Editoriale di Bartolo Ciccardini
Cronache tudertine – prima parte
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Il Palazzo Vignola sta subito dietro la grande cattedrale che domina la piazza del
Duomo di Todi. Dopo aver respirato la visione unica della piazza uscita da un affresco
di Benozzo Gozzoli ci è difficile pensare che non si debba fare qualcosa perché questa
incredibile Italia riprenda il suo cammino. Forse questo è il segreto di Todi, perché
un anno dopo l’altro i cattolici democratici vengono qui a ripensare il proprio compito.
Qui si è fatta Todi1, la costituente piena di speranze; qui si è fatta Todi2, con
la sua decisione di rimandare le decisioni a dopo le terribile elezioni del 2013.
Qui torniamo, invitati da Ernesto Preziosi a ritrovare il futuro.
“Ritrovare il futuro” è un proposito molto impegnativo, perché ha già in sé il significato
di una sconfitta. Come abbiamo perduto il futuro? Chi ci ha tolto il futuro?
Preziosi è un simpatico signore di quella striscia dell’Italia che non è più Marche,
ma non è ancora Romagna. Parla con persuasione accattivante, come è nei romagnoli,
ma unita ad una moderazione sparagnina dei marchigiani infaticabili e risparmiatori.
Preziosi presenta Mauro Magatti e dice: “E’ l’esponente della nostra Università,
l’Università dei Cattolici. Chiediamo alla “Cattolica” che faccia il suo lavoro”.
C’è in queste parole una prudente attesa, ma anche una prepotente speranza. Anche
Armida Barelli diceva la “nostra Università”. Ma intendeva “nostra” in un altro significato.
“Nostra”, ossia dei milioni di ragazze della GF, le sorelle minori che, povere, spesso
analfabete, senza diritto di voto, avevano raccolto, soldino su soldino, la somma
necessaria per fare la “loro”università. Ed aggiungeva orgogliosa il numero dei professori
della “nostra” università che avevano contribuito a scrivere la Costituzione”. Armida
aveva offerto la sua vita a Dio perché il 18 Aprile i democratici cristiani vincessero
le elezioni. E Dio accettò quella offerta. Lei, come Mosè, vide la Terra Promessa
solo da lontano, ma non vi entrò.
Quante speranze ora investe Preziosi nelle parole di questo “professorino”?
Mauro Magatti è una persona intelligente e sensibile. Ma schiva con autoironia, la
pesante responsabilità. Incomincia dicendo: “Vi ringrazio per avermi invitato a questo
tango-festival di Todi”.Infatti, in contemporanea, sulla piazza giottesca di Todi
è incominciato un improbabile tango-festival argentino, quasi più improbabile di
un Papa, anche lui argentino.
E subito dopo, Mauro impugna il bisturi: “Il Paese ha perso una grande occasione
con il rifiuto di Todi2. La radice cattolica di questo Paese ha delle grandi responsabilità”.
L’immagine che Mauro sembra dare è quella di una sorta di graundzero. Chi ha conosciuto
lo skyline di Manhattan non può ora guardare quel panorama senza soffrire il grande
vuoto che c’è, là dove si ergevano le orgogliose Torri Gemelle.
E Mauro parla del grande vuoto al centro. Non al centro politico, non al centro fra
destra e sinistra, ma al centro inteso come nucleo essenziale, come radice stessa
della società civile.
Tutte le istituzioni umane, che hanno origine nel superamento dell’egoismo predatore
e nella tregua nella guerra di tutti contro tutti, hanno un’origine religiosa, come
insegna Max Weber. Il destino stesso di questo paese è nato sulla radice cattolica.
Quando questa è forte e vibrante il Paese c’è; quando questa è cinica, assente e
sfiduciata, il paese non c’è più. Il declino della DC ha coinciso con il declino
del Paese. Non è detto che la risorgenza dell’Italia abbisogni della DC, ma il paese
non può fare a meno di prendere linfa da questa radice. Nella storia del Paese non
c’è solo il contributo dei cattolici, ma c’è anche bisogno del contributo degli altri.
Ma da quale altro serbatoio si possono pescare le motivazioni etiche necessarie a
questo Paese?
Ora Mauro si addentra nell’analisi della crisi. “Il cambiamento dell’Italia – dice
– è dovuto al non cambiamento. La Seconda Repubblica è nata avendo come punto di
riferimento il cambiamento ed il non- cambiamento è il fallimento storico della seconda
Repubblica. È la morte della Repubblica. La crisi morale della società è nata dalla
espansione incontrollata di tutti gli appetiti individualistici. Non v’è stata un’espansione
comunitaria, ma v’è stata soltanto l’espansione delle aspettative personali in cui
ciascun appetito era legislatore della propria realizzazione. Berlusconi è stato
l’espressione della espansione della soggettività, procurando così ritardi nella
espansione sistemica e degrado dell’assetto morale”. Mauro cita un libro che descrive
la esplosione della società post-totalitaria in Cecoslovacchia, una descrizione che
ricorda l’Italia d’oggi, dove centri di potere incontrollati promettono una libertà
senza limiti e senza doveri che sta distruggendo l’essenza stessa della comunità.
