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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 01 MAGGIO 2024

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La mafia dell’antimafia Come si vampirizzano le aziende sane

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«L’antimafia è un entità composita con finalità politiche e speculative. Se
la mafia è quella che ci propinano, allora la mafia non esiste. La mafia
siamo noi tutti: i politici che mentono o colludono, le istituzioni che
abusano, i media che tacciono, i cittadini che emulano. Se questo siamo noi,
quindi mai nulla cambierà.»

Il 3 febbraio 2015, nel suo primo discorso di insediamento da Capo dello
Stato, Sergio Mattarella ha parlato di lotta alla criminalità organizzata e
di corruzione. “La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità
assolute”, ha detto nel suo discorso di insediamento. “La corruzione – ha
aggiunto – ha raggiunto un livello inaccettabile, divora risorse che
potrebbero essere destinate ai cittadini, impedisce la corretta espressione
delle regole del mercato, favorisce le consorterie e danneggia i meritevoli
e i capaci”. Il capo dello stato ha citato le “parole severe” di Papa
Francesco contro i corrotti, “uomini di buone maniere ma di cattive
abitudini”. Ed ha sottolineato quanto sia “allarmante la diffusione delle
mafie in regioni storicamente immuni. La mafia è un cancro pervasivo,
distrugge speranze, calpesta diritti”. A giudizio del presidente Mattarella
occorre “incoraggiare l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine,
che spesso a rischio della vita si battono per contrastare la criminalità
organizzata. Nella lotta alle mafie – ha ricordato cedendo per un attimo
alla commozione – abbiamo avuto molti eroi, penso a Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino. Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone
oneste competenti tenaci e una dirigenza politica e amministrativa capace di
compiere il proprio dovere verso la comunità”. Ad ascoltare Mattarella a
Montecitorio c’erano il presidente della Regione Rosario Crocetta e il
sindaco Leoluca Orlando, che proprio di Falcone era acerrimo nemico.

Molti altri lo hanno ascoltato a Montecitorio: persone oneste e meno oneste.
Tra le persone oneste folta schiera è nel centro sinistra: quasi tutti o
tutti. Fiancheggiatori della giustizia e della legalità o vittime o parenti
di vittime della mafia. Se non lo sono, vale lo stesso. Nel centro destra,
poi, son tutti mafiosi (a prescindere). Certo è questo quel che si vuol far
intendere. Ma a destra non se ne curano. Basta loro adoperarsi per gli
interessi del loro capo. I magistrati, poi, sono gli innominati di
manzoniana memoria. Loro sì onesti per davvero, perchè la gente comune non
lo sa, ma i magistrati non hanno nulla da spartire con i comuni mortali,
perchè loro, i magistrati, vengon da Marte.

Dopo l’elezione di Sergio Mattarella a Capo dello Stato, su Facebook la
politica si scatena nei commenti, scrive “Libero Quotidiano” ed “Il
Giornale”. Qualcuno non condivide l’elezione come fa Matteo Salvini, ma
qualcun altro tra i grillini (che hanno votato Imposimato), ha attaccato il
neo-presidente in modo duro. A farlo è Riccardo Nuti che afferma: “Lodare
Mattarella come antimafia perché il fratello fu ucciso dalla mafia è falso e
ipocrita perché allora bisognerebbe dire anche che il padre era vicino alla
mafia”. Lo scrive su Facebook il deputato M5s, che aggiunge: “Ma se è vero
che gli errori dei genitori non possono ricadere sui figli, allora non
possono essere utilizzate altre vicende dei parenti in base alla propria
convenienza. L’uccisione di un parente da parte della mafia (i motivi
possono essere tanti e diversi fra loro) non da nessun bollino di garanzia
di lotta alla mafia”. Un commento che di certo farà discutere.

«L’antimafia è un entità composita con finalità politiche e speculative. Se
la mafia è quella che ci propinano, allora la mafia non esiste. La mafia
siamo noi tutti: i politici che mentono o colludono, le istituzioni che
abusano, i media che tacciono, i cittadini che emulano. Se questo siamo noi,
quindi mai nulla cambierà.» Non lo dice Don Ciotti, presidente nazionale di
“Libera”, anche perché non oserebbe mai, ci vorrebbe pure. Lo afferma
categoricamente il dr Antonio Giangrande, noto scrittore e sociologo storico
e fine conoscitore del fenomeno della Mafia, della Massoneria e delle
Lobbies e della Caste, oltreché presidente nazionale della “Associazione
Contro Tutte le Mafie”. Ed è tutto dire.

