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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 29 APRILE 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

Don Luigi Verzè, “Cristo in croce”. Un prete (?) in giacca e cravatta e tanti sperperi

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Don Luigi Verzè, “Cristo in croce”. Un prete (?) in giacca e cravatta e tanti sperperi

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

Lo storico Francesco Guicciardini, aveva visto lungo su certi preti quando asserì che «Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinata nella città nostra, Italia liberata da tutti i barbari e liberato il mondo dalla tirannide di questi scellerati preti». Ed è proprio di un prete (o presunto tale) l’argomento trattato, e precisamente di uno che di sacerdote aveva ben poca cosa, don Luigi Verzè, “il prete in giacca e cravatta”. Un’affarista faccendiere e manager fondatore dell’ospedale San Raffaele di Milano, morto per un arresto cardiaco pochi giorni fa all’età di 91 anni (troppi, anzi tanti per uno che di Spirito conosceva solo quello dei soldi e della bella vita).

L’uomo che si definì come “Cristo in croce”, ma con la differenza che Cristo morì povero e pieno di stenti mentre don Verzè muore portando con se molti segreti e tanti milioni di euro (e/o dollari) finiti chissà dove.

Don Verzè muore nel giorno in cui la gestione dell’ospedale da lui fondato in netta bancarotta, viene messo all’asta al miglior acquirente. Un caso, ma forse la morte di don Verzè sarà la salvezza della creatura da lui fondata.

Questo sacerdote (?) porta con se molti segreti, molte domande senza risposta ma soprattutto tanti misteri sulla provenienza del denaro che gli consentì molte fortune economiche. La carriera di don Verzè è ricca di vicende processuali oltre a quello già noto per il San Raffaele, già nel marzo del 1976 era stato condannato dal Tribunale di Milano ad un anno e quattro mesi di reclusione per tentata corruzione in relazione alla convenzione con la facoltà di medicina dell’università statale di Milano e la concessione di un contributo di due miliardi di lire da parte della Regione Lombardia. Nel 1998 il Tribunale di Milano condannò due volte don Verzé per abusi edilizi risalenti al novembre 1995: nello specifico, per la costruzione senza permesso di una palazzina di tre piani, antistante i preesistenti edifici del San Raffaele di Milano, adibita all’accettazione dei pazienti. La prima condanna gli valse cinque mesi di reclusione, con la condizionale, e 50 milioni di lire di multa; la seconda condanna, a motivo della ripresa dei lavori abusivi di costruzione delle mura esterne all’edificio, in barba alla prima condanna, è stata di dieci giorni di reclusione con la condizionale e 600 mila lire di multa. In seguito anche a queste condanne, don Verzé affidò le deleghe operative per la gestione dell’Ospedale San Raffaele al suo socio Mario Cal (morto suicida a 72 anni, braccio destro di Don Luigi Verzè ed ex-vicepresidente della Fondazione Monte Tabor, si è sparato alla testa senza esitazioni con una calibro 38 nel luglio del 2011), vicepresidente della Fondazione, probabilmente al fine di tutelarsi da un’eventuale successiva condanna, che gli sarebbe valsa il carcere senza sospensione condizionale della pena.

Nel febbraio del 2011 Verzé è prescritto per l’accusa di ricettazione di due quadri del ‘500 di scuola napoletana. Nel giudizio di appello il sacerdote era stato condannato a 1 anno e 4 mesi di reclusione.La Cassazionerespinge le richieste della difesa di assoluzione piena con la motivazione che “il giudice del rinvio ha correttamente fornito un’ampia e consistente giustificazione, spiegando in modo ragionevole che Don Verzé era al corrente della provenienza illecita dei quadri”.

Prima di morire don Verzè si era autosospeso dal cda della Fondazione ufficialmente  “per non interferire nell’opera di salvataggio” dell’ospedale, finito in bancarotta (con un buco di più di un miliardo di euro), ed al centro di uno scandalo finanziario.

La gara era per presentare un’offerta migliorativa di acquisto, per l’istituto sanitario, di almeno 50 milioni di euro rispetto ai 250 milioni messi sul piatto dal cordata Ior-Malacalza. A quanto si apprende, solo il polo San Donato di Giuseppe Rotelli avrebbe presentato un’offerta da 305 milioni, mentre nessuna busta sarebbe arrivata dal gruppo Humanitas della famiglia Rocca, che pure aveva chiesto di accedere alla documentazione. Ma la partita non si chiude oggi: c’è un altro termine, il 5 gennaio prossimo, entro il quale è possibile presentare rilanci o anche nuove offerte. Nulla vieta dunque che alla gara partecipino altri soggetti.

La  Fondazione CentroSan Raffaele del Monte Tabor nasce Il 30 aprile 1970, mentre nel 1972 viene riconosciuto Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e dal 1982 è diventato polo universitario della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Statale di Milano. Lo sviluppo negli anni Ottanta a fianco dell’ospedale, che oggi ha una capienza di circa 1.300 posti letto e una struttura di 11 dipartimenti e 45 specialità cliniche, don Verzè si è dedicato alla realizzazione e all’ampliamento di strutture specializzate, come il Dimer, Dipartimento perla Medicina Riabilitativa, il Dicor, Dipartimento per le Malattie Cardiovascolari, il Centro San Luigi Gonzaga per l’assistenza ai malati di Aids, il Dipartimento di Neuroscienze presso il San Raffaele Turro. Nel 1992 è nato il Dibit1, il Dipartimento di Biotecnologie e Centro di Ricerca scientifica.

