I Promessi Sposi – Il Nibbio e Don Rodrigo – Continua la narrazione del giurista blogger Giovanni Cardona dei personaggi de “I Promessi Sposi” visti sotto il profilo antropologico-criminale
Di uguale caratura del Griso e il Nibbio.
Costui dichiara di aver sentito compassione per Lucia, mentre la rapiva dal monastero di Monza; la sua era una compassione crepuscolare e senza alcun effetto pratico.
Lo stesso Nibbio, non appena avverte questo sentimento, è lesto a vergognarsene come d’una debolezza: “E’ una storia, la compassione, un po’ come la paura: se uno la lascia pigliar possesso, non è più uomo.” (cap. XXI).
Ma era realmente avvenuto quel moto dell’animo?
Manzoni ci previene a dubitarne, informando che l’Innominato aveva impartito l’ordine di far coraggio a Lucia con le parole che fanno piacere in quei momenti.
II Nibbio si crede perciò autorizzato a commuoversi per dare ad intendere al suo signore che ne aveva in tutti i modi eseguita la volontà.
Di Don Rodrigo, con qualche oscuro rimorso nel fondo dell’anima, Manzoni descrive la personalità torva.
Eppure Don Rodrigo, più che un delinquente nato, è un criminaloide abituale, in parte prodotto dei suoi tempi, ardito coi deboli, vile coi grandi.
L’imposizione a Don Abbondio, il contegno con il Padre Cristoforo, le parole al Griso specificano il carattere del tirannello burbanzoso.
Incontrata Lucia, s’illude, per vanità, di poterla sedurre con uno sguardo.
La considerazione per Lucia e le persone del suo contado, la manifesta cosi: “Chi si cura di costoro a Milano?… Chi sa che ci siano? Sono come gente perduta; sulla terra: non hanno neanche un padrone. Gente di nessuno.”.
Poi fantastica di Lucia in suo dominio: “Avrà tanta paura di trovarsi qui sola, in mezzo a queste facce che… il viso più umano qui son io, per bacco… che dovrà ricorrere a me, per piegarsi ella a pregare, e se prega… “.
Quando apprende che Renzo e Lucia sono fuggiti: “Fuggiti insieme” grida. “E quel frate birbante, quel frate! La parola usciva arrantolata dalla strozza e smozzicata fra i denti che mordevano il dito; il suo aspetto era brutto come le sue passioni.” (Cap. XI).
Da questa collera convulsiva, caratteristica dei criminali, Don Rodrigo è stato assalito già nel colloquio con il Padre Cristoforo; era quindi abituale, e si ripete negli ultimi istanti della sua vita contro il Griso che, sotto gli occhi, lo deruba.
Nessuna potenza inibitrice esercita su Don Rodrigo la religione, e nessuna affettività lo adorna.
In un ritrovo di amici, fa ridere la compagnia con una specie di elogio funebre del conte Attilio, portato via dalla peste due giorni innanzi.
Si dimostra così doppiamente antisociale, sia per l’insufficienza delle facoltà inibitrici, che per l’esagerazione degli stimoli primitivi.
Manzoni tratteggia il conte Attilio come più ripugnante del cugino col quale costituisce una coppia criminale.
Certo, è più spavaldo nella ribalderia; aizza e non arrischia che un po’ di denaro; la coppia – Don Rodrigo e conte Attilio – rappresenta il ritorno alla presocialità, quando nessun ostacolo era opposto alla volontà dei singoli.
(continua)