Editoriale di Bruno Morgante
La prostituzione è una professione da regolamentare
Editoriale di Bruno Morgante
In mezzo a notizie sull’economia che, sinceramente, generano angoscia e preoccupazione, anche perché ci assale il dubbio che i nostri politici non abbiano chiaro il dramma che il popolo italiano sta vivendo e i pericoli di declino irreversibile a cui va incontro il nostro paese, merita attenzione un’iniziativa parlamentare che tratta un tema delicato, ma reale e, probabilmente, da regolamentare.
La senatrice del PD Maria Spilabotte ha presentato un ddl per regolamentare la prostituzione.
La proposta prevede: iscrizione alla Camera di Commercio, con tanto di Partita IVA, patentino, certificato di qualità e anche la possibilità di unirsi in cooperativa per esercitare insieme, nello stesso edificio, la professione più antica del mondo.
Tende a superare la legge Merlin con una legge al passo con i tempi sulla base di un presupposto imprescindibile: ” una divisione netta tra prostituzione volontaria , che rientra nella sfera della libera e piena disponibilità del proprio corpo, e prostituzione coatta, dietro la quale ci sono le organizzazioni criminali internazionali dedite alla tratta delle donne, specie minori, i cartelli mafiosi, il malaffare”, come ha dichiarato la senatrice ad Avantionline.
Supera anche il dibattito sulle cittadelle del sesso, esperienza di molte città del Nord Europa, che rimanda a una concezione peccaminosa della prostituzione da isolare, anche se compatisce le debolezza dell’uomo, dandogli l’opportunità di sfogare i propri istinti in luoghi appartati rispetto a quelli della vita di tutti i giorni.
Il ddl si propone da una parte come apertura al mercato delle prostitute che saranno libere di esercitare la professione, che come ogni attività o professione ha le sue regole da rispettare, dall’altra come lotta spietata alla tratta delle schiave del sesso e a chi induce alla prostituzione contro la volontà della persona, non essendoci più l’alibi che è impossibile estirpare la professione più antica del mondo, per cui si è generata una sorta di lassismo, di cui ne approfittano moderni trafficanti di schiave, spesso ragazzine, mafiosi, magnacci.
Non ci sarà più alibi e il ddl prevede una lotta senza quartiere alla prostituzione illegale, senza più bisogno di denuncia di parte, con misure di sostegno per il reinserimento di chi è caduta nella rete dei trafficanti di schiave,
Oggi la prevenzione, la tutela con programmi di reinserimento di chi si ribella, la lotta alla tratta delle schiave è affidata alla Caritas, ad altre istituzioni religiose e del volontariato, che svolgono un lavoro pregevole e, con la credibilità conquistata sul campo in questi anni, convincono molte ragazze a ribellarsi ai loro aguzzini
Nelle intenzioni della senatrice significherebbe da una parte un approccio laico al problema della prostituzione con un incremento delle entrate erariali, che in periodi di crisi quali quelli attuali non sarebbero da disprezzare, e con un maggiore controllo sanitario, dall’altra la fine dello scandalo che si offre agli occhi di tutti i cittadini che transitano nelle città con ragazzine seminude, spesso straniere, ai bordi delle strade costrette a vendere il proprio corpo.
La proposta sta generando un dibattito e fioriscono le controproposte o gli emendamenti.
La strada per l’approvazione della legge è lunga, anche perché bisogna definire con molta precisione e in forma molto circostanziata la locuzione ” scelta volontaria e consapevole della donna” perchè non succeda che dietro una definizione generica si possano nascondere forme di costrizione e di silenzio per paura, finendo con il legalizzare la forma più terribile di schiavitù nei confronti della donna e della persona in generale.
Cosi come bisogna definire le modalità di svolgimento della professione, tra cui gli obblighi di sottoporsi a controllo sanitario periodico e di renderne pubblico ai clienti l’esito (sulla privacy di chi esercita la professione di vendita del proprio corpo, visto il tipo di professione, deve prevalere il diritto alla salute del cliente); l’obbligo all’uso di mezzi di protezione; le modalità di propagandare e di offrire il proprio prodotto senza creare situazioni di disagio ai cittadini e alle loro famiglie.
Le discussioni più accese attengono al problema se si tratta di regolamentare una “professione” che è sicuramente la più antica del mondo, ma che ha rappresentato da sempre la scissione della donna dal proprio essere e la riduzione del suo corpo ad oggetto e quindi sempre una forma di schiavitù, o se si pretende di inquadrarla nell’ambito dei diritti della donna, interpretando in modo opposto all’intendimento delle femministe degli anni ’70 lo slogan “il corpo è mio e me lo gestisco io”.
La discussione è aperta e sicuramente diventerà accesa perché tocca nel profondo uno dei pilastri della cultura occidentale: il legame inscindibile tra corpo e pensiero, per cui non può essere considerata libertà essere costretti, dal bisogno, dal proprio uomo che si sente padrone o per qualsiasi altra ragione, fare diventare il proprio corpo una merce.
Rimane il problema che è necessario regolamentare la prostituzione.