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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 25 APRILE 2024

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avv. Domenico SOFIA (1846-1915) Altro obliato personaggio narrato in silloge nella pubblicazione Spoon River del pianoro Taurianovese edita dal giurista Giovanni Cardona

avv. Domenico SOFIA (1846-1915) Altro obliato personaggio narrato in silloge nella pubblicazione Spoon River del pianoro Taurianovese edita dal giurista Giovanni Cardona
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Ero il figlio del dott. Vincenzo
il medico dei poveri
e di Maria Moretti da Radicena.
I Sofia siciliani di origine greca
col mio avo Vincenzo
si insediarono a Radicena nel 1700
ricoprendo cariche municipali
lottando caduto Napoleone
per la libertà del contado
contro gli abusi dei signorotti.
I Moretti di origine spagnola
sanfedisti convinti
legati alla Real Casta dei Borbone
accumularono molte ricchezze
che si infransero miseramente
tra i marosi della irta scogliera
delle Pietre Nere palmesi.
L’infausta sorte mi diede due mogli
le sorelle Eugenia e Giuseppina Drago
dalle quali ebbi una prolifica discendenza.
Fui considerato l’optimus vir
amministrando quale Sindaco per diversi mandati
curai di acquisire l’opera del Gemelli Careri
del quale feci erigere nel 1884 un busto
oggi allocato nell’antistante piazza Garibaldi
adoprandomi a narrare
le prime memorie storiche
del contado Radicenese.
Ma un solo volto rischiara
l’oscurità della mia lontananza
elargendo un raggio
che testimonia della sua presenza
nel donare il segreto dell’ostensione
divenendone materna presenza.
Oggi quel che ricevo nel lume
di quell’enigma mischiato
all’ombra dell’attesa solitaria
è la sorpresa che fa di essa un dono
ai peregrini astanti
che si soffermano stupiti
dall’aura che elargisce
la peculiare bronzea stele.
Il mio ritiro non è sottrazione
di ciò che apparve
non è l’eclissi di quanto fu dato
ma è la grazia che apre
il simulacro e la luce
di un doloroso ritorno.
La mia lapide
nel cimitero di Radicena
accanto all’antenato Filippo Moretti
e al geniale fratello Francesco così recita:
Lascia
che la pioggia mi bagni e che il sole mi scaldi,
che il verde ramarro mi fissi nel meriggio
col suo amico sguardo.
Agli uomini nulla chieggo – nulla dalla terra aspetto,
Il mio Spirito
Non ispera che nelle incessanti evoluzioni
Di un Cielo
Creduto – sospirato – abitato da’ miei Padri”.