Il presidente del Consiglio Mario Draghi ieri ha illustrato alla Camera il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza
Apr 27, 2021 - redazione
Di Bruno Morgante
Il piano presentato da Draghi alla Camera dei Deputati è una scommessa al limite dell’azzardo.
Bisogna spendere in pochi anni 248 miliardi che complessivamente compongono il Recovery Plan, una cifra così alta che mai il Paese si è trovato a investire, che va oltre la capacità di spesa dimostrata in questi anni.
Draghi, provato dalla lunga interlocuzione con Bruxelles per avere il via libera, professa ottimismo a patto tuttavia che i tre cavalieri bianchi “onestà, intelligenza e gusto del futuro”, prevalgano sui tre cavalieri neri, sempre i soliti da anni, “la corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti”, come li ha definiti.
Draghi pone un dilemma che contiene in sè l’ottimismo, che nasce dalla fiducia negli italiani e nella maggioranza degli impegnati in politica, nel sociale, nelle professioni, nell’imprenditoria, nei partiti disponibili a misurarsi con la realizzazione di un grande obiettivo per il futuro del Paese.
Nello stesso tempo contiene anche una spietata denuncia di quanto ha prevalso finora nella programmazione e nella gestione della cosa pubblica in Italia , che ha generato un clima di disistima internazionale nei nostri confronti.
Il riferimento ai “cavalieri neri”, che hanno impedito il decollo del Paese, non è un passaggio retorico, ma è un monito che parla a noi tutti.
L’obiettivo lo pone al Parlamento, alle Regioni, ai Comuni, ma noi non siamo spettatori neutri.
Gli eletti ad ogni livello istituzionale sono nostri rappresentanti.
Li abbiamo eletti noi.
Dipendono da noi, per cui, nella misura in cui non facciamo capire loro che saremo giudici inflessibili rispetto ai loro comportamenti, rischiamo che vinca il gioco politicante del piantare bandierine, sinonimo spesso di “corruzione, stupidità e interessi costituiti”.
Siamo di fronte a un progetto riformista, che si pone obiettivi di grande cambiamento, necessariamente concreto e “fattibile nelle condizioni date”.
A seconda dell’angolo visuale, rispetto agli interessi consolidati, può essere visto come temerario e nello stesso tempo timido e cedevole.
Mette in soffitta il consolidato meccanismo dei due tempi nell’intervento pubblico, che ha sempre previsto gli investimenti nelle zone economicamente sviluppate per sorreggerne e consolidarne la condizione, quale premessa per poter investire in un secondo momento (non è mai arrivato) nel Mezzogiorno, al quale momentaneamente veniva concessa assistenza per mantenere la pace sociale.
Si è generata in molte zone del Mezzogiorno, la Calabria ne è un momento di specificazione essenziale, una crescita senza sviluppo.
Ha prodotto clientelismo elevato a metodo di gestione privatistica della spesa pubblica per ottenere consenso, con una degenerazione del rapporto eletti ed elettori, una classe dirigente intesa nella sua accezione più ampia, composta spesso da ascari del potere centrale, in cambio di copertura nella gestione privatistica della cosa pubblica.
Questo progetto mette finalmente in discussione il paradigma fallimentare dei due tempi e chiama tutti noi cittadini, specialmente noi meridionali, cittadini, amministratori, a sostenerlo per creare, finalmente, un superamento del divario economico, e di cittadinanza rispetto anche a servizi essenziali, quali scuola, sanità, trasporti.
Impone quindi un cambiamento anche a noi elettori, ci chiama ad una cittadinanza attiva a favore del futuro della nostra terra e dei nostri figli.
Noi dobbiamo essere i “guardiani” di questo progetto, rispettosi del confronto dialettico per migliorarlo per quanto possibile nella fase di realizzazione, in quanto il confronto, anche acceso, è il sale della democrazia, che non viene messa in soffitta in questo periodo.
Le forze politiche, gli eletti, debbono avere chiaro il problema che sul progetto è legittimo confrontarsi, a livello nazionale e sul territorio, per migliorarlo, ma non per affossarlo.
Non è il tempo di inseguire, per motivi di consenso elettorale e sempre in nome della democrazia, paure ed egoismi localistici o corporativi, o valori assoluti.
C’è un tempo per il confronto e c’è un tempo per assumere le decisioni possibili a nome di tutti, sulla base delle quali ognuno si deve assumere le proprie responsabilità.