Molto frequenti e stretti i rapporti con la politica così come tanti gli sperperi accumulati dalla Fondazione, un intreccio di società e di uomini riconducibili ad un uomo e che a loro volta si intrecciano con gli uomini di  

Comunione e Liberazione, il suo nome è Pierangelo Daccò. E le società sono le teste di ponte attraverso le quali l’imprenditore, vicino a Cl, tanto legato al governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, da trascorrere con lui le vacanze in barca, operava in Italia. Ora Daccò si trova in carcere per la bancarotta del San Raffaele, l’ospedale di don Luigi Verzé. L’ipotesi è che ricevesse denaro in contante dal braccio destro di don Verzé, il suicida Mario Cal, distraendoli dall’ospedale attraverso fatture gonfiate.  

Milioni di euro dirottati in hotel di lusso in Costa Smeralda e speculazioni immobiliari, favori agli amici e progetti megalomani. Così è stato ridotto sul lastrico il San Raffaele

Piantagioni brasiliane. Palazzi e ospedali nei Paesi dell’est Europa. Aerei ed elicotteri intestati a società della Nuova Zelanda. È ufficialmente cominciata la caccia al tesoro del San Raffaele. Ma per trovare le tracce delle centinaia di milioni di investimenti sballati che hanno messo sul lastrico l’impero sanitario di don Luigi Verzé non c’è bisogno di andare in capo al mondo. La catastrofe è cominciata e si è sviluppata a Milano e dintorni. Tutt’al più per capire come e perché una delle strutture di eccellenza della sanità nazionale sia stata portata sull’orlo del crac è sufficiente una capatina in Costa Smeralda, sulla spiaggia che si affaccia sul mare azzurro di fronte all’isola di Tavolara.

Don Verzé è arrivato anche lì. Niente ospedali. Niente opere di bene. Più prosaicamente un hotel a quattro stelle, il Don Diego, riservato a una clientela d’élite, almeno a giudicare dai prezzi: anche cinquemila euro per una settimana in alta stagione. L’albergo è di proprietà della Fondazione Monte Tabor, la stessa che controlla il San Raffaele. La gestione però è affidata a un’altra società,la San Diegosrl che fa capo a cinque azionisti. Uno di loro è l’attore Renato Pozzetto (quello di Cochi e Renato). Mentre il 20 per cento e del suicida e braccio destro di don Verzè Mario Cal.  

La Fondazioneha dirottato milioni di euro dalle attività sanitarie a quelle alberghiere e uno dei massimi dirigenti della fondazione stessa si è messo personalmente in pista, con un investimento di poche decine di migliaia di euro, per partecipare agli utili dell’iniziativa. Utili che per la verità ancora non si vedono, visto che l’hotel Don Diego viaggia in rosso.  

La Fondazioneincassava denaro dalla Regione Lombardia per le cose più disparate, per i rimborsi dei medicinali e dei ricoveri in convenzione (oltre 400 milioni l’anno); ma il dissesto era alle porte nonostante l’enorme denaro versato mentre il debito verso le aziende che riforniscono il San Raffaele, dalle aziende farmaceutiche a quelle informatiche, è esploso fino a superare i 500 milioni.

Cosa succedeva? I finanziamenti pubblici erano in parte assorbiti da iniziative che nulla avevano a che fare con il bene comune. Tipo la colossale cupola con l’arcangelo sulla sommità costata oltre 60 milioni. Oppure il nuovo ospedale di Olbia, costato oltre 200 milioni di euro in buona parte finanziati dalle banche. Una struttura finita di costruire pochi mesi fa e che sembra destinata restare ferma fino a quando non si chiarirà il destino dell’intero gruppo sanitario. Poi c’è il capitolo delle speculazioni immobiliari. Basta fare un viaggetto di pochi chilometri da Milano fino a Cologno Monzese, una cittadina dell’hinterland. Qui una società del San Raffaele,la Edilrafa suo tempo amministrata da Cal, ha restaurato una villa storica immersa in un parco dove ha anche costruito decine di appartamenti. All’operazione aveva partecipato anche il gruppo Diodoro costruzioni di Pierino Zammarchi, che però alla fine del 2008 si è sfilato. Adesso tutto è fermo. Invenduti gli appartamenti, fin qui proposti a prezzi giudicati fuori mercato. Fermi anche l’auditorium e il ristorante che avrebbero dovuto essere consegnati al comune di Cologno. Nel frattempola Edilrafha accumulato debiti per oltre 60 milioni di cui quasi 35 verso le banche e 16 milioni nei confronti della stessa fondazione Monte Tabor. Adesso anchela Edilrafè in vendita. Trovare un compratore però sarà un’impresa. A meno di non cedere a prezzi di saldo. Lo stesso discorso vale per molte altre partecipazioni. Il Vaticano, che ha preso il comando al San Raffaele, potrebbe quindi essere costretto a svendere.

Paradossalmente per tappare il buco creato dal prete Luigi Verzè ci vorrebbe un miracolo (sic!).

lalanternadidiogene@approdonews.it