al limite, di massa) degli strumenti elementari dell’autonomia del pensiero, della scelta decisionale e dell’azione; e, dunque, della scoperta e della crescita delle potenzialità intellettuali e morali degli esseri umani. La ragionevole certezza, suffragata dall’esperienza, che i fattori dello sviluppo personale e della socializzazione dei gruppi potrebbero e dovrebbero essere messi largamente in funzione dalla tecnica e valorizzati nell’interesse di ciascuno e di tutti dalla politica. La tecnica dei tecnici che se ne intendono sul serio; e la politica colta, specializzata, dei competenti: l’una e l’altra fondate sul disinteresse personale della ricerca interessante, coinvolgente, intrigante, autogratificante (non è una contraddizione in termini) e, principalmente, sull’idea del servizio pubblico che si rende ai concittadini. La Costituzione della Repubblica Italiana, del resto…” Infine un “cattivo consiglio” ai giovani studenti: “Come asseriva George Steiner: Non negoziate mai le vostre passioni. Perché se si comincia a negoziare ci si perde nel compromesso”. Circa il suo rapporto con la Calabria, non ha dubbi: “Io non sono mai andato via dalla Calabria. Né la Calabria è mai andata via da me. Io sono catanzarese, parlo il catanzarese meglio che l’italiano. Sogno in dialetto. In Calabria riposano i miei morti. Alla Calabria devo le risorse del mio “capitale pedagogico iniziale”. Ho tanti amici calabresi, in Calabria e non; e calabresi sono molti dei miei studenti, laureati e laureandi. Da sempre, non c’è agosto che io ritorni in Calabria e che non mi bagni nello Jonio dei miei avi e della ‘meglio gioventù’… Conosco i segreti dei sampietrini e delle lastre di pietra di tutta Catanzaro; e, di tanto in tanto, infilo la mano nella bocca del leone dell’ex farmacia Leone, sul corso Mazzini, per accertarmi che il chiodino di più di sessanta anni fa sia sempre al suo posto. In Calabria, a Catanzaro e a Petronà (dov’è nata mia madre), ci torno sempre volentieri. Nessuna “nostalgia”, quindi: dolore se mai per non essere riuscito, nella mia vita, a combinare le cose in modo da farle stare, senza squilibri, tutte in Calabria. Ma dalla vita non si può volere tutto”.