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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 29 APRILE 2024

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Il nulla e la Democrazia (seconda parte) Dalla resistenza alla desistenza democratica narrata nella seconda parte dal giurista blogger Giovanni Cardona

Il nulla e la Democrazia  (seconda parte) Dalla resistenza alla desistenza democratica narrata nella seconda parte dal giurista blogger Giovanni Cardona
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Gli storici dicono che la contestazione è un momento inevitabile della dialettica storica, ma quando la contestazione è assurda e assume un aspetto morboso, quando la contestazione vuole apportare il crollo di tutte le verità, vuole demitizzare e dissacrare tutto, allora non siamo più nel campo della dialettica ma siamo nel campo della follia. Si predica tanto l’amore del prossimo e si attua la morale della violenza, dell’odio, del delitto. E ciò è una conseguenza naturale, perché alla contestazione segue, quasi per germinazione naturale, la violenza, anche perché l’esperienza ha dimostrato che con la violenza si vince sempre.

La fraternità degli spiriti, la giustizia, la tolleranza, la comprensione reciproca, che dovrebbero essere i cardini fondamentali della democrazia, sono virtù che nella realtà non esistono, o meglio esistono in quanto soddisfano la fantasia popolare, ma non certo per cogliere il travaglio del presente e anticipare il futuro.

Da questi malanni scaturiscono i motivi essenziali di scetticismo nei riguardi della democrazia, che contribuiscono a creare quella anestesia delle coscienze, per cui si diventa apatici, conformisti, insicuri, insoddisfatti, ansiosi. L’uomo, si può dire, ha perduto il senso dell’io, non contempla più se stesso, non sa crearsi una immagine prospettica, naviga in un guazzabuglio di idee, e, quel che è peggio, ha una morale impulsiva, irrazionale, che prescinde da ogni forma regolatrice, da ogni legge che indichi un dovere.

E il primo dovere del cittadino, è quello di essere partecipe cosciente della vita dello Stato. Non bisogna disertare il terreno della lotta politica. Il male più grave è che i cittadini migliori, disgustati dello spettacolo di una politica intessuta di menzogne, di corruzioni e di violenze, si disinteressano della vita pubblica.

L’apoliticità è diventata la piaga più grave dei nostri tempi; molti cittadini non partecipano alla vita politica per paura di compromettersi e per non esporsi a soprusi e violenze. E quindi sopportano con l’animo cupo, uno stato di cose talvolta davvero rivoltante, che aumenta il cumulo delle insofferenze, della insoddisfazione, della stanchezza e della nausea.

Se si vuole veramente sentire il «domani che conta», bisogna rifuggire dall’etica dell’isolamento, conservarsi immuni da ogni forma di apatia, partecipare con tenacia e senso di responsabilità alla lotta per il bene comune.

Il carattere distintivo del cittadino, dice Aristotele, è la virtù politica, e la prima virtù del cittadino è la dedizione alla Patria. Con l’immobilismo, il malumore e la critica passiva non si combattono le forze eversive che corrompono la nazione. L’assenteismo, che ben presto si muta in agnosticismo, è la forma più grave di alienazione, perché annulla l’interiorità e la coscienza. Quindi il buon cittadino ha il dovere morale di impegnarsi, secondo la propria coscienza, e di assumere la posizione di combattente, quando è in gioco la vita dello Stato.

La politica, si suole dire, è un infinito avvicendarsi di forme rinascenti dalla loro corruzione. La storia ci insegna che dittatura e democrazia sono due «forme» che si rincorrono: la democrazia con le sue degenerazioni si trasforma in dittatura, e la dittatura, a sua volta, viene distrutta dalla democrazia. Siccome la dittatura è sinonimo di schiavismo e la democrazia è sinonimo di libertà, è ovvio che bisogna combattere incessantemente per mantenere in vita quest’ultima.

Per quanti addebiti si possono fare alla democrazia, come nell’epoca attuale, essa è il sistema che meglio assicura il rispetto della dignità dell’uomo e lo sviluppo armonico della persona umana.

