di Domenico Caruso
Cosoleto, paese nostro angusto / con un pugno di case, / nato sei tu da principe / in cima alla collina / e la pianura intorno / ai piedi tuoi s’inchina. // […] Il verde degli ulivi, / perenne e senza uguale / che il vento fa ondeggiare, / ci mostra dal disotto / la foglia inargentata, / facendoci estasiare / nell’aria profumata. (Adatt. da: Giuseppe Fucile – cosoletano che vive in Canada)
Un po’ di storia
L’origine di Cosoleto, (il cui nome deriva – per l’Alessio – dal latino Casuleto, cioè aggregato di piccole case, e dopo il 1500 appare come Cusoleto – Cosolito – Casoleto), si fa risalire all’esodo delle popolazioni rivierasche di Metauria e di Tauriana causato dalla più micidiale scorreria saracena (951). Parecchi profughi avrebbero scelto fra le colline e i monti un luogo sicuro. D’altra parte, c’è chi sostiene l’esistenza del paese prima di detta immigrazione, poiché in quei pressi si parlò a lungo la lingua greca. Notizie più certe si hanno durante gli avvicendamenti feudali: nel 1270 Cosoleto risulta Baronia di Lamberto Malaino fino alla rivolta dei nobili (1464) e tre anni dopo viene concesso da re Ferrante I d’Aragona a Valentino Claver. A quest’ultimo è legata la fondazione del Convento dei Cappuccini (1532), soppresso dai Francesi il 30 marzo 1808. Il feudo passa, quindi, ai Ruffo del ramo dei Duchi di Bagnara, il cui erede Fabrizio lo vende (1573) a Giovan Battista Sarsale di Sellia che lo possiede fin al 1625. Ora la terra è dei Ruffo di Scilla che nel 1639 la trasferiscono ad Antonia Francoperta (di nobile famiglia reggina) e Cosoleto acquista importanza, avendo don Giuseppe Francoperta ottenuto dal re il titolo di Principe (1671). Alla morte di questi, avvenuta due anni dopo, essendo estinta la linea maschile della dinastia, succede la nipote Laura Tranfo. Ultimo feudatario, prima dell’eversione (1806), a partire dal terremoto del 5 febbraio 1783, diviene il Principe Carlo Tranfo fu Gaetano recuperato vivo dopo 24 ore dal crollo del palazzo gentilizio.
Il Grande Flagello assume nel territorio di Cosoleto i caratteri di un’Apocalisse, sia per la distruzione dell’abitato che sorgeva sul piano terrazzato di una rupe e la conseguente formazione di laghi malsani sia per l’elevato numero di vittime. La riedificazione del centro è realizzata non molto lontano. Nel 1799, durante la Repubblica Partenopea, Cosoleto fa parte del Cantone di Seminara e con la legge francese del 19 gennaio 1807 diviene Luogo o Università ed è assegnato nel Governo di S. Eufemia di Sinopoli.
Da un bilancio del 1809 avrebbe, infine, ottenuto l’autonomia amministrativa (con l’inclusione dei villaggi di Acquaro e Sitizano) ancor prima del decreto Masci del 4 maggio 1811, rimanendo nella giurisdizione di Sinopoli elevato a capoluogo di Circondario.
(Bibliografia essenziale: Nino Lionello, Cosoleto e la sua storia – Un Comune aspromontano – Laruffa Ed. – R.C., 1989).
Feste e ricorrenze principali
Riti religiosi: San Sebastiano, patrono (20 gennaio) e Madonna del Carmine a Sitizano (prima domenica di maggio), con celebrazione della Messa e processione; nella Frazione si è scelta la suddetta data a ricordo dell’evento del 1764 che ha visto un’immagine della Vergine del Carmelo versare lacrime di sangue. Maria SS. delle Grazie (che, in occasione del centenario, il 10 agosto 2005 è stata incoronata) e S. Maria degli Angeli (prima settimana di agosto) con cerimonie religiose e civili (come giochi popolari, musica in piazza e fuochi d’artificio).