L’antimafia non combatte i mafiosi. Il suo intento è osannare i magistrati
(i Pubblici Ministeri in particolare) per asservirli ai loro fini. Ossia:
eliminare i rivali politici (avete mai visto qualcuno di sinistra condannato
per mafia o per il reato inventato dai magistrati quale l’associazione o la
partecipazione esterna alla mafia?) e sfruttare economicamente i beni
sequestrati ed espropriati, spesso ingiustamente.

L’Antimafia: o si è con loro, o si è contro di loro. Ti chiami Giangrande o
Sciascia uguale è. E’ inutile rivolgersi ai parlamentari per ottenere
giustizia. Molti sono genuflessi alla magistratura, qualcuno è colluso,
tanti sono ricattati o sono ignavi. La poltrona vale qualsiasi lotta di
civiltà. Per questo nessuno di loro merita il voto degli italiani veri.

Ecco allora che nasce impettito il fenomeno mediatico dell’invasione
virulenta della mafia in tutta Italia. L’Italia all’estero è una nazione
ormai infetta. Non è più la Sicilia martoriata da Cosa Nostra o dalla
Stidda, con vittime illustri uccise dai boss (dello Stato), o non è più la
Calabria martirizzata dalla ‘Ndrangheta, o non è più la Campania tormentata
dalla Camorra. Oggi l’Italia per i magistrati è tutta una mafia. E gli
intellettuali di sinistra ci marciano. Ed all’estero ringraziano per il
degrado del Made in Italy. Fa niente se prima l’illegalità diffusa si
chiamava tangentopoli e guarda caso i comunisti non son stati colpiti. Oggi
nel fenomeno criminogeno (sempre di destra, sia mai) ci sono di mezzo
siciliani, napoletani e calabresi: allora è mafia!

L’antimafia per creare consenso e proselitismo monta campagne stampa di
sensibilizzazione che incitano le vittime a denunciare. “DENUNCIA IL RACKET.
TI CONVIENE.” A questo punto sembra più una minaccia che un invito.

Le vittime, diventate testimoni di giustizia, successivamente sono
abbandonate al loro destino, che porta questi a pentirsi ed a rinnegare
quanto fin lì fatto. Esemplari sono le testimonianze da tutta Italia tra i
tanti di: FRANCESCO DIPALO. LUIGI ORSINO. PINO MASCIARI. COSIMO MAGGIORE.
LUIGI COPPOLA. LUIGI LEONARDI. TIBERIO BENTIVOGLIO. IGNAZIO CUTRO’.

A cosa porta per davvero l’interesse dell’Antimafia se non tutelare le
vittime dell’estorsione e dell’usura, così come propinata?

Il fenomeno taciuto è la gestione dei beni sequestrati, prima, e confiscati,
poi. Per capire bene il fenomeno di cui si crede di essere unica vittima
bisogna andare al di là di quello che si conosce.

I beni di sospetta leicità sono sequestrati con un provvedimento giudiziario
come misura di prevenzione ed eventualmente confiscati con successiva pena
accessoria in sentenza, che spesso non arriva. Questi beni sotto sequestro
vengono affidati a un amministratore giudiziario scelto dal giudice del
caso, che dovrebbe gestirlo mantenendolo in attività e tenerlo agli stessi
livelli che precedevano il sequestro. Ma no è così.

I beni sotto tutela sono appetibili da tutti coloro che agiscono all’interno
del sistema. Apparato non accessibile a tutti.

Firma l’appello: “Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa
nostra”, si legge sul sito web di “Libera”. “Cosa nostra”? Mi sembra di aver
già sentito da altri lidi questa affermazione. “Cosa vostra”? Con quale
diritto?

“Attorno ai beni confiscati e all’assegnazione di essi si può sviluppare
l’unica vera opportunità per coinvolgere attivamente la società civile nella
lotta alle mafie, portandola al suo esito più elevato: quello di estirpare
culturalmente il fenomeno mafioso sul territorio a cominciare dal riuso di
beni confiscati che devono essere effettivamente restituiti alla
collettività”, si legge su vari siti web di associazioni e comitati
fiancheggiatori di “Libera” e della CGIL.

Una espropriazione proletaria nel nome dell’antimafia? Una buona trovata.

