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Diffamazione Pantano, assolto Giovanni Pecora

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Il Tribunale di Palmi, sezione Penale, in composizione monocratica, Dott. Giuseppe Ramondino, ha assolto Giovanni Pecora, Vicepresidente della Fondazione Antonino Scopelliti, accusato di diffamazione nei confronti del giornalista Agostino Pantano. Il processo trae origine dalla querela sporta dallo stesso Pantano, con la quale aveva denunciato l’accadimento di due episodi asseritamente diffamatori risalenti al 25 febbraio ed al 12 aprile 2012. Il difensore di Giovanni Pecora, avvocato Antonio Papalia del Foro di Palmi, nel corso della discussione ha evidenziato l’assenza dei profili di offensività oggettiva e soggettiva delle condotte di cui al capo d’imputazione.
In via residuale ha, altresì, sottolineato come peraltro fosse emerso – nel corso del dibattimento – che lo stesso Pantano, nonostante la querela, non avesse realmente ritenuto offensivo il termine “mascalzone” a lui attribuito dal Pecora, tanto da schernirsi scherzosamente identificandosi esso stesso con tale epiteto sulla propria pagina Facebook nelle ore successive alla presunta diffamazione. È inoltre emerso, nel corso dell’istruttoria, che il secondo episodio asseritamente diffamatorio non era altro che una riformulazione di un concetto espresso due anni prima sul libro “Taci Infame” di Walter Molino. L’avvocato Papalia ha evidenziato, in subordine, la sussistenza della provocazione, prevista quale causa esimente. Il processo, istruito in sole quattro udienze, si è concluso con formula assolutoria ampia e rigetto della domanda risarcitoria promossa dal Pantano.

La redazione di Approdonews, dopo aver pubblicato la nota dell’avvocato Antonio Papalia, ha contattato telefonicamente il giornalista Agostino Pantano per chiedere un commento a caldo sull’esito del processo che lo vedeva parte offesa nei confronti di Giovanni Pecora. Queste le sue parole a poche ore di distanza dalla lettura della sentenza:

«L’avvocato Papalia, senza leggere le motivazioni della sentenza che il giudice non ha ancora stilato, con voglia di smodata preveggenza, sottolinea due punti che a suo parere sarebbero stati determinanti per il verdetto, facendo con questo un azzardo logico-induttivo che, se legittimamente fa pubblicità alla sua strategia, pare anticipare inutilmente l’interpretazione che il giudice ha fatto della condotta ripetuta dell’imputato. Staremo a vedere le motivazioni quando usciranno, come tutti i comuni mortali, poiché non abbiamo capacità divinatorie e, divorati dalla curiosità, cercheremo di capire perché un fatto incontestato – ovvero l’identificazione di me come un “mascalzone” da parte dell’imputato – non sia stato considerato reato, al di la’ del vanto che il legale si autoattribuisce in un processo nel quale ha scelto di “consigliare” una seconda querela contro di me, ha consigliato al suo assistito di non sottoporsi ad alcuna escussione in aula, dopo aver ottenuto con una azione anche qui in prima persona un rinvio di udienza sulle cui modalità sta indagando la procura. Non avevo e non ho nulla di personale contro nessuno in questa causa, anzi ringrazio l’avvocato perché – senza smentire mai la notizia che al tempo diedi circa la residenza dei Pecora nel palazzo del boss – nella sua arringa ha detto di me che scrivo da sempre “in giornali piu liberi di altri”. Una grande verità, questa, che fa giustizia. Per il momento.»