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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 28 APRILE 2024

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Le Novelle delle Frisuraglie Prefazione di un’elucubrazione narrante

Le Novelle delle Frisuraglie Prefazione di un’elucubrazione narrante
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Le giornate in quel paese iniziano un po’ così, a tinte fosche e senza colori, oche che guazzano nella fanghiglia e cani tramortiti dalla solitudine, cercando un tozzo di pane per soddisfare quell’attimo che precede l’oblio. Ogni istante è accompagnato da luci soffuse e da una stonata musica jazz in un fusion del dire e non dire, tra il chiacchiericcio che ha lo stesso eco di un asino che raglia. Mentre da lontano si ascolta la voce stridente di una meretrice (e pure pia) che lavora ad ore, mastica gomme americane al mentolo, fuma sigarette senza filtro ed usa pantaloni aderenti, i quali soffocano le gambe facendole sembrare simili a soppressate senza spago. Il suo nome d’arte è “Mantide Butterfly”. Moglie, madre e pure (apparentemente) felice ed altro ancora.

Essa cerca sempre l’amore tra gli impeti di una vampata che accelera le sue passioni insaziabili, nati in quegli attimi che (rac)coglie negli sguardi pressoché polifemici. Il marito è impegnato su “alti fronti”, vorrebbe diventare un uomo di successo, di quelli potenti, come quelli che quando li vedi camminare per strada devi scansarti per la tanta energia materiale e pungente, come un libeccio che ti penetra, mentre si fanno i bisogni con il culo scoperto in aperta campagna. È uno di quegli uomini dai sorrisi facili, ma dalle azioni difficili da comprendere, però si dice che è un avido giocatore di poker che bara ed ammalia sempre. Mantide Butterfly invece è già importante, così come sono importanti i suoi servigi e le molteplici “opere di bene”. Un giorno la faranno santa!

Il sindaco del paese è un uomo apparentemente di mezza età, ma molto giovane, anni portati malissimo, fisico slanciato, dismesso e fuori norma. Viso da babbeo, ceruleo e sciapo come quelli che di solito si vedono alle uscite della messa domenicale. Indossa sempre un impermeabile chiaro, molto vissuto nel tempo e colmo di chiazze da residui di cibo tra sughi vari, aglio, olio e peperoncino. Ma è buono, talmente buono che non mangia il pane per paura che le molliche cadano a terra e si possono fare male.

Kalasonda (con la “K”), è un paese nato dalle macerie dell’arroganza e della superbia. Uno di quei paeselli nei quali il massimo ristoro è il consumo di un caffè in uno dei tanti bar presenti. Ed in ogni locale vige una scuola di pensiero, che dipende sempre dalle personalità varie che lo frequentano. Si differenzia tra il professionista (tanti e pure troppi), il mestierante (disperato in cerca di gloria), il ciabattino che aggiusta scarpe nuove e l’idraulico che ripara tubi di budello da maiale.
Appena entri in paese ci sono i giardini pubblici e non troppo distante da lì, non puoi non fare a meno di imbatterti in Ciccio “Pall Anka”, uno degli abitanti simbolo e grosso magnate di caramelle usate, egli ama molto le stravaganterie ed il suo hobby è il tiro con la fionda in movimento. Sport che consiste nello sparare fiondate di palle di neve (anche d’estate) e che attraversano anche gli oceani, le sue teorie sono in fase di studio da una equipe di scienziati dell’assolutismo, dell’impossibile e dell’improbabile.

Ah, il nome del sindaco è Gianni Brughiera Bruschetta Abbrustolita, la molteplicità dei cognomi è perché, si dice, che ha discendenti di sangue blu, viene soprannominato “scura òji e jorna domani”. Soprannome cucito appositamente per la sua freddezza nell’affrontare i problemi e perché lo fa con meticolosità chirurgica, eliminandoli come se non ci fossero o meglio, come se non ci fossero proprio, ovvero come se non sono proprio fatti suoi. La sua ambizione è vivere fino a cent’anni!

