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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 02 MAGGIO 2024

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La strage di San Silvestro

La strage di San Silvestro

Il Rag. Larosa odiava con tutte le sue forze le feste natalizie e avrebbe fatto di tutto pur di evitarle. Ma quella volta esagerò…

 

di DON SALAZZAR

La strage di San Silvestro

Il Rag. Larosa odiava con tutte le sue forze le feste natalizie e avrebbe fatto di tutto pur di evitarle. Ma quella volta esagerò…

 

di DON SALAZZAR

 

 

Il Rag. Filippo Larosa odiava con tutto se stesso le feste natalizie. Non che le altre, tipo la Pasqua, gli fossero simpatiche, ma il Natale in particolare lo faceva inferocire come una bestia.
Il Rag. per natura era un tipo placido, calmo, tranquillo, tutto l’opposto del soggetto agitato e nevrastenico che si aggira in questi giorni cruciali. Egli cercava di non farsi prendere della fregola della festa, dei regali, degli acquisti. Ma non ci riusciva. Ci pensavano la moglie e la figlia a trascinarlo lungo la via della perdizione consumistica. Filippo cercava di tenere duro, ma non c’era niente da fare. E a Natale, regolarmente, dava il suo addio alla tredicesima e al suo stipendio di ragionere capo del Comune, entrambi dilapidati in futili regalie e in tonnellate di alimenti.
Ciò che, però, oltremodo lo infastidiva era l’altissima percentuale di gente che si raccoglieva a casa sua con la scusa che era grande e che si poteva giocare comodamente. E una volta che c’erano, oltre a giocare, i suoi amici maledetti tanto brigavano tanto facevano che gli riusciva pure di mangiare a sbafo. La tragedia cominciava di solito dopo appena cinque minuti di noiosissima tombola allorché uno degli invitati, il più cafone, se ne usciva dicendo: “Ohè, Filippo, la tensione di questo gioco ci fa venire sete, perché non ci facciamo la bocca con qualcosa?” E il Rag. era costretto a “fargli la bocca” (a lui e agli altri) con litri di sambuca Molinari, torrone gianduia comprato a 40 euro al chilo, mele, pere e altra frutta, anche l’esotica. E questo durante il gioco. Perché quando esso aveva termine, nessuno, proprio nessuno, faceva la mossa per tornarsene a casa. Anche perché ci pensava la solerte moglie a incoraggiarli a restare invitandoli formalmente a cena, così dopo avrebbero potuto farsi un giro del pericolosissimo sette e mezzo veneziano. E lui, il Rag., si rodeva il fegato, perché era morto di fame e gli pareva cent’anni di potersi gustare il capretto che era avanzato da mezzogiorno. Ma sicuramente, il nostro lo sapeva, quel prelibato boccone sarebbe andato a finire nelle capienti fauci degli amici e lui si sarebbe dovuto accontentare di una insipida insalata a base di freddissimi pomodori di serra e una moscia lattuga.
Quest’anno, però, il Rag. covava la speranziella che, almeno per il Capodanno, il gruppone degli amici manducanti non si sarebbero fatti vivi per il tradizionale cenone in quanto pare avessero deciso, sospinti i mariti dalle mogli che si lamentavano di fare ogni anno le stesse cose (le troie, mangiavano a sbafo a casa sua e pure si lagnavano!), di recarsi in un qualsiasi cenone cittadino. Il che stava molto bene al Rag., che così si sarebbe potuto finalmente riposare a San Silvestro, spaparanzato davanti alla tv, curando bene di mettersi i tappi nelle orecchie per non sentire il rumore dei tradizionali spari di mezzanotte, che lui aborriva.
Ma purtroppo non doveva andare così. E le rosee previsioni del Rag., si stavano infrangendo contro le ultime novità che gli portava la consorte, tutta raggiante: “Filippo, vedi che anche quest’anno la compagnia degli amici sarà a casa nostra per aspettare l’anno nuovo. Mi raccomando, non comportarti da murrini al solito tuo, e incomincia fin da adesso a datti da fare per la spesa. E che sia abbondante, lo sai che non dobbiamo sfigurare”.
