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Il Governo e il Parlamento cedono al ricatto tecnico della burocrazia e alle pressioni di ambienti conservatori

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Con propri emendamenti al decreto sulla riforma della Pubblica Amministrazione il governo sopprime le parti riguardanti quota 96 della scuola, l’età della pensione per medici primari e per professori universitari, l’età della pensione per medici e per pubblici dipendenti, il risarcimento alle famiglie delle vittime di terrorismo

di BRUNO MORGANTE

Il Governo e il Parlamento cedono al ricatto tecnico della burocrazia e alle pressioni di ambienti conservatori

Con propri emendamenti al decreto sulla riforma della Pubblica Amministrazione il governo sopprime le parti riguardanti quota 96 della scuola, l’età della pensione per medici primari e per professori universitari, l’età della pensione per medici e per pubblici dipendenti, il risarcimento alle famiglie delle vittime di terrorismo

 

di Bruno Morgante

 

 

Oggi il Parlamento , dopo il voto di fiducia richiesto dal Governo, è pronto a convertire in legge il decreto sulla Pubblica Amministrazione.
Il decreto, che era già stato approvato alla Camera, dopo aver votato la fiducia al Governo, deve ritornare alla Camera perché al Senato il decreto è stato cambiato in quanto il Governo ha presentato quattro emendamenti sopppressivi di quattro provvedimenti presenti nel decreto.
Uno di questi di fatto cancella la possibilità di andare in pensione per i cosiddetti quota 96, i circa 4 mila insegnanti e collaboratori scolastici rimasti incastrati nelle maglie della riforma Fornero.
Il Governo ha accolto i rilievi della Ragioneria dello Stato che aveva evidenziato problemi di coperture dei costi dopo che anche il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, aveva criticato quella norma entrando in polemica con l’esecutivo, a seguito di un editoriale di Alesina e Giavazzi sul corriere della sera nel quale chiamavano in causa proprio Cottarelli, al quale chiedevano di prendere posizione contro la decisione del governo.
In un primo momento Renzi aveva risposto che il Governo può anche fare senza Cottarelli.
Oggi, dopo aver ottenuto la fiducia sul decreto emendato, ha dichiarato che il problema troverà soluzione in un decreto sulla scuola che verrà emanato entro Agosto.
Il senatore Boccia del PD, potente presidente della Commissione Bilancio del Senato ha dichiarato di aver votato la fiducia al Governo perché era importante portare in porto la riforma della Pubblica Amministrazione, una legge di sistema che lui condivide, ma che è stato un errore sopprimere il riconoscimento del diritto dei lavoratori della scuola, che al 31 Agosto 2012 avevano maturato i requisiti, ad andare in pensione senza subire penalizzazioni.
Ha parlato di ricatto tecnico nei confronti del Governo e di pressioni da ambienti oscuri e non responsabili nei confronti dei cittadini e ha contestato la Ragioneria dello Stato sulla mancanza di coperture, asserendo che la copertura di 465 milioni in cinque anni c’era.

