Enrico Berlinguer aveva messo luce sui primi giochi di potere che ci portiamo dietro ancora oggi
Giu 14, 2022 - redazione
Di Mariachiara Monaco
Se provassimo ad andare indietro nel tempo, all’11 giugno 1980, ci ritroveremo a vivere in un
contesto molto complesso, fatto di sangue e di proiettili che indisturbati colpiscono politici,
magistrati, giornalisti, membri delle forze dell’ordine.
In Calabria, proprio in quel periodo, venne assassinato a Rosarno Giuseppe Valarioti, giovane
segretario della sezione comunista della città reggina, che senza timori o reticenze, aveva fatto i
nomi di chi usava ogni mezzo per condizionare la vita economica nella piana di Gioia Tauro, e
pochi giorni dopo toccò a Giovanni Losardo, figura emblematica per il Pci del Tirreno cosentino,
assassinato per aver denunciato le infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale.
Gli occhi della nazione erano puntati sulla nostra regione e l’allora segretario del Pci, Enrico
Berlinguer, decise di recarsi in Calabria, e proprio a Cetraro, davanti ai cittadini sottolineò la crisi di
un sistema politico che non funzionava e che si lasciava trasportare dal fenomeno della criminalità,
senza alcuna difficoltà. Egli disegnò un quadro destinato a perpetuarsi, e lo fece con queste parole:
«Negli ultimi anni, qui, si è fatto di tutto per indebolire e scoraggiare il movimento democratico
forte e combattivo, che con caratteristiche di vera e propria lotta di massa, si batteva contro la mafia
per aprire concrete prospettive di lavoro e di sviluppo (…)».
A Cetraro, l’onorevole Berlinguer aveva anticipato, quella che poi passò alla storia come “questione
morale”, soffermandosi sulla politica e sui partiti, intesi come macchine di potere e di clientela che
si muovono soltanto quando è in gioco il potere, pronti a gestire interessi contraddittori, loschi,
senza perseguire il bene comune, ma piuttosto dando vita a nuove federazioni, ciascuna guidata da
un boss. Gli stessi boss che avevano condannato ad una fine atroce i due giovani esponenti
comunisti, ancora senza giustizia.
Simbolo della prima repubblica, Berlinguer aveva messo luce sui primi giochi di potere, che ci
portiamo dietro ancora oggi. Aveva poi, attraverso il famoso “Compromesso storico”, proposto ai
democristiani dell’onorevole Moro, una collaborazione di governo volta a realizzare un programma
di profondo rinnovamento della società. Ma il rapimento da parte delle Br, e successivamente,
l’uccisione del presidente della Dc, principale interlocutore, contribuì fortemente al suo fallimento.
In uno dei suoi libri, Giulio Andreotti, leader democristiano e più volte presidente del Consiglio,
dedicò un intero capitolo a Berlinguer, egli lo descrisse con queste parole :“Enrico aveva lo stesso
tono calmo e dall’apparenza distaccata quando vi preannunciava un voto favorevole o quando
considerava esaurito un esperimento” e poi, successivamente, lo definisce come un “duro avversario
ma uomo corretto e responsabile”.
Sono passati 100 anni dalla sua nascita, e 39 dalla sua morte. In un caldo pomeriggio di giugno,
venne colpito da un ictus a Padova, durante un comizio e morì quattro giorni dopo. Il suo funerale, a
Roma fu un evento di massa, a cui parteciparono tanti leader provenienti da tutto il mondo come
Gorbaciov, Arafat, Ziyang.
Famosa fu l’immagine del presidente della Repubblica, Sandro Pertini, vicino al feretro di
Berlinguer, addolorato e triste per la perdita del compagno, al quale dedicò queste parole
rivolgendosi ai giornalisti: « Enrico era un amico fraterno, un figlio, un compagno di lotta ».
Morì all’età di 62 anni, rimpianto dai più anziani, nostalgici di una politica fatta di passione sincera
e di partecipazione popolare, e desiderato dai più giovani, che non hanno avuto la possibilità di
conoscerlo.