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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 16 MAGGIO 2024

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Callipo è andato via e non ritorna più… il consiglio regionale senza lui… In un’opera buffa tra i paradossi di Borges, finisce una storia la quale (forse) non era mai iniziata

Callipo è andato via e non ritorna più… il consiglio regionale senza lui… In un’opera buffa tra i paradossi di Borges, finisce una storia la quale (forse) non era mai iniziata

Pippo se n’è andato e non ritorna più, il Consiglio Regionale senza lui… va avanti lo stesso ed è come se il Callipo pensiero non ci fosse mai stato (sic!). Rimane uno scontato slogan che alla fine in fase di pandemia, quel “resto in Calabria” sembra più una campagna di prevenzione che altro.
“Non starò più a cercare parole che non trovo. Per dirti cose vecchie con il vestito nuovo…”, canta il maestro ed è quello che oggi rappresenta quella realtà surreale di un sogno svanito ai primi vagiti della realtà. Un “effetto Callipo” caricato a salve nella politica regionale calabrese.
Quel 29 giugno scorso quando un fulmine a ciel sereno squarciò le palafitte dei pescatori del tonno, con le dimissioni di chi in fase di allestimento elezioni regionali pose il veto sul alcuni fedelissimi dell’ex governatore Oliverio come l’imprenditore Francesco D’Agostino, Orlandino Greco, entrambi consiglieri regionali uscenti, e su Bruno Censore. Come se la folgorazione della morale sulla via di Damasco fosse stata un’invenzione di Pippo Callipo. Si presentò ai calabresi in quel 26 gennaio 2020 come le idee ben chiare, appoggiato (blindato) dal leader del Pd Nicola Zingaretti, tanto da far fare il passo indietro a Mario Oliverio per una sua ricandidatura.
Il 4 gennaio in un coup de théâtre, affermò “Capisco la sfiducia della gente ma io sono libero e per me parla la mia storia, sono sempre andato avanti senza chiedere favori a nessuno”, e poi la stoccata finale, “Rinuncio fin da ora all’indennità di carica da presidente di Regione, che sarà destinata a un fondo per il sociale”. Allo stipendio ha rinunciato automaticamente quando si è dimesso da consigliere regionale, la coerenza è ineccepibile, ma poi in quel “fondo per il sociale”, i soldi chi ce li mette? Leggendo poi le dichiarazioni all’epoca del Partito Democratico, sembrano la morale dei paradossi di Borges il quale affermò che sono “interstizi di assurdità”, ecco, “Con umiltà e responsabilità abbiamo deciso di appoggiare la autorevole candidatura a governatore di Pippo Callipo, imprenditore che vince e non si arrende” (sic!).
Ma, il 29 giugno nella rinfrescata arrivano le dimissioni di quello che all’epoca fu considerato nemmeno fosse il “messia” che moltiplicava pane e pesci, ma che ahimè non riuscì nell’intento con i voti, infatti prese una sonora batosta che se la ricorderà (sia lui che il Pd) per il resto della sua vita.
Lui si congeda così, “Dopo una lunga e sofferta riflessione…”, si vabbè, patapim e patapam, “…ho rassegnato le dimissioni dalla carica di consigliere regionale della Calabria”, accipicchia, un amore durato cinque mesi, un amplesso andato cilecca. Ha scritto una lettera di dimissioni, vale la pena ricordarlo, parlando di “non ci sono le condizioni”, che “le regole e i principi che ordinano l’attività del Consiglio regionale sono di fatto ‘cedevoli’ al cospetto di prassi consolidate negli anni che mortificano la massima Assemblea legislativa calabrese”, e poi, di “regole calpestate” e che “È stato traumatizzante dover accettare che qualsiasi sforzo profuso non avrebbe portato ad alcun risultato. Dopo circa cinquant’anni di attività lavorativa non posso consentire né tollerare cambiamenti della mia personalità e della mia “forma mentis”; non posso farlo per il rispetto che nutro nei confronti dei calabresi, della mia famiglia, dei miei quattrocento collaboratori e verso me stesso”. Bene, ma cosa? Nei fatti, con nomi e cognomi, in cosa si traducono queste frasi le quali francamente sembrano solo degli slogan dentro scatole vuote e che una volta dentro, li svuotano ancor di più?
Il consiglio regionale vota respingendo le dimissioni, e lui con una seconda lettera inviata ieri, scrive sempre la solfa della “profonda riflessione”, ringraziando le tantissime persone, ma lui lascia la poltrona che oltre duecentomila calabresi gli avevano consentito di sedersi, nei fatti ringraziandoli, dimettendosi (sic!). Ed ancora scrive, “Capisco le ragioni di chi non condivide politicamente questa scelta e le rispetto, apprezzo anche le parole dei tanti che mi hanno invitato a ripensarci ma, alla luce delle motivazioni che ho già espresso in maniera approfondita (…)”, “maniera approfondita”? Ma quando mai? Sempre per le teorie dei paradossi di Borges, straordinaria è la chiusura, “Spero che le mie dimissioni servano ad aprire una riflessione seria che vada oltre le lotte di potere e le beghe di partito perché i calabresi hanno necessità di riconquistare la fiducia nello Stato e nelle Istituzioni che, purtroppo, hanno comprensibilmente perduto”, e proprio lei lo dice che si è dimesso per questo? Proprio lei che si è ritirato dalla battaglia e non ha tentato di riaffermare quei principi con i quali tanto si è battuto e ha deciso di mollare e lasciare la nave come uno Schettino qualunque? Perché l’ha fatto e soprattutto perché quando si è candidato ha posto veti i quali alla fine hanno impedito ad altri di competere per essere eletti, ed invece hanno dovuto ingoiare quel boccone amaro dell’esclusione dalle liste. Non crede che forse, diciamo forse, dovrebbe chiedere scusa anche a loro?