Rock e sociale incrociano le loro strade in Il silenzio è dolo. Il brano è
di Marco Ligabue e si intitola “Il silenzio è dolo”. Marco Ligabue l’ha
scritta quando ha scoperto la storia del contestato sorteggio con cui sono
stati “selezionati” gli scrutatori per le recenti elezioni europee nei seggi
di Villabate, in Sicilia. L’iniziativa è stata presentata a Montecitorio e
ha riscosso l’appoggio del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati
Nino Di Matteo, convinto che “la mafia ha sempre prosperato nel silenzio, i
mafiosi vogliono che di mafia non si parli”. Della selezione e dell’operato
degli scrutatori e dei presidenti di seggio, uguale in tutta Italia,
sorvoliamo, anche perché è cosa di sinistra, ma attenzioniamo un fatto. I
Parlamentari e l’associazione Nazionale Magistrati non hanno posto uguale
attenzione all’appello di Pino Maniaci. Ed i media neppure.

«Mafia dell’Antimafia: l’inchiesta di Telejato audita in Parlamento – scrive
Pino Maniaci – C’è ancora un business di cui non si parla, un business di
milioni di euro. Il business dell’Antimafia. Quattro mesi dopo il brutale
assassinio di Pio La Torre, nel 1982, viene approvata la legge Rognoni-La
Torre, che consentiva il sequestro e la confisca di quei beni macchiati di
sangue. Finalmente, lo Stato aveva le armi per attaccare gli ingenti
patrimoni mafiosi. Nel ’96 grazie a Libera nasce la legge 109 che disponeva
l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia, e finalmente terreni, case,
immobili tornano alla comunità. Tutto bellissimo. Nella teoria. Qualcosa
però non funziona. Questi beni, sequestrati, confiscati, falliscono l’uno
dopo l’altro. Il 90% di imprese, aziende, immobili, finisce in malora spesso
prima ancora di arrivare a confisca. A non essere rispettata e ad aver
bisogno di una riforma strutturale è la Legislazione Antimafia – Vittime
della mafia e relativo Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Parliamo di aziende e imprese sequestrate perché di dubbia legalità: aziende
che forse furono acquistate con proventi mafiosi, o che svolgono attività
illecito-mafiose, e che per chiarire questo dubbio vengono poste sotto
sequestro ed affidate alla sezione delle misure di prevenzione del Tribunale
competente. In questo caso, parliamo del Tribunale di Palermo, che
amministra la grande maggioranza dei beni in Sicilia. I beni confiscati sono
circa 12.000 in Italia; di questi più di 5000 sono in Sicilia, circa il 40%.
La maggior parte nella provincia di Palermo. Si parla di un business di
circa 30 miliardi di euro, solo qui a Palermo. Questi beni sotto sequestro
vengono affidati a un amministratore giudiziario scelto dal giudice del
caso, che dovrebbe gestirlo mantenendolo in attività e tenerlo agli stessi
livelli che precedevano il sequestro. Questa fase di sequestro secondo la
legge modificata nel 2011 non deve superare i 6 mesi, rinnovabile al massimo
di altri 6, periodo in cui vengono svolte le dovute indagini e si decide il
destino del bene stesso: se dichiarato legato ad attività mafiose esso viene
confiscato e destinato al riutilizzo sociale; se il bene è pulito viene
restituito al precedente proprietario. Purtroppo la legge non viene
applicata: il bene non viene mantenuto nello stato in cui viene consegnato
alle autorità, né vengono rispettate le tempistiche. In media il bene resta
sotto sequestro per 5-6 anni, ma ci sono casi in cui il tempo si prolunga
fino ad arrivare a 16 anni. L’albo degli amministratori competenti che è
stato costituito nel gennaio 2014 per legge dovrebbe essere la fonte da cui
vengono scelti questi soggetti: in base alle competenze e alle capacità. Ma
la scelta è arbitraria, effettuata dai giudici della sezione delle misure di
prevenzione. Ritroviamo molto spesso la solita trentina di nomi, che
amministrano decine di aziende e imprese. E non per capacità, perché la
maggior parte di quei beni falliscono durante la fase di sequestro. Anche se
poi vengono dichiarati esterni alla vicenda e gli imputati assolti da tutte
le accuse. Telejato, la piccola emittente televisiva comunitaria siciliana
che gestisco dal 1999 e che da allora non ha mai smesso di denunciare e
lottare contro la mafia, ha sede a Partinico e copre un bacino d’utenza
caratterizzato storicamente da una forte presenza mafiosa. La dichiarazione
di fallimento e la messa in liquidazione dei beni confiscati è la strada più
facile per gli amministratori, perché li esonera dall’obbligo della
rendicontazione e consente loro di “svendere” mezzi, attrezzature,
materiali, anche con fatturazioni non conformi al valore reale dei beni,
girando spesso gli stessi beni ad aziende collaterali legate agli
amministratori giudiziari. La pratica di vendere parti delle aziende stesse
mentre sono ancora sotto sequestro, è abbastanza consolidata, e ci si
ritrova con aziende svuotate e distrutte ancor prima del giudizio
definitivo, che sia di confisca o di dissequestro. Questi sono solo alcuni
esempi, alcune storture del sistema; ma molti sono i casi che riflettono un
problema strutturale: una legge limitata, da aggiornare, che non permette
gli adeguati controlli e conduce troppo spesso al fallimento dei beni per le
– forse volute – incapacità del sistema. Posso fare nomi, esempi, citare
numeri e casi. Chiedo alla Commissione Antimafia di essere audito per
esporre questa inchiesta che stiamo portando avanti a Telejato, con notevole
fatica, perchè non abbiamo nessuno al nostro fianco».

