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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Il Pretore di origine campana Amarcord del giurista blogger Giovanni Cardona sull’essenza del giudicare

Il Pretore di origine campana Amarcord del giurista blogger Giovanni Cardona sull’essenza del giudicare
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Il primo Giudice che conobbi, in una fredda giornata d’inverno in un anno di tanti anni fa, appena nominato Vicepretore del Mandamento di Palmi, fu un canuto Pretore che si diceva fosse di origine napoletana, trasferitosi per un mal d’amore nella lontana contrada calabrese.
Il Pretore, quasi per innata predilezione, mi raccontava con passione le sue antiche esperienze professionali e di vita.
Un giorno lo andai a trovare, per una urgente delega, nella sua amena e francescana abitazione.
Felice per l’inaspettata visita, senza indugiare, conoscendone la mia insaziabile passione, mi ostentò un volume delle orazioni del giurista Carnelutti con la firma e la dedica in calce alla sovraccoperta.
Poi cominciò, appalesandone una arcana necessità a raccontarmi di come agli albori magistratuali nella prima sede piemontese, si faceva accompagnare sovente da un cancelliere, più anziano allampanato ed intabarrato al punto da sembrare un cipresso.
In quel paese ai confini con la Francia, le strade esistenti, quasi tutte, dedicate ai più noti detrattori garibaldini, erano pavimentate con ciottolame lavico, si presentavano alcune anguste e ripide ed in qualche punto, in particolare negli angoli, erano costituite da rampe.
Il ciottolame emetteva un chiarore che nelle notti buie dava il senso dell’orientamento e fungeva da pubblica illuminazione.
Il cancelliere procedeva a passi regolari seguito dal Pretore cantando a squarciagola e allorché cessavano lo sforzo vocale, cominciavano a fischiare un noto motivo di una marcetta militare.
Mi spiegò, che il comportamento sonoro dei due mirava a segnalare la loro presenza.
Infatti quasi tutti gli abitanti del paesino piemontese, in certe ore serotine rovesciavano per strada il contenuto dei vasi da notte, ma all’approssimarsi del passaggio dei due, rinviavano l’operazione chiudendo rumorosamente i vecchi e traballanti infissi lignei delle finestre che sembravano fossili.
Da quel giorno della mia giovinezza, nel corso della vita ho conosciuto innumerevoli Giudici e mi sono reso conto che il rischio che correva quel Giudice era di sapore arcadico e che invece ben più pericolosi getti insidiavano ed insidiano gli altri.
Il Giudice veramente affidabile è quello indipendente ed alcuni “getti” sono costituiti da raccomandazioni, segnalazioni o comunque pressioni parassitarie provenienti da taluni ambienti anche, associativi e politici.
Il Giudice deve comprendere che quell’attentato alla sua indipendenza, se non trova una pronta ed energica ripulsa, cagiona immancabilmente la caduta dei valori ideali di Giustizia e che se la sua reazione può cagionare scarsa simpatia agli interessati delusi, tra i primi a stimarlo sono questi ultimi!
E che dire della ipertrofia della legislazione il più delle volte poco ponderata e poco coordinata, emessa sull’onda di una provvisoria protesta popolare e che forma una giungla vasta ed intricata che non è agevole attraversare senza la guida di un buon esperto o quanto meno senza la bussola di un po’ di senso giuridico che non è la stessa cosa del buon senso comune.
Tanti sacrifici qualificano nel quotidiano professionale la nobile funzione del giudicare: la sentenza è sempre una creazione di una coscienza viva, sensibile, vigilante ed umana.
E che dire di altri “getti” di certe esternazioni fuori dalla sede istituzionale, di alcune uscite spettacolari e di improvvise intemperanze nei rapporti con gli altri operatori di Giustizia?
E’ pur vero che nell’amministrazione giudiziaria molte cose non vanno per il verso giusto, ma non è necessario, per mantenere alto il proprio prestigio abbassare quello degli altri, né perdere il tratto signorile e pacato e delle volte anche deferente nei confronti dei più anziani che ne siano meritevoli durante l’esercizio del proprio dovere.
Va aggiunto che molte volte taluni Giudici si inseriscono nel circuito delle responsabilità politiche di partito: le luci della ribalta politica sono alternative a quelle della celebrazione dei processi.
La fenomenologia sociale della parola per creare la popolarità politica del singolo Giudice non è che la sua progressiva distruzione.
I retaggi di un nome onorato e di una vita vissuta all’insegna della ricerca della verità e della Giustizia, sono i migliori beni che un Giudice possa lasciare in eredità alla sua famiglia e a quella della Magistratura.
Un mio ammirato e da tempo assente amico che un tempo giudicava, ben scriveva: “So che in ogni uomo che giudico, giudico me stesso…so che il diritto è sofferenza per chi lo subisce, a cui toglie qualcosa o toglie tutto…Così cerco l’innocenza piuttosto che la colpa…la verità che io cerco è bagnata di sudore…Non ho niente e nessuno da vendicare, niente e nessuno da perdonare. Sono solo un uomo, un piccolo uomo che ha paura del buio, che cerca la luce, il chiarore di una scintilla, che si specchia timoroso nell’anima di un altro uomo per giustificarlo se possibile o almeno comprenderlo…”.