Che l’allenatore dell’Inter Roberto Mancini sia in crisi di nervi permanente è sotto gli occhi di tutti. L’occhio impietoso delle telecamere che ormai riprendono tutto ciò che avviene dentro e fuori il perimetro di gioco, non fa sconti e il coach è stato beccato mentre, al termine del derby della Madonnina, uscendo dalla comune ha indirizzato ad un gruppo di scalmanati tifosi (tifosi?), il celeberrimo dito medio, un gesto che è ormai diventato un usatissimo e potentissimo, quanto volgare, strumento di comunicazione gestuale. A Mancini “l’embolo” dell’ira è partito perché i gentiluomini, oltre al solito corredo di insulti verbali, gli stavano lanciando finocchi, ortaggio che pare divenuto, alla vigilia di match in cui Mancini è protagonista , un must nell’armamentario dei deficienti da stadio. C’è pure stata successiva una coda televisiva in cui l’infuriato coach ha apostrofato l’interlocutrice con grevi apprezzamenti sulla qualità delle domande postegli.
Poche ore dopo, sbollita l’ira e la trance agonistica con, neanche a dirlo, il solito tweet il Mancio si è scusato.
Al Meazza, assiso in tribuna d’onore accanto al sempre più bollito presidente del Milan (suo Méntore politico), ci stava il camerata Matteo Salvini, milanista, aspirante leader del centro destra, amico e sodale dei neofascisti europei, che, dopo un rigore sbagliato dai nerazzurri, è scattato in piedi è si è esibito nell’altrettanto celebre gesto dell’ombrello.
Allo stato non risulta che Salvini, che già in passato ha avuto modo di esibirsi in manifestazioni di rara volgarità, abbia twittato scuse.
Probabilmente qualcuno gli avrà suggerito di lasciar perdere ché non sarebbero apparse credibili.
E’ sconcertante osservare come sia diventata una pessima abitudine dei personaggi pubblici abbandonarsi simili performances: tuttavia se a Mancini qualche giustificazione è possibile anche concedergliela poiché ha reagito a ripetute provocazioni a cui peraltro dovrebbe essere abituato, Salvini ha confermato plasticamente la sua indole aggressiva, la sua ineducazione, la tendenza a buttarla sempre in rissa, insomma i tratti che lo rendono sempre più simile al capo di un manipolo di squadristi piuttosto che al leader di una destra democratica.
Per dirla con Roberto Vecchioni: “Milano mia portami via, fa tanto freddo, ho schifo e non ne posso più”.