Il 3 maggio 1982, un’associazione tra mafia catanese e ‘ndrangheta uccideva a Reggio Calabria con un’autobomba,  Gennaro Musella

banner bcc calabria

banner bcc calabria

Il 3 maggio 1982, un’associazione tra mafia catanese e ‘ndrangheta uccideva a Reggio Calabria con un’autobomba,  Gennaro Musella, ingegnere salernitano trasferitosi per lavoro in Calabria. Nell’ anniversario della morte  il gruppo di lettura “Viaggi tra le righe”, curato dalla Dott. Ssa Francescoa De Stefano lo ha ricordato alla citta’, in  un’iniziativa, svoltasi presso il Seminario Pio XI di ReggioCalabria.

 In una affollatissima sala, tante le presenze e le personalita’ intervenute. Francesca De Stefano, nel sottolineare l’importanza della memoria, attraverso le pagine del libro” Vittima di mafia, nome comune di persona” di Ulisse Di Palma ha ripercorso gli attimi terribili di quel 3 maggio 1982, quando Reggio Calabria fu scossa da  un tremendo boato   e i resti di Gennaro Musella finirono sull’asfalto dell’allora centralissima Via Apollo.  Una storia vera, una storia che ci appartiene,quella di un uomo, di una famiglia, di una città. Toccante la testimonianza della figlia, Adriana Musella , che nonostante il passare del tempo,non ha saputo nascondere la sua. commozione. Una memoria la sua, intesa come riscatto  dalla mortificazione del corpo di un padre tanto amato. Il Rettore del Seminario don Simone Gatto, in apertura dei lavori, ha ricordato il grande valore della vita umana,  condannando ogni forma di violenza e sopraffazione. Molte le testimonianze e gli interventi. Giuseppe Livoti , presidente dell’associazione “Le Musr” ha rilevato la necessita’ del noi e di mettere al centro la persona umana. Anna Nucera, del Serra club, ha invitato ad uno scatto di orgoglio e di coraggio, mentre Annamaria Stanganelli, garante della salute, ha parlato dell’importanza della respondabilita’. L’ing. Pastore, amico di Musella, ha portato la sua testimonianza. ‘ In un video messaggio Wanda Ferro, sottosegretaria al Ministero dell’Interno, ha ricordato Gennaro Musella come uomo  mite, onesto, un  imprenditore coraggioso che amava la terra che lo aveva accolto e che ha pagato con la vita il suo rifiuto di piegarsi, la sua denuncia di irregolarità negli appalti pubblici. “In questa lunghissima lotta della memoria contro L’oblio” ha proseguito l’on. Ferro, il più potente atto di resistenza contro la criminalità organizzata,  vogliamo affermare che nessun sacrificio è dimenticato. 

Le istituzioni sono impegnate senza tregua nel contrasto alle organizzazioni criminali 

ma il contrasto alla mafia, , non è fatto solo di repressione. Non bastano i processi, non bastano gli arresti.

La criminalità organizzata  oggi si infiltra silenziosamente nell’economia legale, costruendo relazioni, generando un consenso che, nel breve periodo, può sembrare conveniente, ma che nel lungo termine si rivela devastante per l’intero tessuto sociale. La vera forza della mafia è ancora oggi il consenso, l’area grigia di complicità e connivenze. Per questo chiediamo alla comunità di non cedere, di resistere alla tentazione di trarre vantaggio dai rapporti con le cosche. È necessario un risveglio delle coscienze. Serve l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune ai privilegi, che sceglie la legalità senza compromessi. Le mafie si contrastano con i mezzi dello Stato, certo, ma soprattutto con il coraggio civile di dire no.”

Il Dott. Michelangelo  di Stefano, gia’ funzionario Dia e consulente della Commissione Antimafia XVIII legislatura, ha parlato del sogno spezzato di Gennaro Musella, della scelta d’investire in Calabria,di quel villaggio turistico mai costruito. 

Ha ricordato  un imprenditore d’eccellenza nelle costruzioni marittime, seconda impresa del meridione

 della sua decisione di non piegarsi per nessuna ragione, denunciando prima turbative e poi continuando a partecipare ad appalti pubblici nonostante i ripetuti avvertimenti. L’omicidio Musella e’ ormai storia conosciuta da tutti ma la riflessione  posta da Michelangelo Di Stefano (che ha curato le indagini su quell’omicidio) è diversa.

