Ciacci: “Semestre Filtro Medicina, serve presa di posizione seria del Governo e del Ministro Bernini”
Dic 17, 2025 - redazione
di Claudio Maria Ciacci
Il semestre filtro di Medicina, così come è stato concepito e applicato, rappresenta uno dei punti più bassi raggiunti negli ultimi anni dal sistema universitario italiano, non solo per l’evidente confusione normativa e organizzativa, ma soprattutto per la totale mancanza di rispetto verso gli studenti. È necessario dirlo con chiarezza fin dall’inizio: questo articolo non è scritto da un comunista, né da chi intende difendere le impostazioni ideologiche che per decenni hanno governato l’università italiana riducendola a un luogo di compromessi, burocrazia e gestione del potere. È una critica netta, dura, priva di appartenenze di comodo, che nasce dall’osservazione dei fatti e dalla volontà di difendere il diritto allo studio e al merito reale, non quello simulato attraverso riforme di facciata. Le dichiarazioni dei professori Burioni e Bassetti, che hanno rivendicato come il semestre filtro non sia solo una scelta politica della ministra Bernini ma il frutto di un lavoro condiviso con una parte del mondo universitario, non chiariscono il problema, lo aggravano. Se questa riforma è stata elaborata anche da docenti universitari, allora il fallimento è doppio: politico e accademico. Significa che chi vive l’università dall’interno, chi dovrebbe conoscere tempi, carichi di studio e difficoltà reali degli studenti, ha avallato un meccanismo palesemente iniquo e insostenibile. Le recenti dichiarazioni della ministra Bernini, che oggi ammette l’esistenza di criticità e problematiche nel semestre filtro, confermano implicitamente ciò che gli studenti denunciano da mesi. Tuttavia, queste ammissioni arrivano quando il danno è già stato prodotto e non possono essere liquidate come semplici prese d’atto. Qui non siamo di fronte a un sistema da correggere o da rifinire: siamo davanti a un impianto che non regge, che non è mai stato realmente funzionante e che ha generato una competizione falsata fin dall’inizio. Parlare di tempi “ristretti” è una mistificazione della realtà. All’Università Magna Graecia di Catanzaro le lezioni del semestre filtro sono iniziate il 1° settembre e si sono concluse il 21 ottobre. Tradotto in termini concreti, questo significa 38 giorni effettivi di lezione per tre materie fondamentali del primo anno di Medicina. Trentasette, trentotto giorni non sono un semestre, non sono nemmeno un bimestre degno di questo nome. Sono un intervallo di tempo insufficiente persino per una preparazione superficiale, figuriamoci per una valutazione seria delle competenze e delle capacità degli studenti. Definire questa esperienza “selezione” è un insulto all’intelligenza. A rendere il quadro ancora più grave si aggiungono i brogli che hanno caratterizzato sia il primo che il secondo appello. Non si tratta di episodi marginali o di sospetti generici, ma di irregolarità tali da compromettere l’intera procedura concorsuale. Quando un concorso è viziato da brogli ripetuti, non può essere corretto, aggiustato o rivisto: deve essere annullato. Le graduatorie che ne derivano sono falsate e non possono in alcun modo rappresentare il merito, perché il merito è stato espulso dal sistema fin dall’origine. In questo contesto, continuare a parlare di “miglioramenti” o di “aggiustamenti tecnici” significa prendere in giro gli studenti e tentare di salvare una riforma indifendibile. Proprio oggi, mentre all’UMG di Catanzaro si svolgono le consultazioni per il rinnovo delle cariche dei rappresentanti degli studenti, emerge con forza un altro nodo centrale di questa vicenda: il ruolo, o meglio l’assenza di ruolo, delle associazioni studentesche. È doveroso chiedersi cosa abbiano fatto, concretamente, le associazioni presenti con le loro liste per tutelare gli studenti coinvolti nel semestre filtro. La risposta è tanto semplice quanto imbarazzante: nulla. Primavera, Insieme e Artù, senza alcuna distinzione, non hanno saputo o voluto difendere gli studenti in uno dei momenti più delicati e critici della vita universitaria recente. Comunicati tardivi, prese di posizione deboli o silenzi strategici non possono essere scambiati per rappresentanza. La totalità delle associazioni presenti a Catanzaro ha fallito nel proprio compito fondamentale: stare dalla parte degli studenti quando il sistema li penalizza apertamente. Alla ministra Bernini va inoltre ricordato un dato storico che spesso viene ignorato o volutamente rimosso: il numero chiuso a Medicina non è una creazione recente né tantomeno una scelta nata in ambiti conservatori. Fu voluto da Luigi Berlinguer, figura di primo piano della sinistra italiana. Questo elemento non serve per alimentare polemiche ideologiche, ma per chiarire un punto essenziale: il problema del numero chiuso e delle modalità di selezione non può essere ridotto a uno scontro tra schieramenti. In questa vicenda non ci possono e non ci devono essere interferenze partitiche, perché ogni tentativo di trasformare la protesta degli studenti in una bandiera politica finirebbe per danneggiarli ulteriormente. La contrapposizione di parte non aiuta, indebolisce le istanze legittime e distoglie l’attenzione dalle responsabilità reali. L’università dovrebbe essere un luogo autonomo, appartenente agli studenti e alla loro formazione, non un campo di battaglia ideologico né un laboratorio di esperimenti sociali mal riusciti. L’auspicio, a questo punto, è che nessuna graduatoria venga stilata sulla base di questo semestre filtro. Proseguire su questa strada significherebbe cristallizzare un’ingiustizia e renderla irreversibile. Quella che Luigi Berlinguer definiva “dispersione” non è altro che la selezione naturale delle capacità di chi affronta un corso di studi complesso come Medicina. È un percorso che, per sua stessa natura, è in grado di selezionare nel tempo, attraverso lo studio, gli esami, la dedizione e il sacrificio, senza bisogno di crocette, test improvvisati o filtri artificiali. Se lo Stato e il Governo non sono in grado di garantire questo percorso per carenze strutturali, per mancanza di laboratori, di spazi, di docenti e di risorse economiche, abbiano almeno l’onestà di ammetterlo pubblicamente. Uno Stato serio non scarica le proprie inefficienze sugli studenti, non inventa un semestre filtro farsa per mascherare problemi che affondano le radici in decenni di mancati investimenti. Uno Stato serio investe nella formazione, amplia le strutture, potenzia la didattica e si assume la responsabilità di formare professionisti realmente preparati e all’altezza del ruolo che andranno a ricoprire. Tutto il resto è propaganda, ed è inaccettabile che a pagarne il prezzo siano ancora una volta gli studenti.



