La Metrocity ricorda la tragedia di Marcinelle, il Delegato Conìa: “Quando i migranti eravamo noi”
Ago 09, 2025 - redazione
“Quando i migranti eravamo noi. 8 agosto 1956. Braccia in cambio di carbone. A sessant’otto anni dalla tragedia di Marcinelle, la Città Metropolitana di Reggio Calabria non dimentica”. Michele Conìa, Consigliere Metropolitano, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace ci invita a non dimenticare la tragedia di Marcinelle.
“Erano le 8 e 10 dell’8 agosto 1956 quando nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, le scintille causate dal corto circuito fecero incendiare 800 litri di olio in polvere e le strutture in legno del pozzo. Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio dell’alta tensione. Persero la vita 262 operai, appartenenti a 12 nazionalità diverse, 136 erano italiani, moltissimi erano originari della Calabria”.
“In quella miniera lavorarono operai quasi tutti provenienti dal Mezzogiorno d’Italia e buona parte erano calabresi originari di Reggio Calabria, Cosenza, San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell’intero Marchesato di Crotone. Tra il 1946 e il 1956 più di 140mila italiani varcarono le Alpi per andare a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia. Era il prezzo di un accordo tra Italia e Belgio che prevedeva un gigantesco baratto: braccia in cambio di carbone. Infatti l’Italia doveva inviare in Belgio 2mila uomini a settimana e, in cambio dell’afflusso di braccia, Bruxelles si impegnava a fornire a Roma 200 chilogrammi di carbone al giorno per ogni minatore. In ricordo della tragedia, oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco e l’ 8 agosto è divenuta la “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo” per ricordare l’amarezza della partenza, la bruciante nostalgia per la propria terra, la disperazione mista alla speranza di raggiungere quel benessere che nella propria località non è stato possibile realizzare, le discriminazioni subite e le ristrettezze economiche patite ascoltando quella voce dal di dentro che dice Ritornerò!
“Un paese – conclude Michele Conìa citando Cesare Pavese – vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.