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TAURIANOVA (RC), VENERDì 19 APRILE 2024

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Il complesso di Erostrato Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla patologica ansia dei giudici di sopravvivere nella memoria dei posteri

Il complesso di Erostrato Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla patologica ansia dei giudici di sopravvivere nella memoria dei posteri
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Ad Efeso esisteva il più grande e venerato tempio di Artemide, che venne incendiato da Erostrato.
L’incendiario si era ripromesso di rendere immortale il suo nome anche a costo di compiere una similare ed esecrabile azione criminosa.
La saggezza dei magistrati di Efeso li portò a proibire di pronunciare il nome di Erostrato per l’eternità, sotto pena di morte.
La damnatio memoriae sortì un parziale effetto, tramandandone il nome sia pure per pochi e con denigrabili accostamenti.
Il criminale pastore greco che ad Efeso, il 21 luglio del 356 a.C., per immortalare il suo nome, incendiò e distrusse una delle sette meraviglie del mondo, è un dilettante piromane dinanzi alla pletora di narcisisti magistrati, affetti da sintomatologie compulsive e maniacali cronicizzate dalla reiterata e manifesta ossessione di protagonismo recidivo infraquinquennale.
Usanze consolidate e da abiurare, ma che in fondo costituiscono la crème brûlée dell’ex bel paese, dove se non si appare dentro l’obsoleto tubo catodico o nelle invendute testate giornalistiche, si rischia di apparire come un bohémienne démodé.
Ma il più meritevole di attenzione è il magistrato moralista, che, in adamantina e perfetta buona fede, combatte assillanti crociate al grido di “Dio lo vuole”.
Ontologicamente, il complesso del crociato, costituisce una aporia nei confronti del giudice giudicante, il quale per connaturata definizione è terzo ed imparziale.
L’assunto, in maggior misura, rappresenta una contraddizione in termini anche per il pubblico ministero, non solo perché non rientra nelle funzioni sancite dalla legge, ma perché i fanatici travestiti da pseudo intellettuali, sono stati sempre estremamente pericolosi.
Norberto Bobbio nel suo libro “Italia civile” ha confessato di detestare “i fanatici con tutta l’anima”, ribadendone un trentennio dopo il medesimo concetto nello scritto “De senectute”.
In un romanzo del 1911 di Ardengo Soffici dal titolo “Lemmonio Boreo”, il protagonista, dopo avere divorato riviste e giornali, era rimasto nauseato da “errori, irregolarità, abusi, vigliaccherie, buffonate, malignità, stoltezze di ogni risma, d’ogni conio e d’ogni maniera”, e come rimedio pensò ad “un uomo dall’aspetto fra il sacerdote ed il guerriero, con viso corrucciato e randello in mano” che girasse tra le contrade e sanzionasse “le indegnità commesse con legnate a tutto spiano”.
Lemmonio Boreo, il novello cavaliere errante, assume la veste di nefasto e superficiale vendicatore, per una improbabile crociata avallata da una invisa giustizia autodafé evocante “L’uomo senza qualità” di Robert Musil.
Sono esperienze pericolose quelle paventate da una donchisciottesca magistratura, che portano alla creazione dell’eroe e da questo al demiurgo ed all’uomo della provvidenza.
Per affrontare e risolvere le controversie, quello che serve al magistrato è riserbo ed equilibrio, per finalmente ottenere una giustizia mite in un paese normale, non dimenticando che si giocano le sorti liberali delle persone e dei loro patrimoni.
Probabilmente sarò un romantico della giustizia, ma cosa rimane se ai puri si tolgono le illusioni.