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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 02 MAGGIO 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

Lettera aperta al direttore di Calabria Ora Piero Sansonetti. E’ proprio vero che il giornalismo in Calabria non è libero?

La lanterna di Diogene

Lettera aperta al direttore di Calabria Ora Piero Sansonetti. E’ proprio vero che il giornalismo in Calabria non è libero?

 

Caro Direttore Sansonetti,

leggendo il Suo editoriale con estrema attenzione e soprattutto meticolosità, apprendo con giustificata preoccupazione che secondo le Sue idee ampiamente descritte, la condizione della libertà di stampa in Calabria è seriamente minacciata da una sorta di “compromesso” non libero e sottostante al potere sia della magistratura che di quello economico.

Questo sottostare, a mio avviso, non fa altro che mettere inesorabilmente in secondo piano i problemi reali di questa regione, che Lei in maniera molto specifica ha definito come “la mancanza di diritti”. Soffermandoci sui “diritti” è opera buona e giusta, così come condizione aperta di riflessione collettiva che purtroppo non si fa o meglio non si vuole fare, dei tanti cittadini calabresi.

Io penso una cosa, con molta preoccupazione ed in parte così è stato, ossia che dopo il Suo editoriale non credo che tra i cosiddetti “addetti ai lavori” così come tra i suoi colleghi (illustri o meno), troverà una sponda su cui appoggiare le proprie tesi (e mi auguro di potermi sbagliare), perché il compromesso è talmente forte e saldo che mai nessuno ammetterà questa sua dose di, chiamiamola pure e me ne scuso, “critica di un garantismo sulla libertà perduta”. Così come sono sicuro, e ciò accade mentre sto scrivendo questo pezzo, di dibattere del Suo editoriale su un famoso social network in cui la prima accusa che le viene rivolta è: “Caspita da che pulpito arriva la predica!”, e poi, “ma lui parla di libertà se nemmeno lui è libero e indipendente”. Su questo tornerò dopo, alla fine.

John Milton che sulla “libertà di stampa” ne fece un interessante trattato diceva che «La libertà che io cerco è quella di apprendere, di parlare e di discutere, liberamente e secondo coscienza: questa, più di tutte le altre libertà», questo per dirLe che ancora in Calabria, parlare liberamente ed esprimere le proprie opinioni secondo coscienza, e se non si è schierati l’uno contro l’altro, di un determinato potere in una guerra tra “bande”, non si è nemmeno considerati. Come se la “coscienza” e la “libertà” siano dei concetti relativi di effimera importanza e trattati con convinta superficialità.

Questa Calabria nel giornalismo ha molti “paladini dell’antimafia”, cosa ben diversa in parte dai “professionisti” di Leonardo Sciascia solo per quanto riguarda la “lunga malafede”, perché in fondo ciò ancora non ha preso la mano alla schierata truppa dei giornalisti antimafia. Ma molto vicini a quelli che Sciascia definì gli «eroi della sesta», ossia quelle “persone dedite all’eroismo che non costa nulla”.

Questo esercito di persone in guerra formate da alcuni parlamentari (di commissioni antimafia), di associazioni varie nate sull’onda di un delitto eccellente o di altri che vivono di rendita perché schierati sempre a favore di magistrati contro l’esercito della mafia, ed infine da una lunga e fitta schiera di giornalisti che si alza la mattina e vede mafia e scoop giornalistico in ogni angolo della regione anche in quello più nascosto possibile, dove regna un bosco vergine ed incontaminato. E la cosa che più preoccupa non è solo quella di elaborare la notizia, ma anche di aggiungere un contorno enfatizzando il tutto con una sceneggiatura già scritta. Ad esempio un modo di fare giornalismo (fortunatamente di pochi) è il seguente: se per caso una persona passeggiando su un marciapiede inciampasse accidentalmente e cadendo battesse la testa a terra e subito dopo morisse, ed il marciapiede risulta essere di proprietà di un mafioso, ecco ci sono giornalisti che identificano subito l’incidente come un delitto di mafia (sic!). Una ricerca malata e metodica dello scoop a tutti i costi. Anche questa cosa a mio avviso fa parte di una non libera stampa, ossia quella di un’omologazione ad un sistema che tende ad assottigliarsi ad una condizione nata come modello da seguire anche se sbagliata (molte volte).

E questa omologazione coinvolge tutti quanti, non solo il giornalismo, ma come ho già detto le associazioni (“Libera” compresa), che pur di difendere tutto a tutti i costi si giudica con steccati preconfezionati. E anche il caso del procuratore di Reggio Calabria Pignatone, servitore di Stato rispettabilissimo e di grande intelligenza, ma che purtroppo si è sottratto a delle domande che potevano sicuramente fare luce su ombre in merito alle dichiarazioni del capitano Tracuzzi. Bastava solo rispondere e dimostrare, come ha sempre fatto, così da evitare di alimentare dei dubbi sul suo operato fino ad ora molto efficiente nel contrasto alla criminalità mafiosa calabrese; facendo così non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di difese di ufficio dedite ad un’omologazione sul fatto che non si può criticare né la magistratura né le forze dell’ordine, altrimenti si rischia di indebolirli, così come asseriscono molte associazioni e giornalisti. Su questo mi chiedo, è mai possibile affermare una stupidaggine del genere?

Ora, detto questo e da come avrà capito su molti punti del Suo editoriale mi trova in sintonia, mi vorrei soffermare su un passaggio che reputo importante del Suo pensiero e cioè quello che riguarda “l’indipendenza”, specie quando scrive che la colpisce “la rinuncia all’indipendenza”, ed a proposito di questo Le chiedo una semplice cosa: Lei è indipendente? E cosa intende per indipendenza del giornalismo? Ed oltremodo si sente un giornalista libero da “padroni editoriali”? Quindi siamo davvero ad uno “stato feudale”?

Sembreranno banali le mie domande, ma spero non lo siano, perché traggono spunto dal dibattito di cui Le parlavo all’inizio. Ed è da ciò che Le voglio chiedere, vista la Sua schiettezza e visto che si pone il dubbio che Lei non sia un giornalista libero ed indipendente, oltre al fatto che non capisce nulla di Calabria e che è sottomesso dai suoi padroni (editoriali), sarà forse questo il malumore, figlio del Suo avvento alla direzione di Calabria Ora, perché magari sostituendo il suo predecessore in netto contrasto con gli editori del suo quotidiano, ha lasciato degli strascichi ancora molto evidenti? Come tanti mal di pancia da parte di alcuni giornalisti che hanno abbandonato il suo giornale dopo il suo avvento? Oppure, mi perdoni la banalità delle domande, dunque cosa risponderebbe a proposito di queste forme di “j’accuse” sulla sua non indipendenza e non libertà?

La saluto con viva cordialità

lalanternadidiogene@approdonews.it