Sicuramente il Ministro Maida ha fatto una figura barbina e il Governo è in evidente difficoltà.
Sta prendendo forma una inedita alleanza tra ambienti conservatori e progressisti, che stanno prendendo d’assedio il governo.
Si contesta il diritto della maggioranza di assumere decisioni dopo che c’è stato un lasso di tempo abbastanza lungo per il confronto e per la discussione approfondita dei temi su cui decidere.
Teniamo conto che questo diritto è una delle connotazioni essenziali per definire la democrazia liberale.
Si scomodano categorie come autoritarismo, dittatura della maggioranza.
Scalfari su Repubblica è arrivato a paragonare Renzi a Craxi, definito socialista di destra, paragone che per Scalfari è il massimo dell’infamia.
Certi tabù sono duri a morire.
Craxi ha avuto molti torti e molti meriti, a seconda dal punto di vista da cui si guardano le sue azioni, ma è innegabile che è stato un grande leader del socialismo italiano, europeo, quale socio fondatore del PSE, internazionale, quale potente vicepresidente dell’Internazionale Socialista, e mai può essere definito di destra, perché in Italia, in Europa, nel mondo socialista ha sempre significato e significa sinistra democratica, riformista.
E’ stato punto di riferimento per le battaglie dei paesi del terzo mondo per abbattere il debito contratto con i paesi ricchi, spesso contratto da dittatori per comprare armi dagli stessi stati che prestavano i soldi, debito con alti tassi di interesse che li poneva in una perenne situazione di povertà.
E’ stato punto di riferimento e sostenitore in tutti i continenti di tutti i combattenti per la libertà del loro popolo.
Si contestano gli 80 euro date ai lavoratori dipendenti con reddito lordo inferiore a 25.000,00 euro, con posizioni demagogiche quali il mancato aumento dei consumi nel secondo semestre (il primo aumento è stato percepito alla fine di Maggio); l’avere esentato i pensionati, le partite IVA, gli incapienti (Renzi ha spiegato, assumendosi la responsabilità della decisione, fatto anomalo in Italia, il perché della scelta, quale prima tappa per l’estensione a tutti).
Il vero motivo è venuto fuori con gli editoriali di Scalfari su Repubblica e di Giavazzi e Alesina sul corriere della sera, che hanno posto con forza la tesi che per far decollare l’economia bisogna allocare tutte le risorse che si dovessero rendere disponibili con la revisione della spesa e con la lotta all’evasione a favore delle imprese, perché solo così, secondo loro, può ripartire la ripresa e l’occupazione.
E’ la ricetta del peggiore liberismo.
Se il popolo non ha soldi da spendere, a chi vendono i prodotti gli imprenditori?
E se le industrie non producono, perché non c’è domanda come può ripartire l’economia e l’occupazione?
Sicuramente bisogna abbassare il peso fiscale alle imprese, perché siano più competitive sui mercati, ma anche alle persone e alle famiglie perché cresca anche la domanda di beni e servizi.
Il caso dei lavoratori della scuola “a quota 96”, come ormai vengono definiti gli interessati al problema, è emblematico del clima politico pesante e non chiaro che si sta vivendo.
Intanto è giusto chiarire il problema.
Nel Dicembre 2011 viene approvata la riforma del sistema pensionistico proposta dal ministro Fornero.
Nella riforma si permetteva ai lavoratori che al 31 Dicembre 2011 avessero maturato, sommando età anagrafica e anni di servizio, quota 96 di poter andare in pensione come prevedeva la legge fino ad allora vigente.
Si è trattato di prendere atto di un diritto maturato e della non possibilità di retroattività della legge.
In Italia il conteggio degli anni lavorativi si basa sull’anno solare (1 Gennaio- 31 Dicembre), solo per i lavoratori della scuola, docenti e personale amministrativo, l’anno lavorativo coincide con l’anno scolastico (1 Settembre – 31 Agosto).
Non si è mai visto un professore andare in pensione tra Capodanno e l’Epifania.
La legge non ha tenuto conto di questa anomalia, per cui, per quanto riguardava i lavoratori della scuola, l’anno lavorativo in cui è stata approvata la legge e in cui maturavano diritti da salvaguardare andava dal 1 Settembre 2011 al 31 Agosto 2012.
Ciò comportava, al fine di non creare diseguaglianza di trattamento tra lavoratori aventi gli stessi requisiti, il riconoscimento del diritto di andare in pensione al 31 Agosto 2012 per i lavoratori della scuola che avessero raggiunto, sommando età anagrafica ed anni di servizio, quota 96.
La stessa professoressa Fornero ha ammesso che è stato un errore, dovuto anche al fatto che ignorava la peculiarità dei lavoratori della scuola.
Sembrava che questo governo ponesse rimedio ad un evidente errore , che si era trasformato in un’ingiustizia per circa quattromila lavoratori.
L’emendamento a favore presentato alla Camera era stato votato quasi all’unanimità e aveva avuto parere favorevole del Governo.
A freddo e senza preavviso si è scatenata una bagarre e una campagna di disinformazione.
Sfiderei chiunque non addetto ai lavori a negare che, sulla base di quanto ha recepito dal’informazione televisiva e giornalistica, pensa che si tratti di una battaglia corporativa da parte di insegnanti che pretendono un privilegio, mentre tutti gli altri cittadini sono chiamati a fare sacrifici e ad andare in pensione a 67 anni.
Il Governo è stato costretto a fare dietro front, anche per non mettere in discussione la legge sulla Pubblica Amministrazione, non solo per la pressione mediatica, ma anche per la nota della ragioneria dello stato che denunciava l’assenza della copertura finanziaria, mettendo teoricamente in discussione tutta la legge.
Oltre all’inganno anche la beffa.
Molti lavoratori della scuola, che nel Dicembre 2011 si son sentiti violentati nei loro progetti di vita e che pensavano di avere risolto con due anni di ritardo il problema,sono ripiombati nello sconforto.
Non è comportamento da Stato serio.
Non è serio il cinismo di molti politici che in televisione ti dicono che se ci sono sacrifici da fare purtroppo a qualcuno deve toccare farli, per cui a loro va la solidarietà, ma, va tenuto in conto l’interesse generale del Paese.
Questi o sono ignoranti e presuntuosi o non hanno idea della democrazia che vive di principii e in questo caso è stata inferta una ferita profonda al principio fondamentale dell’uguaglianza di fronte alla legge.
A loro non tocca mai fare sacrifici e non se ne accorgono che la misura incomincia ad essere colma.
Di questo se n’è accorto il potere vero che ha messo in atto la tagliola, costringendo il governo Renzi alla figura più barbina che un governo potesse fare: ritornare indietro su una questione di principio, che costava allo Stato 93 milioni all’anno per cinque anni.
L’obiettivo di cingere d’assedio il governo è evidente se si pensa che uno degli emendamenti soppressi riguardava la messa in pensione dei docenti universitari e dei medici primari che avessero raggiunto i 68 anni di età, rispetto ai 70 attuali, con possibilità di proroga.
C’è stata la protesta dei baroni universitari (hanno firmato una petizione per sopprimere l’emendamento 1600 docenti) e dei medici primari.
Con la soppressione degli emendamenti si blocca la possibilità di ringiovanimento in settori strategici per la società, ma nessuno ne ha dato notizia o ha fatto battaglie per mantenerli.
Si è preferito fare pressione su un tema apparentemente minore, ma di maggiore impatto mediatico e più facile da manipolare per mettere in difficoltà il governo.
Bisognerà vedere se Renzi manterrà la promessa di affrontare la questione entro Agosto, ma soprattutto se ha una strategia per combattere la madre di tutte le battaglie per modernizzare il Paese, che è quella di riformare la burocrazia.