Diceva giustamente Clemenceau che “Il sistema democratico, esaminato ora per ora, appare pieno di difetti, ma visto in rapporto agli altri sistemi, appare il migliore, perché meglio degli altri garantisce il progresso e la libertà”. Ed è perciò che la democrazia bisogna amarla con sentimento religioso non solo perché il Vangelo affermò per la prima volta nel mondo il principio dell’uguaglianza degli uomini, ma perché ogni politica si fonda su un presupposto religioso.

E’ stato detto che il Vangelo è il messaggio annunciato ai poveri, agli emarginati, ai derelitti; esso esige carità, amore, dignità della persona umana, esige che lo Stato sia al servizio del bene di tutti: è contro il capitalismo per i suoi errori, quindi contro i ricchi; è contro il comunismo per l’errata concezione della vita; è contro ogni deificazione sia dell’individuo che della società; vuole la libertà, la moralità, la cooperazione tra le classi ed è contro ogni forma di «classismo» e di « totalitarismo ». Quindi la democrazia, come dice Toynbee, è una pagina del libro del cristianesimo.

Quello che soprattutto conta nella democrazia è il primato dello spirito e della cultura, quali valori supremi, perché se i valori morali franano, la vita pubblica viene distrutta. Oggi attraversiamo un periodo di assoluta decadenza perché i valori dello spirito sono irrisi e respinti, perché privi come siamo di percezione e di giudizio, quasi affetti da un blocco mentale, viviamo di lassismo, di rancori, di dispetto, abbiamo perduto il senso dell’onestà e ci siamo ridotti ed un gregge destinato ad essere sacrificato.

L’uomo democratico deve avere un atteggiamento attivo e volitivo, non deve essere mai passivo e rassegnato, mai abulico, mai egoista ed egocentrico, mai egemonico, deve evitare abusi e prevaricazioni, deve costantemente educarsi alla democrazia e rinnovare, secondo lo spirito dei tempi, il suo costume politico. Ma tutto ciò è difficile da attuare, per cui Maritain diceva che la tragedia delle moderne democrazie è di non aver potuto attuare la democrazia.

Si attua, invece, una pseudo democrazia che è una formula insufficiente, lacunosa ed incerta, che non realizza mai gli ideali che insegue. Da ciò ne deriva che la società democratica è perennemente instabile ed inquieta.

S. Tommaso diceva che la democrazia è potestas populi, quindi qualunque sia il regime politico, spetta sempre al popolo la imperatività della norma, quale soggetto della potestas.

L’art. 1 della nostra Carta Costituzionale dice: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, quindi la sovranità è un attributo del popolo. Questa concezione si tramanda sin dai tempi antichi, ma lascia, come si suol dire, il tempo che trova, perché oltre ad essere falsa e ambigua, è praticamente inattuabile.

Si sostiene da molti che la sovranità del popolo ha le sue radici nella natura umana, per quel fenomeno di simbiosi che intercorre tra l’individuo e la collettività; in effetti il popolo non è sovrano in nessun regime. E’ vero invece il contrario e cioè che il popolo è succube della sovranità altrui, della sovranità di un dittatore, di una oligarchia, di una aristocrazia, o dei partiti, come avviene negli odierni regimi, cosiddetti democratici.

Dall’idea-forza della democrazia, basata sul principio della sovranità popolare, ne deriva come corollario che il popolo è rappresentato dal Parlamento che emana poi il Governo, e quindi si procede di falsità in falsità, sino a far credere che il popolo è sovrano di tutto.

Quando si dice che la democrazia è basata sulla sovranità del popolo si esprime un concetto demagogico, perché tutti sappiamo che il popolo è nella materiale impossibilità di essere sovrano, dato che è incapace di dirigere gli affari dello Stato. Nonostante l’infondatezza, la falsità, l’astrattezza, il principio della sovranità è diventato, attraverso i secoli, un dogma che ha sempre accompagnato tutti i movimenti politici, tutti i rivolgimenti, tutte le rivoluzioni.

Ciò è avvenuto ed avviene perché è un principio generico, che serve molto per incensare il popolo e fargli credere che esso è l’artefice del suo destino, il pastore che guida e non il gregge che è guidato e manipolato.

“Quando un’idea, diceva Tocqueville, si è impadronita dello spirito del popolo, che essa sia giusta o ingiusta, ragionevole o irragionevole, nulla è più difficile che estirparla”.

(Fine seconda parte)