Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), VENERDì 26 APRILE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Diritto all’oblio, fine della storia "Per gente indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma per i posteri mai vissuta. Voi umani, dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande criminale innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato"

Diritto all’oblio, fine della storia "Per gente indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma per i posteri mai vissuta.  Voi umani, dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande criminale innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato"
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

Intervista al dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie.

Cosa c’entra Lei che non è giornalista con il Diritto all’Oblio?

«Io della Cronaca faccio Storia. Ciononostante personalmente sono
destinatario degli strali ritorsivi dei magistrati. A loro non piace che si
vada oltre la verità giudiziaria. La loro Verità. Oggi però sono intere
categorie ad essere colpite: dai giornalisti ai saggisti. Dagli storici ai
sociologi. Perché oggi in tema di Diritto all’Oblio e Libertà di
espressione, la Cassazione tutela meno del Regolamento Privacy. Una recente
sentenza della Cassazione colpisce un giornale (Prima Da Noi) con una
interpretazione inedita e pericolosa del diritto all’oblio. Superando le
previsioni dei Garanti Privacy e della Corte europea dei Diritti dell’Uomo».

Cosa dice la legge sulla Privacy?

«La nuova normativa, concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed
il diritto di cronaca, è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice
privacy che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato
art. 25 della Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la
professione di giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto
all’elenco dei pubblicisti o dei praticanti, o che si limiti ad effettuare
un trattamento temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o
diffusione occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del
pensiero:

può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza
dell’autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell’art. 26 del D. Lgs.
196 del 2003;

può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall’art.
27 del Codice privacy;

può trasferire i dati all’estero senza dover rispettare le specifiche
prescrizioni previste per questa tipologia di dati;

non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni
né per il trattamento di dati sensibili».

Cosa prevedeva la Legge e la Giurisprudenza?

«Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost.
non può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta, ma è
necessario porre dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con
quelli dell’onore e della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni
morali ingiustificate. La decisione si trova in completa armonia con altre
numerose pronunce della Corte. La Cassazione, infatti, ha costantemente
ribadito che il diritto di cronaca possa essere esercitato anche quando ne
derivi una lesione dell’altrui reputazione, costituendo così causa di
giustificazione della condotta a condizione che vengano rispettati i limiti
della verità, della continenza e della pertinenza della notizia. Orbene, è
fondamentale che la notizia pubblicata sia vera e che sussista un interesse
pubblico alla conoscenza dei fatti. Il diritto di cronaca, infatti,
giustifica intromissioni nella sfera privata laddove la notizia riportata
possa contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti
oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine, richiede la
correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga mantenuta
nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova
ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale
deve essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo,
sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità
complessive con le quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009).
Tanto premesso si può concludere rilevando che pur essendo tutelato nel
nostro ordinamento il diritto di manifestare il proprio pensiero, tale
diritto deve, comunque, rispettare i tre limiti della verità, pertinenza e
continenza. Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza
e della continenza della notizia. L’art. 51 codice penale (esimente
dell’esercizio di un diritto o dell’adempimento di un dovere) opera a favore
dell’articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto
di pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse pubblico. In
merito all’esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte
con Sentenza n 18174/14 afferma: “la cronaca ha per fine l’informazione e,
perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie, mentre se il
giornalista, sia pur nell’intento di dare compiuta rappresentazione, opera
una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne sottolinei
dettagli, all’evidenza propone un’opinione”. Il diritto ad esprimere delle
proprie valutazioni, del resto non va represso qualora si possa fare
riferimento al parametro della “veridicità della cronaca”, necessario per
stabilire se l’articolista abbia assunto una corretta premessa per le sue
valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: “Invero questa Corte è
costante nel ritenere che l’esimente di cui all’art. 51 c.p., è
riconoscibile sempre che sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della
pubblicazione, quindi il loro rilievo per l’interesse pubblico e, infine, la
continenza nel darne notizia o commentarli … In particolare il
risarcimento dei danni da diffamazione è escluso dall’esimente
dell’esercizio del diritto di critica quando i fatti narrati corrispondano a
verità e l’autore, nell’esposizione degli stessi, seppur con terminologia
aspra e di pungente disapprovazione, si sia limitato ad esprimere l’insieme
delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n. 10031)”».

Con la novella di cosa si sta parlano?

