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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 05 MAGGIO 2024

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Cuore di mamma

Cuore di mamma

Quell’amore materno che rende immortali. E’ contenuta negli ultimi versi di una lirica dedicata all’amato  figlio Giuseppe l’epigrafe funebre di Isabella Loschiavo

di Salvatore Lazzaro

Cuore di mamma

 

Quell’amore materno che rende immortali. E’ contenuta negli ultimi versi di una lirica dedicata all’amato  figlio Giuseppe l’epigrafe funebre di Isabella Loschiavo

 

 

 

 

 

TAURIANOVA – L’autoepigrafe Isabella Loschiavo la scrisse quando ancora era in vita.

Un vezzo, questo, tipico degli artisti, che amano, nel loro narcisismo intellettuale, dare la personale impronta creativa alla lastra marmorea che racchiude il proprio mausoleo.

La storia è zeppa di epigrafi funebri famose.

Uno dei più divertenti (d’altronde, in tema col personaggio) è senz’altro quello che auspicò per sé Walter Chiari. Tuttora,  nella sua tomba si può leggere, infatti: “Non piangete, è tutto sonno arretrato”.

Ma la giornalista, scrittrice e  saggista taurianovese,  non ha ideato il proprio necrologio per vanagloria (lei, piuttosto schiva e timida, che mal sopportava l’egocentrismo di tanti suoi colleghi), ma le è venuto così, spontaneamente.

Seguendo il flusso lirico di una poesia – scritta molti anni fa, quando ancora la nera Signora con la falce, ben lungi,  era crudelmente  indaffarata a mietere altre messi innocenti  – dedicata all’amato figlio unigenito Giuseppe, allora ai suoi primi vagiti.

Figlio mio – scriveva Isa Loschiavo -, quando il sole / oscurerà per me i suoi raggi, / e agli occhi miei / non saranno più rigoglioso / i campi, e i fiori non trasmetteranno / il loro messaggio di vita, / io t’amerò sempre. / Quando, da grande, / mari tempestosi ti inonderanno, / il mio cuore, immenso / come un oceano, farà salpare / la tua nave nell’isola della felicità. / E scriverai sulla mia tomba /

 

Qui giace colei che, in nome

dell’amore materno, vivrà

in eterno nel mondo,

accanto al suo unico figlio,

tesoro custodito

nello scrigno dell’anima”.

Accontentandola, Giuseppe Prete, medico ortopedico, ha fatto incidere l’ultima sestina  sulla lapide della madre, che – dal 15 luglio 2010 –  riposa nella cappella di famiglia nel cimitero di Radicena.

La poesia fa parte di una breve antologia intitolata “Canti”, uscita nel 2002, per conto delle edizioni Premio “Umanità, Fede e Cultura”, con introduzione della professoressa Milena Marvasi, che raccoglie i lavori di altri poeti della Piana.

Nella mini silloge si trova, quasi a far da preludio a quella su riportata,   la lirica –  fortemente impregnata di simboli e metafore dettati probabilmente dal pudore dell’autrice  per il tema strettamente autobiografico –  intitolata “Diventare mamma”.

Leggiamola, dunque:

“Quando il mio giardino cominciò / a germogliare, dopo una lunga attesa / di tormenti e sofferenza, / mi tuffai nell’infinto liberandomi / dalle catene della solitudine, / che aveva imprigionata / la mia anima nella cella più tetra. / Come una farfalla assaporai / il profumo di tutti i fiori / e come un’ ape raccolsi / il nettare nei prati. / Dolci sussulti, percepiti /nel silenzio della notte, / incastonavano di gemme preziose / il cielo della mia vita. / Una fiaccola perenne illuminava / il cuore come un faro / in un mare tempestoso. / Un sacrario d’amore si annidava / nel mistero del mio essere / per rendere immortale / il rito della maternità. / Attraversai i sentieri della morte, / mi inerpicai per i viali d’ombra. / ma alfine uscii dai labirinti / dell’ineluttabile per cogliere  del mio giardino il frutto / irrorato dai raggi del sole, / unico dono che, da allora, / orna l’albero della mia esistenza”.