Il business dell’Antimafia. Conoscete Cavallari, il re mida della sanità? A
bari si son fottuto tutto di questo signore. Tutte le sue cliniche private.
Per i magistrati era mafioso perchè era associato con sè stesso. E poi come
si dice, alla mano alla mano…Ossia conoscere altre storie similari ma non
riuscire a cambiare le cose?!? Perché ognuno pensa per sé. Una voce è una
voce; tante voci sono un boato che scuote. Peccato che ognuno pensa per sé e
non c’è boato. Basterebbe unirsi e fare forza.

Si prosegue con Matteo Viviani, che raccoglie la testimonianza di una
famiglia siciliana di imprenditori: Mafia, antimafia e aziende che
affondano. I Cavallotti hanno subito estorsioni dal braccio destro di
Provenzano, irruzioni armate in casa, finendo poi in galera per aver pagato
il pizzo. Erano glia anni di Cosa Nostra, spiegano, e tutti pagavano il
pizzo. Nonostante dopo anni di processo sia stato appurato che i Cavallotti
non siano mafiosi, continuano a non poter gestire la loro azienda.
L’amministratore che se ne sarebbe dovuto occupare infatti, ha effettuato
operazioni di vendita poco chiare di cui, alla fine, ha beneficiato
economicamente. Viviani lo raggiunge, ma lui non dà risposte. Il 29 gennaio
2015 è andato in onda Italia Uno, nel corso della trasmissione “Le Iene” un
lungo e documentato servizio sui fratelli Cavallotti, su come chi dovrebbe
rappresentare lo Stato abbia distrutto un’azienda florida che dava lavoro a
circa 200 dipendenti e su come questa vicenda, che ormai si protrae da 16
anni, malgrado le assoluzioni del tribunale e la riconosciuta estraneità dei
fratelli Cavallotti a qualsiasi forma di collusione mafiosa, per decisione
dell’ineffabile magistrato che dirige l’Ufficio Misure di Prevenzione di
Palermo, ancora continua, scrive Salvo Vitale. I dati e i contatti con
l’azienda sono stati forniti in gran parte da Telejato. Vista la complessità
dell’inchiesta che l’emittente conduce da tempo, lo staff delle Iene ha
deciso, per il momento di affrontare solo un’impresa, quella dei Cavallotti,
ma riservandosi di portare all’attenzione le altre malversazioni che, su
questo campo, sono consumate in nome e con l’avallo dello Stato. Davvero
meschina e al di là di ogni umano senso di dignità la figura dell’ ex
amministratore giudiziario, che non ha saputo dare spiegazioni delle sue
malversazioni e delle false fatturazioni girate a un’azienda del fratello.
In pratica abbiamo assistito in diretta alle prove dimostrate di come si
commette un reato, con l’avallo dei magistrati delle misure di prevenzione e
come, chi dovrebbe rappresentare lo Stato e tenere in piedi le aziende che
gli sono state affidate, fa di tutto per distruggerle ai fini di un utile
personale. Le riprese di un’azienda con i mezzi di lavoro arrugginiti,
abbandonati, con i capannoni spogli, non possono che generare tristezza.
Come succede in Italia, non succede niente, anzi, se succede qualcosa,
succede per danneggiare chi chiede giustizia. Come nel caso dell’ultimo
recentissimo sequestro operato ai figli dei Cavallotti, che cercavano di
raccogliere i cocci dell’azienda. Questo è quello che la redazione di
Telejato vorrebbe andare a dire alla Commissione Antimafia, se questa si
decidesse di tenere conto della richiesta di ascoltarla, già sottoscritta da
40 mila cittadini.

Ma per la Commissione Antimafia la mafia è tutt’altra cosa…

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia