La lanterna di Diogene

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Aboliamo il “carcere duro” per un paese civile che rispetti le uguaglianze

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Aboliamo il “carcere duro” per un paese civile che rispetti le uguaglianze. “Non è l’intensità della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma ripetute impressioni che da un forte ma passeggiero movimento”

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

Non è mai facile affrontare un discorso, specie quando vai a porre delle riflessioni in merito ad una condizione che non è motivo di consenso popolare. Specie in quegli ambienti dove, spacciandosi per antimafiosi di professione, sono sempre a fianco di una giustizia o una polizia qualsiasi cosa facciano acclamandoli se fanno bene e stare in silenzio se sbagliano.

Si è parlato moltissimo in questi giorni della “trattativa Stato-mafia” all’indomani delle stragi degli anni novanta e dell’accusa mossagli ad un ministro della giustizia dell’epoca di aver rimosso ad alcuni pericolosi mafiosi il regime del 41 Bis, il cosiddetto “carcere duro”.

Tempo fa il Gip di Palermo, il dott. Morosini ha affermato che «Quello del 41 bis è un regime carcerario terribile, dove il rispetto dei diritti umani è veramente a forte rischio. Dobbiamo interrogarci sugli effetti di sistema che l’azione antimafia ha portato nel nostro Paese», sono parole serie e condivisibili.

Il 41-bis è una tortura, ma tutti hanno paura di criticarlo perché si rischia di apparire dei collusi con la mafia.

Personalmente non ho mai avuto a che fare con la mafia ed anzi, ho sempre pensato che sia come disse Peppino Impastato “una montagna di merda”. Ma reputo in uno stato civile e democratico come il nostro Paese che questo regime detentivo sia un metodo medievale e che colpisce ledendo duramente i diritti umani quasi come una tortura.

Questi effetti dell’antimafia che occorreva a tutti i costi costruire un sistema giudiziario repressivo non guardando in faccia le condizioni inumane che lo stesso procurava, sia oramai superato, obsoleto e fallito.

In Italia vige il principio costituzionale di uguaglianza, ossia tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. E tale uguaglianza è continuamente portata ai quattro venti come esempio di civiltà e soprattutto come una garanzia fondamentale per i diritti dell’uomo. Ma è solo una blasfemia ed un’ipocrisia che trova carenze nella sua applicazione fattiva.

Mi ha colpito moltissimo una risposta del giudice Morosini letta in un’intervista su Calabria Ora quando, sicuramente in un momento di sfogo, afferma “Il nostro sistema carcerario è una barbarie sotto gli occhi di tutti… Le carceri calabresi, così come quelle italiane, sono organizzate in maniera irrispettosa della dignità delle persone”, e se lo dice un giudice, ossia quello che stabilisce e si regola nell’applicazione della legge così come delle condizioni restrittive di una persona soggetta a giudizio penale, non c’è da stare tanto allegri. Anzi, c’è da rabbrividire e iniziare a fare una riflessione molto profonda ma a 360 gradi.

Aveva ragione Cesare Beccarla quando disse che «Gli uomini quando non sono sicuri vanno al di là del loro scopo». Non c’è quindi da meravigliarsi se un principio di uguaglianza sia compatibile con una disposizione che regola il “carcere duro” per i criminali mafiosi, perché queste disuguaglianze non sono solamente una riserva di trattamenti differenti rispetto agli altri detenuti ma semplicemente un trattamento uguale per tutti quelli che si trovano in situazioni diverse. L’uguaglianza di Cesare Beccarla con il suo “Dei delitti e delle pene”, se ne va a puttane!

Cesare Beccarla aveva esaltato la pena detentiva sia per la sua grande frazionabilità che per l’uguaglianza del trattamento che veniva riservato a tutti quanti quelli che in qualche modo venivano privati della libertà personale. Il 41-bis ancora oggi persiste nel nostro ordinamento giudiziario ed ha caratteristiche medievali come se occorre rispondere con la tortura alle malefatte di pericolosi criminali, ed è qui che si sbaglia perché ci ritroviamo in un regime diseducativo e che non rispetti la libertà di uguaglianza. Valori imprescindibili che devono essere garantiti in uno stato civile come quello italiano. Per non parlare poi di alcune risoluzioni europee che hanno appunto descritto come il cosiddetto “carcere duro”, quasi come una tortura umana che lede la libertà ed i diritti umani.

A questi detenuti è consentito solo un colloquio al mese attraverso i vetri con obbligo di controllo auditivo e videoregistrazione, oltre ad essere limitati i colloqui con i difensori. Per non parlare dell’ora d’aria che non può essere fruita in gruppi superiori di 4 persone e non può protrarsi per più di due ore al giorno. Così facendo ci pieghiamo ad un’etica che è seriamente minata dalla condizione populista e mediatica nell’adeguare un regime carcerario ad uso e consumo della volontà medievale e di quei quattro componenti delle associazioni che di antimafia campano, guadagnano e ci mangiano pure a sbafo.

Ma la legge è uguale per tutti. E tutti tacciono, per paura di apparire collusi con la mafia. Ma visto che francamente me ne infischio, da questa mia umile rubrica propongo l’abolizione di questa tortura definita “carcere duro” perché non rispetta l’etica e la libertà dell’uomo.

lalanternadidiogene@approdonews.it