La ‘Ndrangheta usa diversi metodi per tappare la bocca ad una persona scomoda:

La delegittimazione, ad esempio, non è cruenta ma uccide la reputazione di un individuo.

Vi è poi il piombo, che induce i parenti a piangere quella carne morta intrisa di sangue.

Ancora vi è la lupara bianca, più cruenta della prima, perché non consentirà ai cari di quella persona di avere un corpo da poter piangere.

Di morti invisibili ve ne sono tante: dentro un pilastro di cemento, interrato con la calce idrata per poi essere divorato nel processo di decomposizione, ancora nell’acido muriatico, anche se la più diffusa rimane quella del pasto ai porci.

Ma quella di Musella non è una morte di mafia, bensì un atto terroristico. 

Musella era una persona buona, un bersaglio semplicissimo che poteva essere colpito con un proiettile cal. 7,65 con 20 lire; e allora perché utilizzare una carica esagerata di tritolo con un raffinato detonatore militare in pieno centro, sopra il castello aragonese, accanto a scuole e negozi? Perché uccidere una pulce con un carrarmato?

E’ stato il solo caso nella storia criminale che si ricordi: l’11 ottobre 1985 ci sarebbe stata l’autobomba a Nino Imerti  e nel 2008 l’attentato all’imprenditore Nino Princi, ma stiamo parlando di altri contesti.

Musella non aveva la scorta come Rocco Chinnici, non era un bersaglio complicato come Falcone e Borsellino, ed allora perché questa esecuzione che lo avrebbe ridotto a brandelli? Semplice: quel corpo dilaniato doveva essere esemplare: un segno inequivocabile per tutti.

Musella venne ucciso nel 1982, anno caldo: da Pio La Torre a Carlo Alberto Dalla Chiesa; ma anche della cattura di Licio Gelli. 

E pochi mesi prima, perché si comprenda lo scenario criminale in cui è maturata l’omicidio,   ad Archi era arrivato con un aereo dei servizi segreti Adalberto Titta, l’uomo di vertice dell’Anello, per incontrare un noto avvocato reggino che avrebbe dovuto mediare la liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse.

E qualche tempo dopo, sempre ad Archi, sarebbe stato rinvenuto un documento di identità falso con la fotografia di un soggetto imputato nel processo dell’Italicus e di Piazza della Loggia, il cui esplosivo, a dire dei collaboratori di giustizia, sarebbe stato prelevato dalla nave Laura C. nei fondali di Saline Joniche.

L’anno successivo ai fatti di Brescia e del treno Italicus, i maggiorenti della ‘Ndrangheta sarebbero stati identificati a Roma nel corso di un incontro con esponenti della banda della Magliana; caso vuole che i calabresi fossero giunti con la Mercedes di un imprenditore del tessile di Lamezia, legato a Gelli e alla P2, e che aveva assunto nella sua azienda uno dei maggiorenti della ‘Ndrangheta.

Lo spaccato che emerge palesa una ‘Ndrangheta complessa, insinuata nel tessuto sociale e imprenditoriale; non un soggetto criminale fine a se stesso, ma uno strumento persuasivo mosso da poteri forti e lobbies di interesse.

 Nel concludere Di Stefano ha citato il primo collaboratore calabrese:

“Reggio”, lo aveva riferito Giacomo Lauro nel corso di una deposizione, “ è la città del Mago Merlino e della Fata Morgana dove, spesse volte, si vedono le case al contrario, con i tetti in basso e le fondamenta sopra, dove tutto è falsato”.  

E di Adriana Musella? Di Stefano ha voluto ricordare un episodio che la figlia dell’ingegnere evita di palesare: qualche tempo dopo quella barbarie Adriana aveva voluto incontrare un uomo di vertice della ‘Ndrangheta, Paolo De Stefano, allora alla macchia. Adriana voleva sapere chi fosse il mandante di quello scempio e con grande coraggio affronto’ il capo dei capi. La risposta non è mai stata data.

 A concluso  l’evento commemorativo, una Messa in suffragio, presieduta da don Simone Gatto e concelebrata da don Gianni Gattuso, don Vinci e don Lorenzo Tortorella.