Nuovo fascicolo della Procura su Lo Giudice. A Macerata si indaga sull’esistenza di una loggia

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Gli inquirenti intendono fare chiarezza su una dichiarazione dell’ex pentito, poi scomparso, che faceva riferimento all’esistenza massonica nella città che lo ha ospitato durante il periodo di protezione, evidenziando anche collegamenti con altre logge. Sulle affermazioni del “nano” i magistrati hanno chiesto notizie anche ai colleghi reggini

Nuovo fascicolo della Procura su Lo Giudice. A Macerata si indaga sull’esistenza di una loggia

Gli inquirenti intendono fare chiarezza su una dichiarazione dell’ex pentito, poi scomparso, che faceva riferimento all’esistenza massonica nella città che lo ha ospitato durante il periodo di protezione, evidenziando anche collegamenti con altre logge. Sulle affermazioni del “nano” i magistrati hanno chiesto notizie anche ai colleghi reggini

 

REGGIO CALABRIA – La Procura di Macerata ha aperto un fascicolo su alcune dichiarazioni del pentito della ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice, allontanatosi il 5 giugno dalla sua abitazione nella città marchigiana, dove viveva sotto protezione e con altra identità. Dopo quella data ha spedito memoriali e video alla Procura di Reggio Calabria e a due giornali calabresi. In uno dei memoriali, Lo Giudice sostiene di avere saputo da un suo confidente che proprio a Macerata esisterebbe una loggia massonica deviata collegata con altre logge nell’Italia meridionale. La Procura maceratese, che già indaga sulla scomparsa dell’uomo, si è rivolta ai magistrati calabresi per capire, fra l’altro, se le dichiarazioni di Lo Giudice siano attendibili e se il pentito agisca di sua iniziativa o sia manovrato da altri.
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MACERATA – La procura di Macerata ha aperto un fascicolo di indagine sulla scomparsa dalla città di Antonino Lo Giudice, l’ex pentito della ‘Ndrangheta che fino al 5 giugno scorso viveva nella città marchigiana sotto falso nome. Lo Giudice avrebbe abbandonato il rifugio protetto in cui si trovava, inviando nuovi memoriali e video alle redazioni di due testate giornalistiche e ad un avvocato ribadendo la ritrattazione di tutte le accuse mosse nel periodo della sua collaborazione.
Si era autoaccusato tra l’altro di essere l’ideatore delle bombe fatte esplodere nel 2010 contro la Procura generale di Reggio Calabria e contro l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro oltre all’intimidazione all’allora procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, con il ritrovamento di un bazooka ad alcune centinaia di metri dal palazzo della Dda, chiamando in causa anche il fratello Luciano ed altre due persone.