La bellezza dei paesi piccoli è che conoscersi tutti è una condizione quasi ottimale, c’è l’uomo dell’infinito, un tal Pippo “riporto e passo avanti”, che ama molto le abbuffate di “spingioni” e “marvizze”, ha paura dei cinghiali vivi ma sa domarli da morti. Come la storia tra i cani ed i leoni. La giovane donzella del paese è una tal Teresa “occhi di cisterna, porta occhiali color vipera che sorride ed indossa calze trapuntate da lische di stoccafisso. Oltre ad essere uno degli amministratori più in vista del paese, è anche un’esperta di fagioli sotto sale e carciofi spinati con zucchero di canna a primavera perché d’estate è appiccicaticcio.

“Molte volte quando si scrive per raccontare alcune cose, è per manifestare un pensiero che ha dell’improvvisazione istantanea e mentalmente panoramica. Lo si fa per descrivere attimi e capire che in fondo c’è un’anima all’interno di noi stessi”. Questo era il pensiero di uno dei più bravi scribacchini del paese, Ciccio “cala l’asu. Non era un personaggio normale né mentalmente né fisicamente, aveva una gamba più corta, tredici dita, un culo quadrato e uno sguardo da fantasma in vacanza. I suoi occhi erano penetranti come un grissino che affonda in un formaggino scaduto da tempo.

La vita nei paesi si sa, non brilla di grandi impeti, anzi al contrario è monotonia mista a noia. Non ci sono i diversivi e gli svaghi per trascorrere qualche ora in goliardica armonia ed allora, ecco che per l’occasione sono nati, e non so chi li abbia inventati, i sarti ambulanti. Sono degli artigiani quasi mestieranti che lavorano di taglio e cucito e pure di uncinetto (eccome “uncinano”), con il solo ausilio della lingua. Ed è una tecnica molto avanzata in quanto è in netta fase di specializzazione e miglioramento, e dove alcuni studiosi norvegesi sono arrivati in paese per capirne gli effetti. In quanto lo stesso effetto è il medesimo di tanti giovani che in passato per un abuso di attività idraulica, oggi portano tutti gli occhiali. Il lavoro di sartoria specializzata sarà sempre un’attività che mai cadrà in disuso o peggio, fuori moda. Sarà sempre lo sport e/o l’attività artigianale al contempo più prolifica del paese insieme alle pompe funebri.

Iniziare una serie di racconti fantasiosi, introducendo qualche personaggio di ispirazione narrativa e che trasformi in fantasia, penso sia la migliore cosa per capire le realtà che ci circondano e forse dare un perché a ciò che l’inutile ed il dannoso provocano ad una comunità. Anche dando pseudonimi, pensando magari a chi pensa di essere un personaggio e che però tale non è (e forse non lo sarà mai) e viene trasposto nella ridicola ironia.

Per finire, questa prima parte delle cosiddette “Novelle delle frisuraglie”, c’è lei, non si poteva non chiudere con lei, con Marisa “capidi a culu i palumbu”, una donna dalle bruttezze infinite, sembra uscita da un incrocio tra un minotauro ed una capra del Bengala, lei è nera corvina, capelli lunghi e lisciati dagli escrementi di una cornacchia in calore, ha tutto il resto del corpo come dicevano gli antichi, “pigghhiati da piritara”. La sua orripilanza non è descrivibile, è una bruttezza che con tutto l’impegno della crudeltà mentale non riesci a definirla. Ma lei si sente bellissima (e lo sa solo lei). Lei sogna il principe azzurro, ma quell’azzurro è un colore che non è noto agli umani né ai personaggi nati tra le leggende di elfi e orchi.

Si sa l’impossibile nella vita è figlio di qualche opera di bene, e visto che i miracoli non si sa se esistono, potremmo iniziare a comprendere che forse l’impossibile è possibile, solo per ora, immaginarlo.
(Continua…)

Ps. Ogni riferimento e personaggio è nato dalla fantasia dello scrivente e non è da attribuirsi a nessuno nella realtà esistente….forse!