Trump impone dazi, l’UE tace: l’agricoltura calabrese nel mirino del nuovo squilibrio globale

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Trump impone dazi, l’UE tace: l’agricoltura calabrese nel mirino del nuovo squilibrio globale

Di Claudio Maria Ciacci

Dal 1° agosto 2025, entreranno in vigore dazi del 30% su tutte le esportazioni europee verso gli Stati Uniti. Una decisione annunciata dall’amministrazione Trump che punta a “riequilibrare” i rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Ma a pagarne il prezzo, ancora una volta, saranno le piccole imprese agricole italiane, in particolare quelle del Sud, e tra tutte, le aziende calabresi, eccellenze riconosciute nel campo dell’agroalimentare, ora a rischio esclusione dal mercato americano.
Il nuovo fronte commerciale aperto da Washington colpisce settori strategici del made in Italy: vino, olio extravergine, formaggi, conserve, salumi. Molti di questi beni sono prodotti tipici e spesso DOP, frutto di una filiera familiare e artigianale. La Calabria, con le sue colture tradizionali, dagli agrumi all’olio, dal miele al fico, fino alla cipolla di Tropea, vede svanire margini già risicati e investimenti costruiti con fatica nel tempo.
Il dazio del 30% rende questi prodotti immediatamente meno competitivi. Chi lavora con qualità non può abbattere i prezzi. Chi produce in piccole quantità non ha i volumi per compensare. Eppure, nonostante il danno imminente, dall’Unione Europea non si registra alcuna risposta strutturale.
La polemica americana ruota attorno al presunto squilibrio commerciale “sfavorevole” con l’Europa. Ma questo calcolo ignora un fattore chiave: il valore dei servizi.
Ogni anno, gli Stati Uniti incassano miliardi dal continente europeo grazie alla vendita di servizi finanziari, digitali, cloud, consulenze, tecnologia, software, logistica e difesa. Dati Eurostat mostrano che la bilancia dei servizi è stabilmente in attivo per gli USA, a scapito dell’Europa. Ma nessuno propone di applicare dazi o tasse a Google, Amazon, Microsoft, JP Morgan, Lockheed o Raytheon.
Il risultato? Gli USA tassano i prodotti europei, ma continuano a vendere servizi intangibili e strategici senza ostacoli. Un evidente squilibrio strutturale che penalizza le economie locali e produttive, come quelle agricole.
Alla pressione esterna si somma un altro problema, tutto interno: le normative europee sull’agricoltura stanno diventando un ostacolo alla sopravvivenza del comparto primario.
Negli ultimi anni, le aziende agricole calabresi hanno dovuto affrontare:

  • Norme ambientali pensate per grandi latifondi del Nord Europa, inapplicabili in zone collinari o marginali;
  • Limitazioni all’uso del suolo e dell’acqua, anche per coltivazioni tradizionali;
  • Obblighi burocratici e digitali che pesano soprattutto sulle piccole imprese familiari;
  • Una PAC che favorisce gli intermediari e riduce i fondi diretti a chi coltiva realmente;
  • Vincoli fitosanitari e sanitari che penalizzano la trasformazione locale dei prodotti.
    In Calabria, dove agricoltura fa spesso rima con identità e presidio del territorio, questo sistema normativo sta minacciando la vitalità stessa di un’intera economia rurale.
    Oltre alla denuncia, serve una proposta. Davanti a una crisi sistemica, si impongono tre linee d’intervento urgenti:
  • Rafforzare il mercato interno: sostenere le filiere locali, incentivare il consumo consapevole e identitario, proteggere il prodotto agricolo nazionale dalle pratiche di dumping.
  • Semplificare le regole per le aziende agricole: una moratoria sui vincoli burocratici europei più penalizzanti e un codice agricolo nazionale semplificato per i micro-produttori.
  • Energia al servizio della terra: promuovere comunità energetiche rurali, impianti a biomassa e fotovoltaico aziendale, per ridurre i costi e garantire indipendenza alle aziende agricole.
    I dazi americani sono solo l’ultimo sintomo di un’Europa fragile, dipendente e poco reattiva. L’agricoltura, soprattutto in territori complessi come la Calabria, è una delle poche attività che generano valore reale, presidiano il territorio e mantengono vive le comunità.
    Ma senza tutele, senza semplificazioni, e senza una visione geopolitica autonoma, questa agricoltura rischia di scomparire. È tempo che le istituzioni europee e italiane scelgano da che parte stare: o con chi lavora la terra, o con chi specula sul cloud.