Truffe milionarie all’ombra delle ‘ndrine della Locride con società fantasma, chiuse le indagini per 15 persone, tra cui imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine

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Un fascicolo della Procura di Reggio Calabria porta alla luce un presunto sistema criminale fondato su truffe milionarie, società fantasma e collegamenti con la ’ndrangheta. Quindici persone risultano indagate nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal sostituto procuratore Sara Parezan. Al centro vi sarebbe un’associazione per delinquere ritenuta funzionale a un’organizzazione mafiosa più ampia, incaricata di gestire flussi economici illeciti anche internazionali, mascherati da operazioni fiscali e commerciali fittizie.

Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero creato e gestito numerose società cartiere, sostituendo di continuo quelle ormai compromesse. Attraverso queste imprese fasulle sarebbero stati movimentati capitali giustificati da rapporti commerciali inesistenti, supportati da documentazione contabile e fiscale falsificata. Il sistema avrebbe offerto un servizio illecito ad imprenditori collusi, utile per riciclare denaro sporco e compensare debiti fiscali.

Figura centrale dell’inchiesta è un imprenditore attivo in particolare nell’area di Bianco, ritenuto dominus dell’associazione e stratega delle operazioni fraudolente. Le analisi dei telefoni cellulari eseguite dalla DIA avrebbero evidenziato tentativi dell’imprenditore di infiltrarsi nei servizi segreti, offrendo favori e regali di lusso a un investigatore infedele, tra cui un’auto di grossa cilindrata, per agevolare la sua candidatura nell’intelligence.

Tra gli indagati compare anche un appartenente alle forze dell’ordine, accusato di aver tradito il proprio ruolo istituzionale. Secondo l’ipotesi accusatoria avrebbe fornito consigli per eludere le indagini, intestato una società fittizia alla moglie, aperto conti correnti come prestanome ed effettuato accessi abusivi alle banche dati riservate. Informazioni sensibili sarebbero state trasmesse a imprenditori coinvolti, favorendo interessi economici della ’ndrangheta anche nel settore degli appalti pubblici. Le contestazioni comprendono denaro e utilità ricevute, assunzioni pilotate, benefici previdenziali e promesse di autovetture di grossa cilindrata. L’investigatore avrebbe inoltre rivelato dettagli su indagini in corso e inviato documenti riservati a un altro indagato ritenuto vicino a consorterie mafiose di Siderno, compresa la fotografia di un atto giudiziario con i nomi degli indagati dell’operazione “Pollino”.

Nell’avviso di conclusione delle indagini compare anche un altro pubblico ufficiale, già in servizio nella Locride e poi a Firenze, accusato di aver avvertito due imprenditori di Bianco della presenza di intercettazioni ambientali nei loro uffici, consentendo loro di individuare le microspie utilizzate in un’indagine della Direzione distrettuale antimafia fiorentina.

Gli indagati e i loro difensori hanno ora 20 giorni per esaminare gli atti, ascoltare le intercettazioni e presentare eventuali richieste, anche di interrogatorio.