E descrive una per una le piaghe disperate: la disgregazione della scuola, nonostante
l’eroismo di alcuni maestri; il potere baronale dell’università, che utilizza nuovi
modelli al servizio di antichi vizi; il federalismo disgregatore, che non lascia
spazio al decentramento o alla sussidiarietà; o regioni che ancora non hanno un vero
bilancio; privatizzazioni rapinatrici che non hanno creato concorrenza; meridione
in caduta libera; donne che lavorano di più e contano di meno; emigrazione casuale
e disordinata senza piani di accoglienza e di organizzazione; energia disorganizzata
e senza progetti; giustizia denegata; welfare fatto a pezzi.
Ecco come il Paese ha buttato via venti anni!
Se osserviamo la storia, in questo Paese il cambiamento non avviene per alternanza,
ma per fasi storiche. Così il fascismo fu lo strumento disperato di una modernizzazione
che non si poteva ottenere perché una fase storica declinava. E la ripresa avvenne
solo dopo la chiusura di quella fase storica. Grillo potrebbe essere analogo al fascismo,
la chiusura irrazionale della fase storica declinante.
Siamo alla fine di un ciclo storico e la ripresa rincomincerà dalle energie prodotte
dal disastro? In questa prospettiva qual è il compito di questa radice storica? Il
problema non è quello di collocarsi a destra o a sinistra, ma è un altro: quello
di fare la proposta centrale di una nuova fase storica. In questo momento di passaggio
bisogna riposizionare l’Italia e questo potrebbe essere importante non per quello
che l’Italia è stata, ma per per quello che essa sarà, in Europa ed in tutto il mondo.
Sento in questa intuizione qualche cosa che mi ricorda la mia gioventù, la vocazione
di Dossetti, l’insegnamento di Felice Balbo: l’Italia come “cronotopo”, Italia come
tempo e luogo per una sintesi storica valida per tutta l’umanità. Allora la soluzione
da cercare per dare una risposta ai problemi italiani era la pace fra i popoli e
fra le classi in un concetto nuovo di democrazia. Oggi il “cronotopo” italiano dovrebbe
essere la ricomposizione di tutti gli elementi di novità, di progresso, di espansione
tecnologica e di coscienza globalizzata, al fine di dare una regola altruista, solidale
ed egualitaria.
La radice cattolica è la riserva etica di un progetto che riempia il vuoto al centro,
che ricostruisca il vuoto restato nel groundzero, il vuoto centrale. Chi può fare
questo lavoro? Dice Magatti: “Berlusconi non può, il PD non so. Noi dobbiamo misurarci
con una proposta centrale che ami questo Paese”.
Forse in questo momento della mattinata, mi devo essere addormentato, oppure mi deve
essere successo quello che talvolta mi succede quando la mia fantasia, galoppando,
mi preceda nel Paese che non c’è.
Mi pareva di vivere in queste piazze sognanti, dove la comune popolare si riuniva
e votava alzando la mano, dove le pie confraternite dei mestieri partecipavano al
Governo, dove le città laboriose potevano investire il cauto risparmio dei cittadini
in ammirabili monumenti che nessuna repubblica moderna potrebbe permettersi e le
città merlate splendevano nei dorati affreschi del tempo di Francesco come ce le
descrive Giotto, come ce le illustra Ambrogio Lorenzetti nell’affresco del Buongoverno
di Siena, come ce le svela Benozzo Gozzoli, esule guelfo che dipingeva angeli e città,
ed ancora oggi ci fa riconoscere Arezzo nel miracolo di Francesco che caccia i demoni,
Bevagna nel miracolo di Francesco che predica agli uccelli, la basilica costantiniana
di San Pietro a Roma, dove Francesco andò a chiedere il voto di povertà al Papa.
Ed ancora, dipinse in uno di quegli affreschi la città ideale, sognata da Francesco.
Nel grande affresco si vede prima Francesco che dona il mantello (tutto intero e
non la metà) al povero. In premio Francesco è visitato in sogno Gesù che a lui mostra
il grande palazzo della città ordinata. È un palazzo turrito con i merli guelfi,
elegante con le sue finestre fiorite, costruito di bella pietra ed ornato di bandiere
e di simboli. Di sua mano Benozzo scrive, in un latino che profuma già di italiano,
che così traduco: “Quando il beato Francesco dette il suo mantello ad un povero cavaliere,
la notte seguente, Cristo gli mostrò un grande palazzo insignito con scudi crociati”.
E’ il soprassalto di una memoria inestinguibile o un presagio desiderato? Chi offrirà
tutto intero il mantello? Chi disegnerà il grande Palatium, dalle torri ambiziose
e dai felici scudi crociati, del sogno di Francesco? O ci occuperemo di tango argentino?
Bartolo Ciccardini
(To be continued..)