A Larosa gelò il sangue nelle vene. Anche quest’anno, dunque, quella brigata di porci gli avrebbe rovinato la nottata. Rosso di rabbia, si precipitò al supermercato per il mangime, e più girava col carrello e più spendeva, e più spendeva e più gli montava la rabbia.
E qui ebbe un fremito di ribellione. Ah, no, perbacco e perdinci e per giuda, quest’anno non sarebbe rimasto inerte a subire il supplizio delle famelica presenza degli amici, le cui ingioiellate mogli neppure si alzavano per dare una mano alla sua in cucina. Quest’anno, Filippo, avrebbe fatto qualcosa di grosso, se lo sentiva: che cosa, ancora non lo sapeva, ma l’avrebbe fatto!
La sera di San Silvestro, con quattro ore di anticipo, il branco si presentò. La moglie e la figlia del Rag, erano già intente ai fornelli per preparare il ricco cenone. E come prevedibile, nessuna delle consorti si offrì per aiutarle in cucina, anzi iniziarono a starnazzare perché si incominciasse la tombolata. Proprio il gioco che maggiormente non sopportava il Rag, perché noiosissimo e soprattutto perché i bastardi pretendevano di giocare con la tombola antica, quella nella quale i numeri si segnavano con le bucce di mandarino, in maniera da potersi sbrodolare i relativi spicchi. “Giocate pure – li esortò la signora Larosa – nel frattempo che io preparo, e tu Filippo fai loro compagnia”.
A malincuore il Rag. si mise a giocare tra puzza di agrumi, movimenti inconsulti di ragazzini che spostavano le bucce, spiritosaggini della signora Rometti che si ostinava a smorfiare i numeri che uscivano tra il doveroso divertimento del marito e il solenne rompimento di palle di Larosa.
Poi venne l’ora della mangiogna e il Rag. Larosa in pochi minuti vide sparire nell’osceno ventre dei commensali tutta la pantagruelica spesa che aveva fatto. Che sarebbe dovuta bastare per arrivare, piluccando e mangiando, fino a mezzanotte. E invece, alle 22 tutto era bello e consumato. Cosa fare fino alle 24? Di nuovo, via con la stramaledetta tombola.
Intanto, più passava il tempo e più la collera di Filippo, covata per anni e anni, saliva in maniera incontenibile. Il Rag. realizzò che tra poco sarebbe esploso.
L’ora delle vendetta arrivò a mezzanotte in punto. Quando il mite prof. Misiani estrasse la rivoltella, regolarmente dichiarata, per salutare, sparando, l’anno che arrivava. Fu un attimo. Rapido come il fulmine, il Rag. gli scippò dalle mani l’arma e la puntò decisamente contro la schiamazzante e insopportabile ciurmaglia. Fece fuoco a volontà, senza sbagliare un colpo. E in men che non si dica, tutti erano riversi per terra, in un lago di sangue. “Oddio, che hai fatto?”, gridarono la moglie e la figlia dell’improvvisato killer. Ma mal gliene incolse. Due proiettili alla fronte stecchirono pure loro…
… Forse furono i colpi (sparati nelle vicinanze) a svegliare il nostro, che si era profondamente appisolato sulla cartella n. 17 della tombola. “Rag., sveglia, è mezzanotte, auguri, auguri!” esclamarono festosi gli amici, la moglie e la figlia, tutti vivi e vegeti. Con un sorriso stampato sulle labbra fin dal momento della strage, Filippo si svegliò definitivamente. Per fortuna (o sfortuna) l’eccidio si era consumato tutto in un breve sonno in fase rem.
Ma sia pure nel sogno, il Rag. si era vendicato degli amici serpenti. E tanto bastò a riempirlo di soddisfazione. Per questo, la fine dell’anno non lo vide immusonito, ma, anzi, contento. Tanto che abbracciò e baciò tutti, anche sua moglie (dopo 36 anni che non si toccavano e dormivano in stanze separate per via del continuo russare e scoreggiare di entrambi), gridando: “evviva evviva, buon anno a tutti!”.