Il caso dell’imprenditore gioiese Nino De Masi arriva al Governo

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Ecco l’interrogazione del senatore Lannutti

Il caso dell’imprenditore gioiese Nino De Masi arriva al Governo

Ecco l’interrogazione del senatore Lannutti

 

 

Riceviamo e pubblichiamo:

Mostra rif. normativi

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-08385

Atto n. 4-08385

Pubblicato il 10 ottobre 2012, nella seduta n. 812

LANNUTTI – Ai Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico. –

Premesso che:

a quanto risulta all’interrogante dalla stampa, l’imprenditore di Gioia Tauro Nino De Masi ha inventato, brevettato e realizzato la safety cell (cellula di sicurezza), ma non riesce ad avere alcun finanziamento e denuncia ancora una volta l’abbandono e l’isolamento di chi, nonostante tutto, opera in Calabria, rilanciando investimenti ma anche nuove idee imprenditoriali;

si legge su un articolo pubblicato dalla “Gazzetta del Sud” il 24 settembre 2012 che «De Masi ha scritto una lettera all’intero mondo istituzionale, politico, economico, sindacale, ma anche alle Procure della Repubblica per riproporre la “crescita, lo sviluppo l’occupazione in Calabria e nel sud”. “In questi giorni Governo e politica – si legge nella missiva – affermano che occorre puntare l’attenzione sul Pil e non sullo spread, nel senso che dobbiamo pensare a produrre ed a crescere e non alle speculazioni finanziarie. Pochi giorni fa ho presentato un prodotto da me inventato e realizzato, una cellula di sicurezza, che ha una rilevanza mondiale e può migliorare lo stile di vita di molte persone. La cellula di sicurezza che ho realizzato consente di mitigare i rischi dei terremoti, permettendo alle persone che sono all’interno delle case di potersi salvare la vita in caso di tali eventi”. Un progetto che, secondo De Masi, può garantire a regime 12/18 mesi un’occupazione di circa 1.000 posti di lavoro e con tempi rapidi e concreti. “Vivo in una regione molto complicata nella quale è difficile operare e dove lo Stato nei decenni passati si è girato dall’altra parte consentendo che questo territorio cadesse in mano alla criminalità. Oggi molte cose sembra stiano cambiando ma fare l’imprenditore è sempre più difficile in un contesto di collusione e stranezze, nel quale le zone grigie sono spesso la normalità. Io – scrive ancora De Masi – ho sempre combattuto ciò, guardandomi bene dal tenermi distante dalle zone d’ombra. Dopo aver investito diverse centinaia di migliaia di euro, e due anni di lavoro, per arrivare alla presentazione del prodotto, “armato” di business plan, scheda tecnica e breve lettera di presentazione, ho chiesto ad un primario Istituto un modesto e provocatorio finanziamento di 15 mila euro che mi è stato rifiutato. Rimasto senza parole e molto arrabbiato per l’accaduto, ho scritto a tutte [le] banche operanti nella mia provincia, certamente molto provocatoria e con l’evidente finalità di metterle alla prova, mettendo in risalto anche gli innumerevoli procedimenti penali nei quali il ruolo delle banche è molto discusso e le inchieste che alcuni giornali hanno pubblicato in cui si afferma che le banche nella mia terra sono in mano alle cosche e per avere credito occorre a loro rivolgersi”. De Masi chiede quindi al Governo “come pensa di fare sviluppo e favorire la crescita in queste condizioni?” Un territorio dove “le banche sono colluse con la criminalità organizzata e non si capisce che un sistema finanziario colluso ed illegale può far traballare la democrazia? Non è difficile immaginare che se un cittadino ha bisogno di credito e la banca, immotivatamente, non lo concede, questo alla fine, disperato, andrà in banca accompagnato dal mafioso di turno per ottenerlo”. “Io – scrive ancora De Masi – non cerco assistenzialismo, non chiedo aiuti, sovvenzioni o altro, chiedo solo quello che in un Paese normale fatto da gente per bene la seria valutazione di un progetto dovrebbe essere fatta e, se ritenuto valido, ottenere [la] concessione di un finanziamento per poterlo realizzare, creando occupazione, benessere e sviluppo»;

considerato che:

