Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 25 APRILE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Il silenzio della parola Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sul valore della parola e del suo contrapposto

Il silenzio della parola Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sul valore della parola e del suo contrapposto

Il pensiero parlato ossia la giusta eloquenza intesa come storia del pensiero è finito.
Leopardi nello “Zibaldone” avvertiva che, quanto più lenta è la lingua e più abbisogna di un circuito virtuoso per esprimersi, tanto più sono lenti la concezione, il sillogizzare, il modo di concepire e d’intendere, di avvertire e di concludere una verità nella forma verbale.
L’uomo quindi è parola?
Le nostre cellule neuronali rammentano i santi e i briganti, gli apostoli e i masnadieri, gli amori cullati o gli odii avvampati pel sol fatto di essere relegati ad un ricordo verbale, legato indissolubilmente alle parole, a quella parola che più esaltò o ferì la nostra sensibilità.
La parola è leggendaria, basta rammentare i sette sapienti di Grecia, Solone che rompe con la parola la legge per ricondurre Salamina ad Atene, le scuole dei sofisti e dei rètori che della parola nuda ne fanno una insidiosa arma o un nobile orpello, a Demostene che ferma eserciti con la forza suadente e persuasiva della eloquenza.
Il fascino della parola, dopo la caduta della civiltà greca, sopravvive in Cicerone e Cesare costituendone l’humus sostanziale e la base ontologica per la creazione del diritto delle genti.
Solo oggigiorno che il tempo delle genti si rabbuia, si passa inevitabilmente dalla lotta filosofica alla delazione becera, dall’indagine seria all’apologia pilotata, dall’arengo medievale alla setta politico-mafiosa, determinando una torbida atmosfera sottraente ossigeno palpitante al suono magniloquente della parola.
E’ anche vero che, l’eloquenza quella forense è stata relegata ad un effimero e labile singhiozzo espettorato in cronometrate e poco sentite orazioni compartecipate da giudici distratti ed eseguite da afoni avvocati.
Ma chi ha mai avuto l’eloquenza del silenzio?
Un grande, quale Gabriele D’Annunzio, il quale reduce dalla cattedra e dalle baldorie, parlava in quella stradella pescarese col silenzio della disabitata casa paterna, ripercorrendone in una quiete surreale e magniloquente la vera essenza mitologica dalla dea Calipso, deputata alla custodia del silenzio.
La vera essenza dell’eloquenza è il silenzio, non vi è musica che possa intendersi tale abolendone il silenzio o la pausa.
Anche l’amore ha bisogno della parola come del silenzio, “Se dico a qualcuno che l’amo non capirà mai ciò che ho detto forse a mille altri: ma, se veramente l’amo il silenzio che segue mostra sino a che punto s’immergono le radici di questa parola, e fa nascere una certezza silenziosa”. (Maurice Maeterlinck)
La parola ha schianti che col silenzio non si avvertono, ma il silenzio ha una sensibilità di cui la parola ne è priva.
C’è sempre un’ora nella quale anime che si sono votate a raccogliere e diffondere la parola sentano insinuarsi la necessità della quiete.
Il silenzio non è mai equivoco, esso è un’antitesi e non mai una transazione è un fedele che si concede solo a voi emendandovi dalla possibilità di poterlo verbalizzare o riassumere.
Il silenzio non ha mai tradito nessuno. (Antoine Rivarol, Massime e pensieri, 1808).