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TAURIANOVA (RC), SABATO 14 DICEMBRE 2024

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Il vano dire del giurista Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulle formule di stile o bizzarre espressioni del leguleio

Il vano dire del giurista Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulle formule di stile o bizzarre espressioni del leguleio
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Il linguaggio forense indulge a termini e locuzioni che disvelano un significato a volte criptico.
Questo modus esprimendi ed operandi curiale, consente se approfondito delle inattese scoperte anche sotto il profilo psicanalitico.
Per iniziare questa disamina un aggettivo che compare nei ricorrenti motivi di impugnazione è “appagante”.
Locuzione aggettivizzante complessa: nulla nella vita è pienamente appagante – soprattutto se sottoposto all’egida censoria del tempo -; non l’amore, la ricchezza, la vendetta, l’odio; ma la motivazione della sentenza, assolutoria per il difensore e di condanna per il pubblico ministero, è certamente ed incontrovertibilmente appagante.
Altro termine inflazionato è l’uso del sostantivo “conforto”.
I periodi usualmente utilizzati per (il)lustrare simil religiosa locuzione li si riscontrano ne: la decisione trova il conforto, o la ricostruzione trova il conforto, od ancora la protesta d’innocenza trova il conforto.
Rifuggire da termini più profani quali supporto, conferma e sostegno, spinge a considerare come dietro questa locuzione si celi una pietà per la fallacia delle scelte processuali terrene o per le eterne incertezze del giudicare profano.
Ma l’arroganza dei giuristi risorge nell’usuale millantato uso dell’aggettivo “puntuale”.
Lo riscontriamo a menadito quando ci si arroga che la dimostrazione è puntuale, o la giurisprudenza richiamata è puntuale, o la norma è citata puntualmente.
Non per essere ipercritico su un termine non peregrino od improprio, che afferisce alla analiticità dell’esposto o ad una esauriente definizione; ma ciò che desta una profonda perplessità è l’antinomia semantica del termine sotto il profilo cronologico: come può essere puntuale una giustizia eternamente ritardataria.
Ma il pezzo forte che ancora qualche saccente giureconsulto blatera nell’arena forense è il “quisque de populo”.
Richiamato nelle orazioni o difese per una sua supposta elementare capacità nel capire le cose, questo soggetto collaterale pur nella sua espressiva pomposità latina, fa semplicemente riferimento all’uomo qualunque, al normotipo essere dotato di un apprendimento appena accennato tra le confliggenti sinapsi cerebrali.
Lo scetticismo del giurista trova ancora la sua terminologica definizione nell’uso improprio del termine “illazione”.
I penalisti si strappano la toga sdegnosamente quando asseriscono che la responsabilità del loro assistito è affidata a mere illazioni indimostrate, congetture, supposizioni che possono trovare alimento e sostanza tra le pieghe metagiuridiche o le plissettature fantagiuridiche.
Ma si dovrebbe spiegare loro che, la illazione è la conseguenza logica irrefutabile d’una premessa valida e dimostrata; pertanto il difeso, responsabile per illazione, è un indefesso delinquente!
Dulcis in fundo, per completare questa breve disamina, non può passare sottaciuta la locuzione “non a caso”.
Nell’arengo forense i padiglioni acustici sono soliti avvertire simile affermazioni: non a caso la norma recita, non a caso le Sezioni Unite stabiliscono…il che fa supporre che normalmente i codici impongono precetti insensati o che la Cassazione sentenzi affidandosi al lancio della monetina od alla ieromanzia analizzando le interiora degli animali sacrificati.
Basta con i fatti! Passiamo alle parole! (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009)