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TAURIANOVA (RC), SABATO 04 MAGGIO 2024

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Gioia Tauro in lacrime, una folla immensa ai funerali dei giovani morti sull’autostrada Le quattro bare sono state allineate sul sagrato della chiesa Maria Santissima di Portosalvo. La messa è stata officiata da tutti i parroci della città. Presenti il governatore Oliverio, il suo vice D'Agostino e il presidente della Provincia Raffa

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di Domenico Latino

GIOIA TAURO – Condividetelo tutti questo dolore. Perché è troppo grande per essere contenuto nel cuore delle mamme, nel petto dei papà, negli occhi degli amici. Nell’anima di questa città, messa in ginocchio davanti ad un’immane tragedia. Chissà per quanto tempo ancora ci porteremo dentro i nomi di questi nostri ragazzi urlati al vento dai familiari, dai compagni di una vita troppo breve, dalle migliaia di persone che, ad esequie terminate, hanno accompagnato i feretri in un drammatico corteo dal piazzale della chiesa Maria SS di Portosalvo, lungo la via Francesco Tripodi, fino alle porte del centro. Là, dove quel confine immaginario separa i quartieri del mare da “Gioia città”. Li urlavano ad ogni passo, ed ogni volta era un colpo alla schiena già graffiata dai pianti lancinanti. Ogni nome era un brivido che ti paralizzava le gambe, ti mescolava lo stomaco. “Vai Ciccio!”, “forza, Peppe!”, “Nato!”, “Marzio, ci sei pure tu!”: da sotto le bare, dai bordi delle strade delineate da cordoli umani, da sopra i balconi. Al loro passaggio, giù applausi scroscianti. Abbracci, fazzoletti agli occhi, baci, segni di croce. Abbiamo pianto tutti, perché nasconderlo? Tra le preghiere, dentro le divise, dietro le telecamere, sotto il copricapo dei giubbini bagnati dalla pioggia, celati dalle nostre macchine fotografiche, protetti dagli occhiali da sole, in un pomeriggio in cui il cielo era nero e il freddo ti penetrava le ossa. E poi, quell’ultimo saluto, davanti ai lunghi carri funebri: le poesie recitate a sospiro, quei corpi riversi sulle bare, i nodi in gola e l’urlo finale. “Ciao ragazzi!”. Ieri, Gioia ha conosciuto un giorno tremendo, e questa generazione lo porterà dentro per sempre. Dalle prime ore del mattino, le vie principali sono un via vai di fiori, corone, cuscini. Gli spazi pubblici non bastano ad ospitare i manifesti di cordoglio. Le vie che portano alle camere ardenti sono interdette al traffico. Intorno alle dieci, le scuole si fermano per un minuto di raccoglimento. Poi è l’ora della difficile riflessione in classe. Il tempo si dilata ed è solo una lenta attesa che porterà migliaia di persone ad omaggiare le vittime e stringersi attorno ai loro poveri parenti. Mancano più di due ore all’inizio dei funerali e una piccola folla comincia a radunarsi di fronte piazza del Marinaio, pronta a salutare i suoi giovani figli. A pochi metri, la società dove è esposta la salma di Nato. È lui ad essere portato via per primo in modo da ricongiungersi con gli altri e poi ritornare insieme. Uniti, fino alla fine. La crudele processione parte da via Veneto e, dolente, giunge sul posto intorno alle 14. Quattro grigi veicoli procedono in fila, a passo d’uomo; dietro ognuno, i familiari affranti tengono stretti i quadri con le foto dei loro angeli. Li accolgono gli studenti del “Severi”, le associazioni sportive, i ragazzi del quartiere con la divisa da portatori. I carri si dispongono in fila e le bare vengono sollevate in spalla per l’alzabandiera. La possente voce del marinaio in pensione Santo Manucra squarcia il silenzio: “La Marina saluta i suoi figli!”