si legge in un articolo pubblicato il 4 ottobre dal quotidiano on line “La perfetta letizia”: «Nel 1987 destò scalpore il coraggio dei proprietari della “De Masi Agricoltura”, che si rifiutarono di pagare il pizzo alla ‘ndrangheta. Tutti i quotidiani calabresi rivolsero l’attenzione a Giuseppe De Masi, imprenditore di Rizziconi, che fondò nel 1957 l’azienda trasformando il cortile della sua abitazione, dove da ragazzo riparava i piccoli trattori dei contadini della Piana di Gioia Tauro, in un’azienda leader nella vendita di macchine agricole. Il buon lavoro messo in atto dall’intera famiglia e dagli operai ha permesso all’attività di crescere ed esportare i macchinari anche in Spagna, Portogallo, Grecia, Israele. Ma accadde allora, come è successo e succede ancora oggi a molti altri imprenditori calabresi, che i mafiosi tentarono di estorcere il pizzo con una lunga serie di intimidazioni, fino a far scoppiare due ordigni sotto l’abitazione di Giuseppe De Masi. Ma l’imprenditore, malgrado le paure e i timori, rifiutò di cedere alle minacce anticipando l’azione più nota di Libero Grassi, che morì a causa del suo tentativo di ribellione alla mafia. Accanto agli sforzi di Giuseppe c’è sempre stato il figlio Antonino, che già da ragazzo seguiva con grande intuito manageriale l’amministrazione e l’attività esecutiva dell’azienda. Oggi, a distanza di tempo, Nino è un uomo coraggioso come il padre, costretto a combattere altre battaglie. Sì, perché dopo che la famiglia De Masi ha vinto la sua battaglia di legalità allontanando da sé le grinfie della ‘ndrangheta, c’è stata una nuova minaccia che ha rischiato di mettere in crisi una delle poche aziende italiane che continua a mantenersi in piedi contando unicamente sulle proprie risorse: l’azienda ha infatti subito un raggiro bancario, anche questo denunciato con la tenacia di sempre. Nel 1996 infatti Nino decise di cogliere i privilegi previsti dalla legge 108 per l’imprenditoria nel Mezzogiorno, ma ben presto, tramite artifici bancari sul Tegm (il tasso effettivo globale medio), subì una vera e propria forma di usura da alcune banche. La famiglia De Masi allora presentò un esposto in Procura contro i presidenti di Capitalia, della Bnl, della Banca Antonveneta e di altri 8 funzionari e dirigenti di 3 istituti di credito, che riuscirono però a farla franca adducendo giustificazioni varie e incolpando i sistemi informatici per i tassi applicati»;

anche l’agenzia “Reuters Italia” del 26 luglio 2012 riporta l’inquietante notizia di banche calabresi assediate dai clan, di banchieri picchiati e costretti ad aprire conti correnti senza i requisiti necessari;

si legge: «Gli istituti di credito della Piana di Gioia Tauro sono assediati dal clandi ‘ndrangheta Molè-Piromalli, come rivelano due informative della Dia di Reggio Calabria, che per la prima volta è riuscita ad ottenere le testimonianze di venti tra direttori e funzionari di banca. Lo scrive oggi il quotidiano Calabria Ora, e lo confermano fonti giudiziarie e il testo delle informative consultate da Reuters, nelle quali si legge che gli inquirenti stanno indagando su presunto “complicità di alcuni direttori”. “Alla luce di quanto emerso e argomentato questo ufficio è del parere che l’attività creditizia della Piana di Gioia Tauro è stata fortemente condizionata e inquinata da ingerenze esterne riconducibili alla ‘ndrangheta”, scrive una delle informative citate dal quotidiano, che definisce il sistema bancario in Calabria “un gigante dai piedi d’argilla”. L’inchiesta che ha portato a queste conclusioni è nata nell’aprile 2011; snodo centrale, una maxitruffa partita da alcune aziende del nord Italia con vittime anche gli istituti di credito. Sono indagate 30 persone che, secondo le due informative, avrebbero prodotto e movimentato denaro fittizio per circa dieci milioni di euro, costringendo alcune banche ad aprire conti correnti senza i requisiti necessari. Un funzionario ha testimoniato: “Ripetevano che le banche dovevano essere sgozzate come capretti senza fare uscire una goccia di sangue. So di colleghi pedinati e pestati”. La Piana di Gioia Tauro è una delle zone della Calabria dove gli inquirenti hanno registrato il più alto livello di infiltrazione mafiosa nell’attività economica»,

si chiede di sapere:

quali urgenti iniziative voglia intraprendere il Governo al fine di combattere la descritta collusa realtà calabrese, anche richiedendo al sistema bancario locale un’assunzione di responsabilità relativamente al modo in cui svolge il suo ruolo in Calabria considerato che il sistema economico della regione ha bisogno di aziende di credito che sappiano investire nel territorio in modo da sostenere l’economia sana e onesta per assicurare un rilancio del tessuto economico della regione, evitando di inquinare la loro immagine, anche solo a livello di mero sospetto, con comportamenti discutibili e poco chiari, rifiutando un sistema illegale e violento;

quali iniziative voglia intraprendere per riproporre la crescita, lo sviluppo l’occupazione in Calabria, e nel sud in generale, anche difendendo l’onestà sociale e imprenditoriale;

quali misure i Ministri in indirizzo intendano adottare al fine di indurre le banche ad erogare mutui e prestiti alle PMI, che costituiscono il punto focale dell’economia italiana, ed un irrinunciabile punto di avvio del rilancio produttivo del Paese;

quali iniziative di competenza intenda assumere affinché le banche aprano il credito alle famiglie e piccole medie imprese invece di favorire solo i dirigenti e gli azionisti degli istituti nonché i soliti privilegiati a cui continuano ad erogare disinvolti finanziamenti, come Zunino, Zaleski e Ligresti, senza alcuna garanzia al di fuori dei criteri prudenziali sulla meritorietà del credito, invece di finanziare gli imprenditori che rappresentano l’economia reale italiana.