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25 novembre 2019 – Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

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Assistiamo ad un escalation continua di violenza basata sul genere, ogni 72 ore, in Italia, una donna viene uccisa, quasi sempre da persone vicine. L’istat ci fornisce dei numeri agghiaccianti: “Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione. Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro”. Nel corso del 2018 sono 142 le donne sono state vittime di femminicidio.
Nonostante questi numeri, in Italia sono solo 281 le strutture che dovrebbero raccogliere le istanze di circa 44.000 donne che hanno chiesto aiuto (dato del 2017).
L’entrata in vigore pochi mesi fa del cd. Codice Rosso ha permesso la velocizzazione delle indagini e dei procedimenti giudiziari inasprendo le pene per i delitti di violenza di genere ma l’infinità di denunce che hanno sommerso le Procure italiane rischia di rallentare il processo innovativo che la norma si era prefissata di raggiungere, per cui sicuramente si dovrà arrivare ad una specializzazione da parte dei magistrati per evitare che si vanifichi lo scopo della legge stessa e il suo impatto nel futuro. Un altro strumento importante a tutela della vittime di violenza è il Progetto L.I.A.N.A., un protocollo delle Forze dell’Ordine da attuare in occasione di interventi riguardanti questo tipo di reati per dare una priorità alle richieste di soccorso per le vittime di violenza. Per ultimo, il 23 novembre il Ministro Gualtieri ha dichiarato di aver pronto il Decreto Ministeriale per il fondo per gli orfani di femminicidio atto a finanziare borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro. Questo cambio di passo del nostro Paese, purtroppo, deve fare i conti con un problema culturale che è spesso causa e origine delle violenze ed è il frutto di diversi fattori, uno di questi è sicuramente la mancanza di indipendenza economica che crea una subordinazione nel rapporto di coppia e aumenta il rischio di violenza nei soggetti predisposti. A mio avviso è proprio il lavoro ad essere lo strumento cardine per far uscire le donne dal contesto familiare violento. Infatti, spesso le donne non denunciano per la mancanza di un lavoro, per paura di perderlo e per paura di non poter sostentare i propri figli. Sarebbe opportuno avviare iniziative che sostengano realmente anche l’occupazione delle donne che vogliono uscire dalla violenza, istituendo corsie preferenziali come quelle previste, ad esempio, per le vittime di criminalità organizzata. Le donne vittime di violenza devono avere l’opportunità di usufruire di un percorso di enpowerment e di indipendenza economica, anche attraverso percorsi di formazione professionale dedicati, sostegno e percorsi di sensibilizzazione rivolti alle imprese che, incentivate, potrebbero inserire le donne vittime di violenza nelle proprie aziende.
Quindi, l’autonomia delle donne come chiave di volta, non in una logica di assistenzialismo ma in un’ottica di politica attiva del lavoro per il raggiungimento di diritti economici e lavorativi.