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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

| Il 14, Giu 2011

Testimoni di giustizia che a volte vengono dimenticati dallo Stato ed abbandonati al loro destino. E’ questo il tema affrontato oggi dal nostro filosofo

La lanterna di Diogene

Testimoni di giustizia che a volte vengono dimenticati dallo Stato ed abbandonati al loro destino. E’ questo il tema affrontato oggi dal nostro filosofo

 

Esistono dei temi, di cui parlarne in questo paese, diviene a volte necessario ma anche fondamentale, per dare una voce a chi molto spesso viene dimenticato dallo Stato. Queste voci inascoltate, quasi invisibili prima ancora che vuoti a perdere, sono i cosiddetti “testimoni di giustizia”.

Francois de la Rochefoucauld diceva che «La virtù perfetta consiste nel fare senza testimoni quello che dovremmo essere capaci di fare davanti a tutto il mondo», ma purtroppo questo in Italia non è possibile, come non è possibile questa “virtù perfetta” bramata da de la Rochefoucauld, perché si dimentica molto spesso che chi ha dato molto allo Stato per amore della verità e della Giustizia in questo paese, ribellandosi ad un sistema marcio fatto di soprusi, di violenze e di pressione mafiosa della criminalità, viene lasciato al proprio destino e dimenticato da chi dovrebbe tutelarli e allo stesso tempo rendergli la giustizia che meritano, proteggendoli e non abbandonandoli a loro stessi, con i problemi che molto spesso sono conseguenza delle loro azioni di verità e di legalità.

Come Antonio Candela e Francesca Inga, due testimoni di giustizia che hanno messo in ginocchio una cosca nella provincia di Agrigento, in una terra famosa per l’olio, le mandorle ed i profumi degli agrumeti, dicono che «Da più di dieci anni siamo costretti a questa insolita vita, con una nuova identità, dopo aver preso una delle decisioni più difficili della nostra vita, così faticosa da prendere, così irrevocabile, così dolorosamente necessaria, per salvaguardarci da un imminente rischio di morte. Viviamo dentro un’insolita vita, da esiliati con un titolo: “Testimoni di Giustizia”». Sono parole tristi che fanno riflettere, e queste sono solo due delle tanti voci, di poco più di 70 testimoni di giustizia e con essi anche più di 200 parenti, insieme agli oltre 1.200 minori sottoposti a misure di tutela. Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, dice che «alcune modifiche apportate negli ultimi anni alla legge sui pentiti hanno “disincentivato” le collaborazioni», perché in primo luogo nella misura che prevede la legge c’è l’obbligo di segnalare tutti i loro beni affinché siano sottoposti a sequestro, mentre ai mafiosi, quelli non pentiti ed in piena “attività”, vengono sequestrati solo i beni per i quali non viene dimostrata la provenienza lecita.

Nelle ultime righe della relazione della Commissione nazionale parlamentare antimafia, stilata nel febbraio del 2008, dove si affrontò questo delicato tema dei testimoni di giustizia, si legge che “La Commissione esprime, sul punto, l’auspicio che si avvii una riflessione complessiva volta a delineare un sistema di protezione che, accanto alle innovazioni sopra menzionate con riguardo ai profili di piena garanzia del rispetto dei diritti del cittadino testimone di giustizia, preveda l’attribuzione  (…) anche dei compiti di vigilanza e sicurezza. Si intende far riferimento ad una filosofia nuova che, evitando confusioni e sovrapposizioni di ruoli, dia vita ad un sistema integrato tra gli aspetti di sicurezza e di assistenza del testimone di giustizia”.

Ancora oggi non si è attuato nulla, e tutto rimane in stallo con la consapevolezza che tutte queste persone che hanno sfidato la criminalità mafiosa con la schiena dritta senza piegarsi al compromesso ed alla umiliazione morale, restano senza voce ed abbandonati come rottami in disuso.

Così è stato pochi giorni fa con l’imprenditore calabrese Pino Masciari, “dimenticato” e lasciato senza scorta per 24 ore a Vibo Valentia a rischio della sua incolumità, un uomo che è diventato un simbolo dei testimoni di giustizia.

L’elenco potrebbe essere lungo di episodi e di fatti che hanno contribuito alla sconfitta di cosce mafiose, ma che lo Stato tende sempre a trascurare senza dare l’ausilio della protezione così come dovrebbe essere riconosciuta e allo stesso tempo essere inserite in un programma, così come si fa con i “collaboratori di giustizia”.

Le difficoltà sono tante, così da impedire di rifarsi una vita dignitosamente senza stenti e miserie, così da avere la possibilità di inserirsi nella vita sociale di tutti i giorni.

Finchè questo Stato non darà la giusta dignità a chi ha messo in discussione e sacrificato la propria vita al suo servizio, non credo ci siano margini di significato per definirsi tale.

lalanternadidiogene@approdonews.it