Il Teatro Cilea affascinato dalla musica di Eugenio Finardi

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Eugenio Finardi occupa un posto singolare e spesso scomodo nella storia della musica italiana perché più che una figura del rock d’autore, appare come una coscienza in costante movimento. La sua musica non è mai una fruizione semplice e distratta: ascoltarlo significa entrare in uno spazio intimo, in cui ogni parola porta il peso di una scelta e ogni nota nasce da una necessità interiore.

Negli anni Settanta Finardi è stato una delle espressioni più autentiche di una generazione inquieta. I suoi album non sono solo raccolte di brani, ma veri percorsi interiori, strutturati come un diario personale. Ogni canzone rappresenta un frammento di esperienza, un pensiero annotato con sincerità, una riflessione sulla propria vita e sul mondo circostante. I testi, più che racconti, assomigliano a confessioni: non cercano l’effetto letterario, ma la verità. Finardi non scrive per spiegarsi, ma per capirsi, trascinando l’ascoltatore dentro questo processo.

Questa dimensione confessionale si riflette anche nella complessità dei brani. Le strutture musicali sono spesso irregolari, talvolta difficili, lontane da qualsiasi forma di immediatezza. Non c’è mai compiacimento tecnico, ma una ricerca continua che rende l’ascolto impegnativo. È una difficoltà che appare necessaria: le emozioni, come i pensieri profondi, non possono essere semplici. Finardi sembra ricordarlo continuamente, rifiutando ogni semplificazione.

Durante il concerto tenutosi ieri sera al Teatro Cilea di Reggio Calabria — il secondo del cartellone L’eleganza dell’Arte organizzato da Publidema Eventi Musicali — questa dimensione si è fatta ancora più evidente. Finardi ha spesso interrotto la scaletta per raccontare episodi della propria vita, parlando con una calma quasi disarmante. Non erano aneddoti da palcoscenico, ma confessioni ulteriori, estensioni naturali dei suoi testi. In quei momenti è emersa una forte coerenza tra l’uomo e l’artista. 

All’interno del concerto ha trovato spazio anche una vera e propria sfida acustica che ha regalato al pubblico emozioni da standing ovation. 

Un momento particolarmente sentito del concerto è stato l’omaggio a Ivan Graziani, con l’esecuzione del brano Il prete di Anghiari. Con questa scelta, Finardi ha reso omaggio a un collega e a un amico della musica italiana, sottolineando il valore della memoria artistica. L’esecuzione ha aggiunto un ulteriore strato di intimità al concerto, mostrando la capacità di Finardi di trasformare la scena in uno spazio di condivisione profonda, in cui la storia personale e quella collettiva si incontrano.

L’entusiasmo del pubblico ha amplificato tutto questo. L’attenzione è stata costante, il rispetto palpabile, la partecipazione sincera. E, quando sono arrivate le canzoni più conosciute, il canto collettivo non ha preso il tono della nostalgia, ma quello di una condivisione ancora viva. Il fatto che si trattasse della sua prima esibizione a Reggio Calabria, in 50 anni di carriera, ha aggiunto un valore simbolico all’incontro, rafforzando il senso di un evento atteso e finalmente compiuto.