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Bankitalia, Scilipoti: “E’ il momento di restituire i 138 mld di euro sottatti agli italiani nel solo 2011”

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“Mi permetto di ricordare che la partecipazione che gli istituti di credito non pubblici hanno all’interno della Banca d’Italia è per una percentuale quasi al 95 per cento”

Bankitalia, Scilipoti: “E’ il momento di restituire i 138 mld di euro sottatti agli italiani nel solo 2011”

“Mi permetto di ricordare che la partecipazione che gli istituti di credito non pubblici hanno all’interno della Banca d’Italia è per una percentuale quasi al 95 per cento”

 

Roma – “L’Italia deve riappropriarsi della propria sovranità
monetaria, privilegio questo strappatole già nel 1991 con la ‘privatizzazione’
della Banca d’Italia e ulteriormente messa in discussione con l’adesione indiscriminata
al SEBC e alla Bce”.
“L’Italia, riconquistando questo ruolo e in un’ottica di reale tensione allo
sviluppo, dovrà inoltre e soprattutto dare voce alle vere categorie produttive del
Paese, contribuendo così a definire il percorso di rinascita che la nostra terra
attende e merita”.
E’ giunto quindi il momento che la truffa legalizzata ai danni dei cittadini italiani
cessi”. E’ giunto il momento che si recuperino i ‘soldi persi’ e ciò sarà
possibile iscrivendo correttamente nelle voci all’attivo del bilancio della Banca
d’Italia le banconote circolanti al valore non del costo reale ma nominale”.
“E’ giunto il momento che i 138.000.000.000 di euro annui, sottratti all’Italia
nel solo 2011, giacché erroneamente iscritti nelle passività, ritornino al popolo,
ritornino nelle casse dello Stato, così da poter essere destinati alle reali e molteplici
esigenze del Paese”.
“Mi permetto di ricordare che la partecipazione che gli istituti di credito non
pubblici hanno all’interno della Banca d’Italia è per una percentuale quasi
al 95 per cento: Gruppo Intesa ha il 27,2 per cento, Gruppo San Paolo il 17,23 per
cento, Unicredit il 10 per cento, Monte dei Paschi di Siena il 2 per cento, Cassa
di risparmio di Firenze oltre l’1 per cento. Lo stato quindi nella Banca d’Italia
ha una piccolissima percentuale, che è pari al 5 per cento. Perché è avvenuto
ciò? Perché il Governo Amato nel 1991, con la privatizzazione dei gioielli del
Paese, ha privatizzato la Bankitalia e privatizzando la Banca d’Italia ha creato
delle condizioni insostenibili per un Paese come l’Italia.
La prima privatizzazione è stata appunto fatta nel 1992 nella notte del 31 luglio
quando il Consiglio dei Ministri è semideserto e Giuliano Amato trasforma gli Enti
di Stato in Spa: non solo l’Eni e l’Iri vennero privatizzati, ma anche la Banca
d’Italia. La seconda avvenuta negli anni 1998-2002 che possiamo definire privatizzazione,
ma in realtà è la cessione di quella sovranità che la Banca d’Italia doveva
avere e che non ha più, avviene con l’adesione all’eurozona, cioè con quel
passaggio dalla lira all’euro che non solo dimezzò stipendi e salari, grazie all’iniquo
cambio condiviso da Romano Prodi (1 a 2, invece che 1 a 1), ma che inoltre diede
il via negli anni successivi con il Trattato di Lisbona (2007-2009) e con il Meccanismo
Europeo di Stabilità (MES, 2011) al ‘ perfezionamento’ dell’usurpazione al
popolo, della rendita da emissione monetaria e della verifica-pianificazione dei
conti pubblici. Oggi la sovranità e la rendita monetaria appartengono alla Banca
Centrale Europea, un’organismo che sfugge al controllo degli Stati membri, in nome
di una malintesa ‘autonomia’ e la rendita da emissione va, per quel che riguarda
l’Italia, ai banchieri privati italiani (Unicredit, Intesa San Paolo etc.) proprietari
della Banca d’Italia che ricevono dalla stessa Bce la quota di euro assegnata al
nostro Paese, circa il 6-8% del totale.
La moneta è qualcosa di prezioso per un popolo. Quando un popolo perde la sovranità
monetaria e non ha più la possibilità di battere moneta in proprio significa che
è schiavo e non ha più la possibilità di uscire dalle crisi e che si potevano,
e che si potrebbero, prospettare, come è accaduto nell’ultimo periodo. Ma cosa
comporta per uno Stato perdere la propria sovranità monetaria? Il Paese batte moneta,
la carta moneta che viene stampata ha un costo reale e un costo commerciale. Il costo
reale è il costo tipografico e del colore; il costo commerciale invece è il costo
stampato sulla banconota.
La differenza tra il costo stampigliato (costo commerciale) e il costo reale della
tipografia per una banconota di 500 euro è pari a 499 euro. In altri termini, il
costo reale di una banconota da 500 euro è pari ad 1 euro, mentre il suo costo commerciale,
quando viene utilizzata è di 500 euro. I 499 euro di differenza che una volta venivano
utilizzati dallo Stato per fare forte il Paese e per creare quelle infrastrutture
necessarie, dal 1992 vanno a finire nelle tasche degli istituti di credito e delle
banche. Che significa ciò?
Significa che 499 euro, che erano una volta dello Stato, oggi sono delle banche.
Qualcuno dice che questo signoraggio non è vero ed è irreale. Invece è vero ed
è reale, perché questa differenza, che andrebbe iscritta nel bilancio della Banca
d’Itali come attivo, viene iscritta come passivo.
Quei 499 euro vengono cioè indicati come passivo, e invece andrebbero indicati come
attivo: vengono indicati come uscite ed invece sono entrate. Allora oggi noi dovremmo
affrontare un argomento molto più serio: non la privatizzazione definitiva della
Banca d’Italia ma il suo riacquisto. Nel caso in cui ciò non fosse possibile si
deve abbandonare la Banca d’Italia in mano ai banchieri privati e creare immediatamente
un nuovo istituto di credito nazionale, nell’interesse degli italiani”.