«La sentenza 13161/16 del 24 giugno 2016 (Presidente Salvatore Di Palma,
relatore Maria Cristina Giancola) entrerà nella storia perché cancella la
Storia. La Suprema Corte ha infatti allargato di parecchio la sfera del
diritto all’oblio (right to be forgotten) secondo cui si può far valere il
diritto ad essere dimenticati, ovvero a fare in modo che il nostro passato
non ritorni a galla con una ricerca online anche dopo anni. La Cassazione,
ha stabilito che “un articolo di cronaca su un accoltellamento in un
ristorante dovesse essere cancellato dall’archivio digitale perché pur
essendo corretto, raccontando la verità e non travalicando i limiti di
legge, aveva prodotto un danno ai ricorrenti, cioè i soggetti attivi della
vicenda di cronaca giudiziaria”. Vicenda che, ai tempi della richiesta di
rimozione dell’articolo, non si era ancora conclusa in giudizio. Spiega
Vincenzo Tiani: “La Cassazione richiama la celebre sentenza Google Spain
(C-131/12) che ha sancito per prima l’esistenza di un diritto ad essere
dimenticati, e le linee guida dell’Art. 29 Data Protection Working Party
(WP29) redatte dopo la sentenza (novembre 2014). Peccato che ciò che la
Corte di Giustizia Europea (CJEU) ha sancito in quell’occasione è che ogni
soggetto ha diritto sì alla de-indicizzazione dai motori di ricerca delle
notizie che lo riguardano, qualora lesive della sua dignità, denigratorie,
non più rilevanti per l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali
informazioni dovessero essere rimosse dagli archivi dei giornali,
soprattutto laddove tale pubblicazione fosse legale, come nel caso in
specie. Ci si riferisce sempre alla lista di risultati che fornisce il
motore di ricerca e mai alla notizia di per sé. Se poi andiamo a leggere le
linee guida di WP29, al paragrafo 18 questo indirizzo viene confermato. Si
dice infatti che la de-indicizzazione non riguarda i motori di ricerca di
piccola portata come quelli dei giornali online. Ergo non vi è un obbligo
per la testata non solo di rimuovere l’articolo ma neanche di
de-indicizzarlo dal proprio motore di ricerca, cosa che avrebbe lo stesso
effetto di rimuoverlo visto che lo renderebbe di fatto introvabile.”»

Cosa dice la sentenza Google Spain?

«La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 (Google
Spain case, nda), del 13 maggio 2014, ha disposto che i singoli individui
possono chiedere ai motori di ricerca di rimuovere specifici risultati che
appaiono effettuando una ricerca con il proprio nome, qualora tali risultati
siano relativi all’interessato e risultino obsoleti. Un risultato può essere
considerato obsoleto quando la tutela dei dati personali dell’interessato
prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui
tale risultato rimanda. E su questo che si deve ragionare. I risultati della
ricerca devono essere vagliati per verificare quale dei due diritti
fondamentali, quello alla privacy e quello di cronaca, debba prevalere.
Ciononostante con la nuova GDPR (General Data Protection Regulation, Reg.
2016/679), che entrerà in vigore nel 2018 sostituendo la ormai obsoleta
direttiva 95/46/EC, il Diritto alla Cancellazione (o diritto all’Oblio) è
stato introdotto dall’Art. 17. Secondo la nuova norma, qualora sussistano
alcuni dei motivi previsti successivamente, l’interessato ha il diritto di
ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali
che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento
ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali […]
Tuttavia, al comma 3, si prevedono talune eccezioni. Chi detiene e fa uso
dei dati dell’interessato (il titolare del trattamento, il giornale in
questo caso) non dovrà dare seguito alla richiesta di cancellazione qualora
tale uso sia stato lecitamente fatto:

a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di
informazione;

d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o
storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1,
nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere
impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di
tale trattamento».

Quali sono stati gli effetti?

«Google rende noti i dati relativi al diritto all’oblio fino al 2015
introdotto da una sentenza della corte di Giustizia Ue nel maggio 2014, che
garantisce il diritto dei cittadini europei a veder cancellati sui motori di
ricerca i link a notizie personali “inadeguate o non più pertinenti”. I link
rimossi sono 580mila».

Allora sembra essere tutto risolto!