L’evento eccezionale è costituito dalla ricorrenza di San Rocco nella frazione Acquaro (dal 14 al 16 agosto), con attrattive d’ogni genere che coinvolgono i fedeli non soltanto della Piana.
I pellegrinaggi si protraggono fino al 1° novembre, allorquando la statua di S. Rocco, di arte popolare, viene riposta – con un particolare binario (farmiculara) – sopra l’altare maggiore del Santuario. Riportiamo dei particolari ancora attuali.
Eventi eccezionali e curiosità
Santi guaritori
«In una società carente di strutture sanitarie, nella quale i farmaci erano solo quelli che l’esperienza aveva rivelato utili ed efficaci, il ricorso ai Santi potenti e soccorritori s’imponeva come rifugio naturale e spontaneo.
I Santi Guaritori svolgevano un ruolo insostituibile, riconosciuto universalmente e ricercato fiduciosamente. L’opinione comune concentrava su di essi, ritenuti taumaturghi portentosi, l’attenzione e ad essi rendeva un culto peculiare». (Da: Santo Rullo, Popolo e devozioni nella Piana di Gioia Tauro, Laruffa Ed. – R.C., 1999).
Ed a proposito di San Rocco, prosegue ancora Don Rullo (1930-2012): «Il centro di culto secolare più celebre era il Santuario san Rocco in Acquaro di Cosoleto. Pellegrini della Piana, di Reggio, della Sicilia, di Catanzaro confluivano ogni anno, nei giorni di ferragosto, con sentimenti di gratitudine per le guarigioni ottenute, o in attesa di favori da ottenere. Imponente nel Tempio si elevava la Statua del Santo, dagli occhi vivi sprigionanti energia e imperiosità e miranti lontano la vasta distesa della Piana.
Al momento della Calata dal ninfeo marmoreo (mezzanotte del 16 agosto) e della Salita nel suo monumentale trono (mezzogiorno del 1° Novembre), essa si trasfigurava in idolo divino oggetto di intensa emotività e di calorose suppliche. In una Chiesa gremita all’inverosimile, si piangeva, si gridava, si chiamava e si offriva il dono, da ogni angolo, al Santo che si muoveva per scendere, o per salire. Caratteristici erano gli ex voto formati da figure di Bimbi e da parti anatomiche del corpo umano. Essi costituivano l’inutile tesoro di S. Rocco».
E la banda suonò a Cosoleto…
Una volta, per la ricorrenza della Madonna degli Angeli, il Comitato aveva stabilito di fare a meno della banda musicale. Ma il caso volle che si trovassero a passare nelle vicinanze i componenti il complesso bandistico della “Città di Melicuccà” diretti in altro paese. Ed essendosi imbattuti con una bella signora, chiesero informazioni del luogo in cui avrebbero dovuto suonare.
La donna indicò Cosoleto e quelli si diressero in Chiesa. Là, con grande stupore, intravidero nella statua della Santa Vergine l’immagine della signora incontrata. Avvinti dal prodigio, si fermarono ad allietare l’evento. (Dalla voce popolare).
La Sibilla Cumana
Un tempo nell’Aspromonte si ergeva un castello abitato dalla donna più sapiente, detta Sibilla Cumana, e dal fratello Marco. Le migliori famiglie mandavano da lei le figlie ad apprendere le arti e le scienze. Ad una fanciulla che chiese qualcosa per rendere più gustoso il pane, suggerì di mettere il lievito. A motivo della sua bellezza e della sua sapienza, la Sibilla non dubitava che il cielo l’avrebbe eletta a madre di Cristo. Unica conoscitrice della scrittura, componeva i libri che consegnava alle ragazze. Ma quando una di esse, Maria, le raccontò un sogno rivelatore, intuendo che quella dolce creatura era destinata ad essere la madre del figlio di Dio, fece bruciare tutti i libri. La fanciulla riuscì a salvare il suo. Con gli anni la maga divenne cattiva e seppe della nascita di Gesù. Marco, per accontentare la sorella, andò a cercarlo e lo colpì con la destra sulla guancia. Per questo lui fu condannato a vivere fra gli antri del castello ed a battere i cancelli con la mano sacrilega trasformata in mazza di ferro, la sorella ad essere rosa dall’ira. Scomparso il castello, il sole spostò il suo corso onde lasciare nella notte quel luogo maledetto. Più giù, nella valle di Polsi, intanto sorgeva il Santuario dedicato alla Madonna che tanti pellegrini vanno a venerare recando in dono i loro voti. E quando il simulacro di Maria viene portato in trionfo, invece che a levante (dove sorgeva il castello), con rapido giro si volge con il tergo verso la grotta. Ma mentre la statua entra così nel tempio, il cielo si copre di cirri: è Marco che si lamenta con la sorella negli antri aspromontani.
