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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 23 APRILE 2024

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Gli “Stati” nello Stato: mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita e… chi più ne ha ne metta

Gli “Stati” nello Stato: mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita e… chi più ne ha ne metta

La scrittrice interviene in merito al servizio televisivo “Le Iene”

di MIRELLA MARIA MICHIENZI

Gli “Stati” nello Stato: mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita e… chi più ne ha ne metta

La scrittrice Interviene in merito al servizio televisivo “Le Iene”

 

di Mirella Maria Michienzi

 

 

Gentile Editore, nonché amico, Luigi Longo, dopo la tua telefonata, in cui mi invitavi a scrivere un editoriale sul servizio fatto da ” Le Iene ” mercoledi u.s. , non avendo visto la trasmissione, ho cercato di documentarmi leggendo più volte un articolo scritto dalla stessa redazione di Approdonews sul suddetto servizio.
In verità sono rimasta un po’ perplessa, perché la redazione attacca soltanto il parroco Don Memè con discorsi che sono vera e pura retorica e demagogia. Forse la redazione avrebbe fatto di gran lunga meglio a puntare il dito e ancor di più l’attenzione al Porto di Gioia Tauro. Il servizio, intitolato “Il Porto controllato dalla ‘ndrangheta”, che viene anche definito dall’inviato, come voi stessi scrivete, “Porta d’Europa del traffico di cocaina”!
Se l’inviato delle Iene definisce così, coram populo e senza nessuna remora, il Porto di Gioia Tauro io mi pongo una domanda che avrebbe dovuto porsi la redazione: Ma lo Stato dov’è? Questo status quo è colpa delle dichiarazioni di Don Memé o di chi finge di non vedere?
Quando lo Stato non fa notare la propria autorevole presenza che garantisce al cittadino diritti e doveri, giustizia e democrazia, succede che allora nascono gli “Stati” nello Stato.
Pochi giorni fa abbiamo assistito all’assenza dello Stato all’Olimpico di Roma. Non mi riferisco ai poliziotti che erano in prima linea ma a ben altro…Uno Stato davanti a una scritta inneggiante su una maglietta (Speziale Libero) avrebbe dovuto comportarsi in ben altro modo…invece di un arresto abbiamo assistito ad amichevoli contatti con il capopopolo.
Non è l’amicizia di un parroco con un boss che ci deve fare scandalizzare (tra l’altro voi stessi in maniera contraddittoria affermate che un pastore della Chiesa deve avvicinare le famiglie della ‘ndrangheta per farle ravvedere). Non servono anatemi o scomuniche; non servono parole ma fatti. Lo scandalo non è Don Memè ma lo è il bendarsi gli occhi.
In quanto al riferimento a Don Ciotti… bèh, anche qui, bisogna essere realistici. Nessuno, non solo Don Ciotti, può eliminare il mestiere più antico del mondo. Don Ciotti si dovrebbe battere per levare queste donne dalle strade, per fare eliminare la legge Merlin, per fare riaprire ” le case chiuse” affinché queste donne siano in ambienti protetti e controllati e, perché no, paghino le tasse. Così viene salvaguardata la salute dell’intera società.
Don Memè, come riferite nel vostro articolo, dice: ” Purtroppo la mafia dà lavoro e lo Stato il lavoro non lo dà”. Il “purtroppo” scagiona il sacerdote da false e stucchevoli interpretazioni.
E’ giusto non essere violenti, è giusto essere onesti (e sul tema dell’onestà ci sarebbe da scrivere molto ma basta seguire giornalmente i TG per rendersi conto di quanto ne siano prive le alte sfere, quelle che dovrebbero dare il buon esempio… non è solo una caratteristica della mafia e compagnia bella) … però, purtroppo, l’essere umano, cervello compreso, è comandato dai bisogni dello stomaco che, quando è vuoto, non fa più ragionare e fa dimenticare tutti i buoni propositi e tutto il bene verso cui ognuno di noi aspira. Lo scorso anno sono rimasta inorridita e addolorata quando un’intera famiglia si è suicidata per mancanza di lavoro, non aveva nemmeno da comprarsi il pane quotidiano. Eppure quest’episodio è passato nel dimenticatoio e, aggiungo, per fortuna, altrimenti ci sarebbero suicidi in massa.
P.S. Tengo a precisare che non sono una malavitosa ma sono essenzialmente una donna libera con una grande aspirazione : una società democratica di fatto e non di parole.

” Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gettò disteso a’ piedi,
dicendo: Padre mio, ché non mi aiuti?
Quivi morì; e, come tu vedi,
Vid’io cascar li tre ad uno ad uno
……………………………………………
Poscia, più che il dolor, poté il digiuno……”
Dante Alighieri, Divina Commedia Canto XXXIII dell’ Inferno v.v. 67-75

E ancora una volta un pezzo di Leonardo Sciascia per me indimenticabile e come insegnante e come cittadina.
“Mentre parlavo vedevo gli occhi lucidi dei miei alunni, come se dicessero: Maestro, tu parli di Garibaldi e di Mazzini, ma a noi che importa? Noi abbiamo fame!”