Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 25 APRILE 2024

Torna su

Torna su

 
 

La crisi del porto è il fallimento di una classe dirigente

La crisi del porto è il fallimento di una classe dirigente

Le considerazioni di Bruno Morgante sulla situazione di stallo che sta caratterizzando in questi giorni il porto di Gioia Tauro

di BRUNO MORGANTE

La crisi del porto è il fallimento di una classe dirigente

Le considerazioni di Bruno Morgante sulla situazione di stallo che sta caratterizzando in questi giorni il porto di Gioia Tauro

 

La questione porto di Gioia Tauro sta arrivando al suo epilogo, tra proclamazione di scioperi, incontri alla regione, richieste, velate di minacce, a MCT perché annulli i previsti licenziamenti, dato che negli anni scorsi ha molto guadagnato e molto ha avuto dalla regione e dal governo.

La comunicazione della compagnia Maersk che a partire dal mese di Luglio le sue navi madre non faranno scalo nel porto hub di Gioia Tauro ha reso evidente ciò che era nelle cose ormai da tempo.

Il quadro che si prefigura è che le grandi compagnie utilizzeranno come porti hub per il transhipment i porti del nord Africa realizzati ultimamente, di cui uno, Porto Said in Egitto, si trova subito all’uscita del canale di Suez, e l’altro,  Tangeri in Marocco, si trova sulla direttrice Suez- Gibilterra percorsa dalle grandi navi porta-containers.

Da questi porti con le navi feeder serviranno i porti europei che si sono attrezzati per lavorare e fare arrivare le merci  in Europa, che è il più grande mercato di consumo del mondo.

Non c’è più la situazione del 1996, quando il porto di Gioia Tauro partì quale porto di transhipment, intuizione  innovativa nella logistica portuale e che ha permesso la ripresa della portualità in tutto il Mediterraneo, portualità che versava in una profonda crisi per l’inadeguatezza dei vecchi porti a recepire le grandi navi porta-containers e a garantire grandi spazi per la movimentazione e lo stoccaggio dei containers.

Da allora Gioia Tauro è rimasto solo un porto di transhipment, mentre lo shipping si evolveva e la portualità italiana del centro nord si attrezzava e si infrastrutturava per essere interlocutrice delle nuove esigenze della logistica internazionale.

Oggi si rischia che con la crisi del transhipment a Gioia Tauro vada in crisi il porto, perché è la sola attività in essere.

Oggi i porti del nord Africa garantiscono costi di movimentazione dei containers dieci volte inferiori a quelli di Gioia Tauro, non fosse  altro che per l’abissale differenza del costo del lavoro.

Nei mesi passati si è pensato che si può sostenere la concorrenza portando i costi a livello competitivo con quelli dei porti del nord Africa abbattendo i costi di ancoraggio.

Questa può essere una misura tampone per superare la crisi, ed è giusto prenderla, mentre però si dovrebbe lavorare per uscire dalla crisi con un progetto che renda competitivo il porto e capace di produrre, misurandosi con le regole del mercato, occupazione e sviluppo.

Questo progetto manca, sia in termini di elaborazione, sia in termini di quantificazione e di destinazione di risorse necessarie, sia, che è la cosa più grave, in termini di scelte politiche regionali e nazionali.

Da tempo si è scatenata in Italia una forte competizione territoriale e nessun territorio è disponibile a pagare prezzi sull’altare di una presunta solidarietà nazionale e ognuno rivendica la legittimità a operare scelte a favore dei propri cittadini.

Nella rappresentanza di questi interessi noi siamo debolissimi.

E’ il fallimento di una classe dirigente regionale, intesa nella sua accezione più ampia (politica, sindacale, imprenditoriale, professionale).

Non si tratta di fare scendere ministri, aspettando il miracolo, o di gridare che si è contro i licenziamenti per esorcizzare il problema.

Bisogna avere il coraggio di elaborare un progetto che sia valido perché risponde a esigenze del mercato della logistica delle merci, di destinarvi risorse, di fare una grande operazione di marketing internazionale, partendo dal dato che l’interesse nazionale coincide con lo sviluppo della propria regione e nessuno può mettere veti o ostacoli per presunta difesa di interessi nazionali.

Se l’attuale situazione di monopolio di MCT contrasta con il progetto si pretenda dal Parlamento il suo superamento, ristabilendo, con la presenza di diversi operatori, tra l’altro,  un minimo di legalità europea.

Bisogna avere chiaro che un tale progetto contrasta con gli interessi di altri porti del paese che si opporranno con forza e pretenderanno l’appoggio del governo nazionale.

Sono questi i frangenti in cui si forma e si legittima una vera classe dirigente regionale e un popolo cresce.

L’alternativa è una mediazione per tamponare la crisi, con episodi di ribellismo contrabbandati per grandi momenti di lotta e con spreco di risorse, con strumentalizzazioni e nascita di masanielli demagoghi e con il popolo che continuerà ad essere turlupinato da presunti potenti che vivono sui suoi bisogni.

redazione@approdonews.it