. Il momento è solenne. I feretri avanzano fino a fare il loro ingresso in chiesa dove inesorabile, per oltre un’ora, prosegue il rito della stretta di mani. Fuori non cade uno spillo. Donne, anziani, bambini, famiglie. La chiesa Maria SS di Portosalvo non è riuscita a contenere la marea di persone che hanno voluto partecipare alle esequie: amici, conoscenti, compagni di scuola, semplici cittadini attendono raccolti per ore in un assordante silenzio. Anche all’esterno, in attesa che inizi la funzione. I carri allineati sono carichi di fiori. Si cerca un angolino, si apre qualche ombrello. I giovani indossano una maglietta con su scritto: “anche in paradiso avrete il priveè, ciao angeli” e davanti: “nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta”. Alle 16 in punto comincia la triste cerimonia. Sono presenti le più alte autorità civili e militari: l’Amministrazione comunale, con in testa il sindaco Pedà; il presidente della Provincia, Giuseppe Raffa; il vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco D’Agostino; il primo cittadino di Villa San Giovanni, Antonio Messina. Dopo un po’ giunge anche il governatore Oliverio. Sull’altare ci sono tutti i sacerdoti della città ma a celebrare è don Gianni Gentile, il parroco che questi ragazzi li ha visti crescere. Il suo è un messaggio di coraggio e di speranza ai genitori delle vittime, in questi giorni angoscianti tormentati dai “perché”. “Sono le domande della ragione e dell’istinto umano – evidenzia nell’omelia – ma la liturgia ci dice che, mentre viene distrutto questo corpo terreno, il Signore preparerà per noi un’abitazione eterna in cielo”. Parole che, purtroppo, in questi momenti risultano come incomprensibili. “Sorella morte è intervenuta a gamba tesa sui nostri quattro giovani – continua don Gianni – ma Cristo ha vinto la morte e, anche se non sono più in mezzo a noi, Gesù darà loro l’eternità”. Questa la consolazione della fede, che nel quartiere si regge anche sulla devozione verso la Madonna di Portosalvo, della cui statua i quattro ragazzi erano portatori, l’8 settembre di ogni anno. “Solo la fede potrà dare luce all’interno del vostro cuore che nemmeno io so interpretare – aggiunge il sacerdote. Quanti sentimenti, quanti fiumi di parole sono finiti dentro di noi? Ma tutto questo non può raffreddare l’atroce dolore. Morire a 20anni è una tragedia enorme. I fiori di casa, coltivati con sacrifici e con impegno, se ne vanno. Lasciano il giardino terreno: che il Signore li possa trapiantare in quello celeste”. Fuori, una folla oceanica impietrita ascolta dagli altoparlanti allestiti per l’occasione. “Questi fiori li conoscevo benissimo – racconta – e hanno lasciato un grande vuoto: la morte è entrata in tutte le case di Gioia. È un dolore che ci accumuna tutti, le mie parole non possono mai lenire queste sofferenze”. Prima di lasciare spazio alle riflessioni, don Gianni lancia un monito alle nuove generazioni: “non si lascino rubare la vita, il cui valore è immenso, da fattori oggettivi che molte volte sono contingenti – ammonisce – è giusto che ricorrano al loro habitat giovanile e che si divertano ma è anche giusto che vivano. Siate dunque più prudenti, sapienti a difendere la vostra esistenza. Che il sangue di questi ragazzi possa portare ad una nuova era”. Il sacerdote, da sempre vicino ai più giovani, chiude l’omelia parafrasando il testo di una canzone – “Carillon” di Mr Rain – interpretata in chiave Cristiana: “l’ho ascoltata e mi sono subito piaciute le parole che vorrei fare loro – ha spiegato: “quando vorrai cercarmi saprai dove trovarmi/tu parlane come se fossi ancora qua/vorrei vivere ogni ora come se fosse l’ultima/ma so che c’è un posto per me Oh Gesù/ma nulla ha senso se poi non ci sei tu. Sorridimi come sai fare tu/non c’è nessuno/tienimi per mano mentre parlo/tutti sanno che ti amo/che ti voglio bene e di certo continuerò a farlo/ricordati di me e di tutto ciò che è stato/ma sai non c’è futuro per chi vive nel passato/io sarò sempre qua al tuo fianco/mai nessuno ci dividerà. Nella vita perdi sempre tutto ciò che vuoi/tornare indietro nel tempo non puoi/ma so che c’è un posto per noi/lascia che il tempo porti via la pioggia/nessuno ci dividerà mai più; mai”. Le bare escono dalla chiesa una dietro l’altra seguite da lunghi e scroscianti applausi. Palloncini bianchi si levano in cielo mentre le lacrime solcano i visi. Marzio, Peppe, Checco, Nato: buon viaggio tra le stelle, anime splendide. Vegliate sui vostri cari e su questa città.

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