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I pensieri di una piovosa notte di Natale

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Editoriale di Bartolo Ciccardini

I pensieri di una piovosa notte di Natale

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Cosa vuol dire un dio bambino? E non il bambino lussureggiante della nostra pittura
rinascimentale che copia il giovane “Eros” della cultura greca, ma un vero infante
che ancora non vede bene le immagini, che non ha gli strumenti fisici e psicologici
per parlare, che cerca, senza saperlo, il latte e quel caldo materno da cui è stato
espulso.
Francesco d’Assisi rivivendo alla sua maniera che amava, con amore delicato e fantasiosamente
assoluto, il sole, le stelle, l’acqua ed i passerotti, ci ha donato con il presepe
un dio-bambino dolce e dolcemente nudo, con una mamma adorante ed un padre dolcemente
pio, con un bue ed un asino estasiati e dei pastori educatamente stupiti e composti.

Era molto più di così e non era così. Il mistero entrava nella storia e chi aveva
occhi per vedere tremava per come dura e terribile sarebbe stata la Storia: i tre
sapienti che fuggivano inorriditi e l’ultimo profeta che annunciava di quante spade
sarebbe stata capace quella Storia. Ma anche i personaggi che ancora non erano in
grado di capire non erano affatto come le nostre figurette del presepio. Lei, la
ragazza povera, di nobile genealogia, ma stranamente confinata in un povero e crudele
villaggio di profughi dalla Babilonia, che aveva accettato una sfida terribile, armata
solo della fiducia in Dio, spaventata da morire, che corre lontano dal suo paese,
presso l’anziana cugina Elisabetta, per nascondere la gravidanza, sapendo di poter
essere lapidata o ripudiata, che ha partorito sulla paglia, fra i caldi escrementi
degli animali, questa volta sì, veramente domestici. E lui, un povero carpentiere,
con l’albero genealogico perfetto, con un mestiere nobile, ma non redditizio, l’uomo
che inseguiva sogni senza confine. L’orribile maschilismo dei nostri secoli ci ha
nascosto la imponderabile profondità di questo uomo “giusto” che obbedendo ad un
sogno si rifiuta di ripudiare (e di consegnare alla lapidazione) una fanciulla di
cui intuisce l’innocenza. Obbedendo ad un sogno fuggirà in un paese demoniaco, ricco,
ma in preda agli idoli, il paese dei morti, estremo rifugio dei vivi. Ed i pastori,
ultimo gradino dell’umanità, scomunicati che non potevano accedere al tempio, intoccabili
come i paria.

Frate Francesco, la Storia è più dura del tuo bel presepio! È questa la Storia che
sarà violentata dal bellissimo Bambino.

A questo punto la nostra mente si perde, si confonde, trema e si rifiuta. Il mistero
con la sua follia ci travolge.Quel Bambino, sa di essere Dio?

Il padre inseguì un sogno, ma quale è la materia dei sogni? La madre ha una fiducia
irremovibile nella promessa di un Angelo, che è sempre un personaggio conturbante
e sfuggente. Ma sanno cosa vuol dire che un Dio entri nella Storia, non con la sua
divinità, ma con la nostra umanità?

Quando capirà la sua vocazione questo bambino? Era già grande, silenzioso e studioso,
attento al mestiere del Padre, non amato dai suoi fratelli e dai suoi vicini. Lo
svegliò Giovanni che battezzava i convertiti di una religione difficile e severa.
Allora fuggì nel deserto per capire se stesso e cosa fosse quel fuoco che gli ardeva
dentro. Ebbe il sospetto o la certezza di essere quel Cristo annunciato dalle Scritture,
che aveva così attentamente studiate? Vorremmo saperlo e non lo sappiamo. Forse neppure
Lui, “vero uomo”, poteva saperlo. Quando Giovanni, prigioniero vicino all’esecuzione,
glielo mandò a chiedere (“Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio?”), gli rispose con
le parole della Scrittura, chiare a Dio, ma ambigue per gli uomini: “Ditegli quello
che vedete: i ciechi vedono, gli sciancati camminano, i morti risuscitano.”.

Risposta ambigua, come se accettasse controvoglia la sua capacità di fare prodigi.
Cercò di rinviare sgarbatamente il suo primo miracolo. E cercò di nascondere la forza
prodigiosa che gli usciva dal cuore. Impose ai discepoli che si parlasse della sua
terribile vocazione. Fino all’ultimo momento cercò di allontanare l’amaro calice.
Era un uomo, un povero uomo spaventato della sua divinità.

Ma era anche un Dio salvatore, che sapeva che, per violentare la Storia, il suo trono
sarebbe stato la Croce.

Come vorrei essere un “laico” per essere innamorato della grande umanità di questo
povero “uomo”, di questo impossibile personaggio di una piccola tribù fanatica, nella
più lontana e riottosa provincia del grande impero romano, che rovescerà tutte le
credenze, tutte le certezze, tutte le idee della umanità, per predicare, la pace,
la giustizia e l’amore. Come vorrei amare ed adorare il cosiddetto “Cristo storico”!
Invece credo che un Dio follemente innamorato di noi sia venuto a morire “da uomo”
per salvarci e riscattare “a caro prezzo” la nostra schiavitù alla morte. Allora
tutto sembra semplice, possibile, naturale e persino noioso

” È Natale, è la festa di Gesù!”

“Chi? Quel vecchio signore bonario della Coca Cola, vestito di rosso, che porta i
regali?”

“Non so. Mi pare che ci sia di mezzo un bambino, ma forse parlarne non è “political
correct”.

“Cosa mi hai regalato quest’anno?”.

Questo è il vero mito, questa è la vera ideologia. Ma nella Storia, quella laica,
non mitologica, c’è sempre un bambino, figlio di clandestini che nasce e che morirà
per noi, ma non fatevene accorgere.

Bartolo Ciccardini