Le imbarazzanti dichiarazioni di don Ascone alle Iene scuotono l’opinione pubblica
Mag 09, 2014 - redazione
Il parroco di Rosarno, intervistato nell’ambito della nota trasmissione di Canale 5, ha espresso stucchevoli opinioni riguardanti la ‘ndrangheta
Le imbarazzanti dichiarazioni di don Memè Ascone rilasciate alle Iene scuotono l’opinione pubblica
Il parroco di Rosarno, intervistato nell’ambito della nota trasmissione di Canale 5, ha espresso stucchevoli opinioni riguardanti la ‘ndrangheta
Mercoledì 7 marzo la trasmissione televisiva “Le Iene” ha mandato in onda un servizio sul Porto di Gioia Tauro dal significativo titolo “Il Porto controllato dalla ‘ndrangheta”. Un titolo sintomatico per un servizio che ha illustrato come le famiglie più potenti della Piana, tra le quali quella dei Pesce di Rosarno, abbiano le mani in pasta sullo scalo calabrese definito dallo stesso inviato come: “La porta d’ Europa del traffico di cocaina”.
Un traffico dalle dimensioni sconvolgenti, anche se forse tra le immagini trasmesse ciò che ha sconvolto di più i telespettatori sono state le parole del Parroco di Rosarno don Carmelo Ascone, detto don Memè. Il prete, intervistato dalla troupe di mediaset, ha difatti rilasciato delle dichiarazioni a dir poco sconcertanti riguardo la ‘ndrangheta ed i suoi rapporti con essa.
Il sacerdote, infatti, venendo meno a quelli che dovrebbero essere gli insegnamenti del “sacerdos alter Christus”, ovvero del sacerdote come un secondo Cristo, cioè come il Figlio di Dio che deve adempiere alla missione di cura e salvezza del gregge che gli è affidato, ha apertamente difeso l’operato della mafia pronunciando addirittura parole contro la magistratura e le istituzioni. Ecco i passaggi più importanti delle sue affermazioni: “Rosarno non è un paese mafioso […] E’ tutto falso che il Sindaco sia stato minacciato con una lettera arrivata dal carcere […] Quello che mi tocca dire purtroppo è che quando ci sono dei sindaci di sinistra sono protetti dai giudici; quando ci sono sindaci di centro – destra non sono protetti dai giudici, anzi…”.
Parole forti che mettono in discussione sia l’operato dei Giudici, sia quello del primo Cittadino del suo Comune, Elisabetta Tripodi, una donna coraggio che, per aver fatto della lotta alla mafia una delle priorità della sua Amministrazione, vive ormai da tempo sotto scorta.
Ancora la trasmissione ha mostrato come il prete, chiamato a testimoniare nel processo “All Inside” ha definito Francesco Pesce “un suo amico”. Anche questa una dichiarazione sconcertante perché, se è vero che un “pastore” dovrebbe avvicinare le famiglie di ‘ndrangheta, questo deve avvenire per cercare di farle ravvedere, pentirsi, e non per giustificare le loro azioni criminali.
Altro passaggio vergognoso del servizio è stato quando il presbitero ha detto: “Tanta gente a Rosarno si appoggia alla mafia per necessità. Io non ce l’ho con la mafia che purtroppo dà lavoro, ce l’ho con lo Stato che il lavoro non lo dà”. Infine, riferendosi a Don Ciotti, che ricordiamo è l’ ispiratore e fondatore dell’Associazione Libera che ogni giorno lotta contro i soprusi delle mafie in tutta Italia, don Memè afferma: “Non è un parroco, lavoro non ne ha, ha voluto prendere questa bandiera lotta alla mafia e questo lavoro. Per combattere la mafia basta essere preti, non delle guardie della polizia, questa è propaganda”.
Frasi queste che si commentano da sole ma che soprattutto non possono non fare indignare la comunità civile, fatta di persone per bene, che non intendono assolutamente accettare questo tipo di esternazioni. Ciò che don Ascone ha rilasciato alla trasmissione televisiva è della massima gravità. Come può un sacerdote difendere la ‘ndrangheta e banalizzare le lotte che ogni giorno vengono affrontate da sindaci, magistrati, imprenditori e gente onesta contro la criminalità? Come può definire “amiche” persone affiliate ai clan?
Un ministro di culto della Chiesa Cattolica non può e non deve piegarsi a certe logiche. Non dimentichiamo l’ anatema che nel 1993 l’ ormai Santo Giovanni Paolo II lanciò ai mafiosi dalla Valle dei templi di Agrigento. In quell’ occasione il pontefice in maniera molto dura, rivolgendosi ai mafiosi, disse: “Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione… mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!” […] Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via, verità e vita. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio”.
E allora l’appello va al Vescovo della diocesi di Oppido M. – Palmi S.E. mons. Francesco Milito, un pastore molto attento a quello che succede all’ interno della comunità da lui guidata, affinché intervenga sulla questione e prenda dei provvedimenti nei confronti del confratello che con le sue dichiarazioni ha mortificato chi è stato personalmente colpito dalla malavita, chi a causa dei ricatti subiti ha dovuto rinunciare alla libertà ed alla dignità. Non si può, infatti, tacere (o meglio sorvolare) su delle affermazioni così gravi. Non si può permettere che un sacerdote, che vive come tutti noi purtroppo in una terra martoriata dalla criminalità organizzata, e che ogni giorno vede il sangue di uomini sparso sulle strade e lacrime di dolore, neghi questa triste realtà. Non si può permettere che egli stia a fianco degli ‘ndranghetisti puntando il dito addirittura allo Stato e alla Magistratura. La mafia, non è qualcosa che si può rispettare per quieto vivere o per vigliaccheria, ma va combattuta, emarginata!
Del resto anche Papa Francesco, che andrebbe anche lui informato di un episodio così grave, nello scorso mese di marzo, quando ha tenuto una veglia di preghiera con i parenti delle vittime della mafia nella chiesa di San Gregorio VII, ha condannato la criminalità ed ha chiesto ai mafiosi di convertirsi e di fermarsi di fare il male se non vogliono finire all’ inferno; l’unico destino che spetta a chi ha il sangue dei loro fratelli sulle coscienze.
Ma forse per don Memè, certe “amicizie”, certe “offerte”, sono più importanti dell’ insegnamento del Vangelo e delle parole dei Pontefici … ecco perché S. E. mons. Milito non può non far luce sulla questione e far prendere a don Ascone la responsabilità di quantoaffermato. Non si può lasciare che un messaggio così pericoloso, lanciato da un servitore del Vangelo, rimanga impunito!
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