Una santità spiazzante che dilata il cuore. La festa di Tutti i Santi
Ott 31, 2019 - Don Leonardo Manuli
Una domanda dovrebbe ossessionarci come discepoli di Gesù Cristo: possiamo diventare santi? Non solo, dovremmo anche volerlo e desiderarlo. Premesso che occorre liberarci da alcuni pregiudizi, da un‘idea della santità di santini da baciare, quella aulica e impassibile, quella da eroi che debbono compiere azioni straordinarie, di uomini e donne perfetti, che compiono sforzi sovrumani o una santità soggetta a rinunce e mortificazioni per salire nell’Olimpo degli dèi. Non è questa la santità! Ci sono tante forme e modi nel quale è vissuta la santità, tuttavia «il cristiano nel futuro o sarà mistico o non sarà», affermava il teologo Karl Rahner, non solo, egli è chiamato ad essere contemplativo, vivendo una vita ordinaria fatta di gesti semplici, umili e inosservati. La santità è un infinito ricercare, dubitare, esplorare, e la grandezza sta nel non pensare che tutto sia facile, ma nemmeno difficile, san Tommaso d’Aquino, sosteneva che «siamo uniti a Dio come all’ignoto».
L’oggetto dei santi, uomini e donne, bambini e adulti, che hanno seguito il vangelo di Gesù Cristo, anzi, il soggetto della loro santità, è consistito nell’aver vissuto la gioia che è frutto della sintonia con la Parola di Dio, vivente e dinamica, veniente e gioiosa. Non è un’euforia strampalata, la gioia dei santi è la festosità di Gesù, la prima testimonianza della “buona notizia”, di chi testimonia il vangelo e non può essere triste. Il filosofo ateo, Nietzche, rimproverava i cristiani, perché il volto che essi mostrano non è quello della risurrezione, una contraddizione palese e incontestabile.
I santi sono stati un po’ folli, direi scettici, in effetti la santità cristiana è follia, non tanto fa la differenza che distingue dagli altri, è una lotta, una fatica, che ha come priorità di vedere Gesù Cristo in tutte le cose. Direi che la santità è latitudo cordis, cioè, “l’allargamento del cuore”, che fa spazio a Dio e al prossimo, un vivere umano che compie gesti diversi nel quale l’amore sta al di sopra di tutto. La santità è un cammino, un percorso, dove il discepolo fa “esodo” di se stesso, scopre il mistero del male e del peccato, della sofferenza e del dolore, si domanda come servire meglio Dio e come nella chiesa possa vivere i suoi talenti. Egli si spende e batte dentro il suo cuore la stessa compassione di Cristo per ogni uomo e per ogni donna bisognosi e che bussano alla porta. Ogni battezzato è chiamato alla santità, è la vocazione originaria, di donarsi senza risparmio, in totale generosità, nell’adempimento dei propri doveri, familiari, sociali, ecclesiali, e tuttavia è avere una vita umana e persino divina, senza la pretesa di poter fare tutto. In tempi di crisi religiosa e spirituale, la santità è ancora spiazzante. Maltrattiamo o disprezziamo chi bussa alla nostra porta e ci chiede un aiuto?
La santità è una tensione del cuore, non si guadagna, è un dono, è la «santa inquietudine» ignaziana, un testimoniare la fede con la semplicità dell’esserci. Il centro sta nella regola d’oro del vangelo pronunciata da Gesù, è l’amare il prossimo come se stessi, cioè: «fai agli altri, ciò che vuoi sia fatto a te stesso» (Mt 7,12). Quante persone sono passate nella nostra vita e ce ne siamo accorti solo dopo, facendo memoria nell’aver compiuto segni semplici ed hanno seminato gesti credibili nella nostra vita? La santità non è una processione o una serie di applausi per rendere gloria e onori a statue e immagini, ma avere orecchie capaci di ascoltare, occhi attenti per vedere, questa è teologia della santità, anche nel sopportare tanta delusione e opposizione, e nonostante tutto, conservando una grande tranquillità di cuore.
Nella festa di Tutti i Santi, come credenti, discepoli, battezzati, celebriamo anche il nostro battesimo, non solo di uomini e di donne che si sono distinti per la fedeltà al vangelo, c’è una processione interminabile di persone anonime, che non conosciamo, ma che solo Dio sa, e in cielo, glorificano quello che hanno cercato in terra. I santi sono stati trinitari e non monarchi, cioè hanno amato la relazione, come la Trinità di Dio, seminando un po’ di disordine, mescolando le carte, perché lo Spirito Santo è il protagonista, è creativo e spiazzante, ed essi rinnovano la chiesa e la società, possiedono un fascino che non passa mai di moda, perché la santità è per tutti i tempi.