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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 30 APRILE 2024

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Vivere al buio, in quattro persone, e con 220 euro al mese

Vivere al buio, in quattro persone, e con 220 euro al mese

Dramma della povertà a San Ferdinando: staccata la luce a un dializzato perché moroso. Nel novembre scorso l’Inps gli ha revocato l’indennità di accompagnamento e da allora l’esiguo assegno non è neppure sufficiente a sfamare la famiglia, figuriamoci a pagare le bollette

EDITORIALE DI SALVATORE LAZZARO

Vivere al buio, in quattro persone, e con 220 euro al mese

Dramma della povertà a San Ferdinando: staccata la luce a un dializzato perché moroso. Nel novembre scorso l’Inps gli ha revocato l’indennità di accompagnamento e da allora l’esiguo assegno non è neppure sufficiente a sfamare la famiglia, figuriamoci a pagare le bollette

 

di Salvatore Lazzaro

 

 

SAN FERDINANDO – Vivere al buio, col frigo spento, così come pure tutti gli altri elettrodomestici. E cibarsi del minimo indispensabile, e spesso nemmeno quello. Nelle ristrettezze finanziarie totali. Contando sull’unico reddito di appena 222 euro al mese, proveniente dall’assegno di invalidità civile. E’ possibile che tutto questo accada ai giorni nostri, funestati comunque da una crisi economica senza precedenti e senza una via di uscita? Sembra proprio di sì. Sembra sia davvero possibile. Anzi, è possibile. Anche se non si può definire vivere un vivere così. Ma è ciò che sta accadendo a un pensionato di San Ferdinando, e alla sua famiglia, composta dalla moglie (che ha seri problemi di salute) e ai tre figli, la più grandi di 20 anni, disoccupata, e il più piccolo di 9. Tutti sulle sue spalle. Tutti a cercare di sopravvivere facendo aggio su quella elemosina di entrata. Che l’uomo percepisce in quanto dializzato. Ossia, quasi malato terminale. Impossibilitato a svolgere qualsiasi proficuo lavoro. E che all’ospedale di Taurianova, nel reparto di emodialisi, può arrivare grazie al buon cuore di un altro paziente, che lo va a prendere a casa e poi lo riporta. Non avendo il nostro la possibilità di usare la proprio auto perché sempre a secco di benzina. Lui si chiama Biagio Archi e abita alla contrada Creti, nel Comune di San Ferdinando. Il quale Comune gli ha concesso tempo fa un contributo di 500 euro, una goccia di acqua nel mare magnum dei suoi bisogni e di quelli della sua famiglia. Ma sempre meglio che niente. Fino all’anno scorso, Biagio godeva anche dell’indennità di accompagnamento. Che aggiunta ai 222 euro (cifra, questa, stranamente inferiore di una cinquantina di euro rispetto a quella dovuta, e l’uomo non si sa spiegare il motivo) portava il reddito mensile della famiglia Archi a una soglia in qualche modo sostenibile, sufficiente – a malapena, molto a malapena – a tirare a campare. Per esempio, poteva fare una esigua scorta di generi alimentari e pagare l’affitto e la luce. Sennonché, nel novembre scorso, l’Inps gli ha revocato l’indennità di accompagnamento (così come – pare – sta facendo con tutti i dializzati), e Biagio Archi è precipitato nella miseria più nera. Impossibilitato, per esempio, a pagare le bollette della luce. Sicché, l’Enel – il contratto è contratto e non si può guardare in faccia a nessuno – gli ha prima ridotto l’erogazione della corrente elettrica e poi gliel’ha staccata definitivamente. Al dramma della indigenza, per la famiglia di San Ferdinando, si è aggiunto. da qualche settimana, il buio – letterale – della disperazione. Fortuna che c’è un fratello di Biagio che provvede, quando può e come può, a portare qualcosa da mangiare. “Mi sono anche rivolto alla Caritas – confida l’uomo – mi hanno chiesto il modello Isee per sapere come me la passo, gliel’ho portato ma ancora non ho ricevuto niente”. “In queste condizioni – aggiunge – come faccio a pagare la luce e tutte le altre bollette in scadenza?. Il poco che ho devo necessariamente destinarlo a comprare roba da mangiare, almeno per i figli”. Biagio si commuove. Con gli occhi lucidi, ricorda quando, ancora sano e pieno di vita, lavorava e portava a casa un salario col quale andare avanti dignitosamente. Poi, quattro anni fa, la scoperta della malattia e l’obbligo di sottoporsi a dialisi più volte alla settimana. Una brutta patologia arrivata troppo presto, e adesso, ad appena 47 anni, l’uomo si sente finito. Impossibilitato non solo a lavorare ma anche a sostenersi e a sostenere i suoi cari. “Noi dializzati siamo totalmente inabili – conclude sconfortato Biagio Archi – e non capisco perché mi è stato tolto l’accompagno, così che a farci morire prima non sarà solo la malattia ma anche la fame”. Nonché il freddo e l’oscurità della propria casa. Biagio non lo dice, ma, forse, lo pensa.

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