«Per nulla! Siamo in Italia e per gli ermellini nostrani l’interesse
pubblico cessa dopo due anni. Spiega Vincenzo Tiani: “Quello che la
Cassazione ha pensato invece è che, scaduti 2 anni e 6 mesi, tale eccezione
venga meno. Non solo questa interpretazione mette a repentaglio il diritto
alla libera informazione, lasciando spazio a una censura della stampa
approvata dalla Corte stessa, ma viola il diritto di difesa (artt. 24 e 25
Cost.) poiché si basa su una legge non scritta e su una interpretazione
totalmente libera e priva di solide basi che la possano rendere
condivisibile. Il termine di 2 anni e 6 mesi è totalmente arbitrario oltre
che ingiustificato. Forse che la stampa sia destinata, in un prossimo
futuro, a sopravvivere giusto il tempo di un like su facebook?”»

Cosa ha detto la vittima azzannata degli ermellini?

«”Confesso che ci abbiamo messo più di un giorno per comprendere che si
trattava di una sentenza reale ed ufficiale del massimo organo giudiziario –
scrive il direttore Alessandro Biancardi il 30 Giugno 2016 su “Prima Da
Noi”. La cosa ci ha colpito ulteriormente perchè dopo le pessime esperienze
nel piccolo tribunale di provincia riponevamo una certa fiducia nella
inappellabile Cassazione. Ci siamo sbagliati ma almeno ora sappiamo di che
morte dovremo morire noi, la libertà di stampa e soprattutto la libertà di
informarsi. Non spenderemo più parole per esprimere il nostro sdegno ed il
nostro disgusto per aver raccolto solo umiliazioni in una guerra che abbiamo
deciso di combattere da soli contro tutti per la libertà e la dignità di un
Paese quando nessuno sapeva cosa fosse il diritto all’oblio, una invenzione
che nella nostra esperienza permette a lobby e pregiudicati di tornare
nell’ombra indisturbati. Siamo di fronte ad una situazione più che assurda
generata dal giudice dei giudici che condanna un giornalista che ha fatto
bene il proprio mestiere ma che ha provocato un danno violando una norma che
non esiste e che stabilisce la scadenza di un articolo. Assurdo perchè siamo
stati condannati una prima volta perchè non avevamo cancellato l’articolo e
pure una seconda volta pur avendolo cancellato ma non abbastanza in fretta.
Assurdo perchè gli ermellini dicono in sostanza che i due che si sono
accoltellati nel loro ristorante hanno avuto un danno all’immagine (loro e
del ristorante) non dalla violenza del gesto di cui si spera siano
responsabili ma dal suo racconto rimasto fruibile sul web. Assurdo perchè si
stabilisce che in venti anni il Garante della Privacy non ci ha capito
niente. La domanda però è: ora ci dite come avremmo dovuto e potuto fare per
non incorrere in questa violazione? Dove avremmo dovuto leggere la data di
scadenza dell’articolo? Sul retro, sul tappo, sul codice civile, penale,
deontologico? A proposito ma un giornalista che cancella articoli siamo
sicuri che rispetta le leggi della categoria (l’autocensura è condannata, la
post censura no)? Ma sappiamo bene il perchè dopo sei anni siamo i primi ad
essere stati condannati per questo: perché la maggior parte dei siti
preferisce cancellare per non ‘avere problemi’ nonostante non ci sia una
legge che impone il dovere di farlo. Dal canto nostro non riusciremo a far
fronte alla mole di danni che abbiamo provocato con 800mila articoli in
archivio esercitando correttamente il nostro lavoro di onesti giornalisti e
per questo molto difficilmente il quotidiano potrà sopravvivere, schiacciato
da superficialità, poteri forti e sentenze impossibili da immaginare in un
Paese davvero serio. Ma noi siamo l’ultimo dei problemi, cercheremo
giustizia fuori dall’Italia e con il tempo anche la gente capirà, ci
volessero anche 20 anni ma alla fine capirà…”.»

Ed allora, quali gli effetti sul suo operato?

«Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o
del fair dealing ai sensi delle leggi internazionali vigenti sul copyright.
Le norme internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di
opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico.
Infatti sono autore di oltre un centinaio di libri con centinaia di pagine
che raccontano l’Italia per argomento e per territorio. A tal fine posso
assemblare le notizie afferenti lo stesso tema per fare storia o per fare
una rassegna stampa. Questo da oggi lo potrò fare nel resto del mondo, ma
non in Italia: la patria dell’Omertà. Perchè se non c’è cronaca, non c’è
storia. Ed i posteri, che non hanno seguito la notizia sfuggente, saranno
ignari di cosa sono stati capaci di fare di ignobile ed atroce i loro
antenati senza vergogna».