(La leggenda di Cosoleto, da noi ridotta, è riportata da Antonino Basile in Folklore di Calabria – Anno II, n. 2 – aprile/giugno 1957)
Scrittori e poeti principali
1) Mons. Rocco Còcolo (1915-1993), saggista, storico, musico e giurista ecclesiastico. Fra le sue opere: I postulati dei vescovi napoletani al Concilio Vaticano I (1978), Parola e Vita (1982); Lettere Pastorali. 2) Libero Majoli da Sitizano (1875-1933), docente, scrittore, giornalista, oratore e filosofo. Ha pubblicato, fra l’altro, Primitiae; Dante e la Divina Commedia; La Calabria nel suo passato e nel suo avvenire (1923); San Francesco d’Assisi nella storia e nella vita (1926). 3) Alfonso Rìzzica (1919-1992), autore di libri scolastici di latino o propedeutici al latino come: Analisi logica, Nomen et verbum, Nova via, Corso di latino, Manuale di latino, Latina lingua. 4) Serafino Sgro (1912-1996), insegnante ed autore di testi didattici pedagogici come: Il globalismo ed i limiti della sincresi (1959), La filosofia di E. Bergson e le sue implicanze pedagogiche (1970), Gioco e didattica (1970). Le poesie giovanili sono rimaste congestionate tra ideali di un carteggio, come riferisce lo stesso scrittore, al quale è stata intitolata la locale scuola elementare.
Proverbi e modi di dire
‘A cira squàgghja e ‘u santu no’ camina. (La cera si liquefa e la processione del santo rimane ferma). ‘A pràtica rruppi ‘a grammatica. (Conta più l’esperienza che le regole). Bròcculu, zzòcculu e predicaturi dopu Pasca no’ mbàlinu cchjuni. (Trascorso il periodo pasquale non giovano i broccoli, gli zoccoli ed i padri predicatori). Cu’ cchjù sapi cchjù vali. (L’uomo tanto può quanto sa). Mègghju suli ca mali accumpagnati. (Meglio soli che male accompagnati). ’Na fìmmana e ‘na sumera ribbèjanu ‘na fera. (Una donna e un’asina sono capaci di mettere in subbuglio un’intera fiera paesana). Quandu ‘a gatta non c’è ‘u sùrici balla. (Durante l’assenza della gatta il topo fa festa). Teniri comu ‘a zzita a’ chiesa. (Tenere con la delicatezza della sposa in chiesa). ‘U Signuri ‘nci manda ‘i biscotti a cu’ non avi denti. (Il Signore manda i biscotti a chi non ha denti). Va’ ‘ndo patutu e non jìri ‘ndo medicu. (Rivolgiti a chi ha sofferto senza ricorrere dal dottore).
Concludiamo con un canto popolare
Quandu nescisti tu, crucitta d’oru, / tricentu torci dal cielu calaru:/ una, la mègghju, ti spandiva l’oru, / n’atra ‘ssu biancu pettu ti ‘ndorava. / Jeu cridu chi di l’angiuli si’ soru, / niputi di lu rre palermitanu: / ‘mbiatu cu’ ti misi a ttia ‘ssu nomu, / non ‘mbiatu su’ jeu chi tantu t’amu!