Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), VENERDì 19 APRILE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Un giudice A spasso nel sentiero tortuoso della medicina difensiva

Un giudice A spasso nel sentiero tortuoso della medicina difensiva
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

“Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura… te lo rivelan gli occhi e le battute della gente…”
Facciamo un gioco. Cosa vi suggerisce la parola “giudice”? A me ha sempre fatto venire in mente il testo di questa splendida canzone del poeta De André. Finché non ho iniziato a lavorare in ospedale. E allora “il giudice” è diventato un personaggio mitologico, metà uomo e metà castigatore, che si nutre dei tuoi errori, si eccita con le tue omissioni e sbava sulle tue terapie. Ecco, lo immagino proprio così: un onanista represso, un feticista della cartella clinica.

“Attenta a cosa scrivi in cartella, eh, se no poi il giudice…”
“Chiediamo questa consulenza se no il giudice…”
“E facciamola ‘sta Tac così un giorno nessun giudice potrà dire che…”
Il giudice.

Tu lavori e lui ti osserva. Mentre ti stai arrovellando su un tracciato, alzi un attimo la testa per mettere insieme i neuroni e allora lo vedi: la sua ombra evanescente si staglia sulla parete, l’inquietante profilo togato ha le sembianze della triste mietitrice. Tu lo guardi e lui ti ricambia lo sguardo con un sogghigno e un cenno del capo. “Attenta a quello che fai, che io sono sempre qua”.
Ed è vero. Te lo ritrovi dappertutto come un folletto stalker, un ectoplasma nascosto tra le pieghe della cartella, un redivivo Patrick Swayze che ti abbraccia da dietro e ti guida ogni volta che apponi la tua firma e il tuo timbro, mentre in sottofondo partono le note di Ghost. Ormai è così: prima aprivo la cassetta della posta per vedere se c’erano biglietti di spasimanti anonimi, ora ci guardo per vedere se ci sono avvisi di garanzia. Anche le tradizioni e le usanze legate ai riti funerari sono state stravolte dopo l’avvento del giudice. Manca solo che lo scrivano a caratteri cubitali sui manifesti: “A tumulazione avvenuta verrà fatta richiesta di cartella clinica. La stessa sarà esposta in una teca cosicché tutti possano renderle omaggio”.
Attenzione, che di questi tempi di linciaggio mediatico si rischia di essere fraintesi. La negligenza e il dolo vanno sempre puniti quando accertati, perché oltre a danneggiare le vittime danneggiano anche chi in questo lavoro ci mette anima e passione, sacrificando tante altre cose della propria vita.

Ma l’esasperazione della “caccia alle streghe” produce, inevitabilmente e paradossalmente, effetti pericolosi sul personale, sull’utenza e sulla società in generale, con un disastroso effetto domino. Intanto la diffidenza allontana sempre più medico e malato, annullando due fattori fondamentali di questo rapporto: il dialogo e l’empatia. Se percepisco la tua sfiducia mi irrigidisco, se mi irrigidisco lavoro male. Se appena entri dici che qua non ci vuoi stare e che era meglio altrove, respiro, faccio ohm ohm, ma poi sono umana anch’io e un po’, la pazienza, la inizio a perdere.
Se dopo due giorni dici che non ci abbiamo capito niente, se prima parli con me e poi ti giochi la telefonata a casa o l’aiuto del pubblico per chiedere il consulto del tuo luminare di fiducia (il solito zio dell’amico del cognato), che dalla sua poltrona del suo prestigioso ospedale della sua tranquilla ed evoluta cittadina nordica, consiglia e prescrive altri esami, non ci metti nelle condizioni di serenità per poterci capire qualcosa.

Ma il danno più grave viene da un elemento che purtroppo è diventato uno strumento costante nel nostro operato, al pari del fonendo e del saturimetro: la paura della denuncia. E come altri strumenti, c’è chi la utilizza di più e la porta sempre con sé, chi magari la dimentica nell’armadietto. Il mio vecchio primario sosteneva che ogni persona che valutiamo e ogni elettrocardiogramma che refertiamo, rappresentano per noi un potenziale pericolo. Tristissimo ma vero. E allora, cerchiamo sempre di fare quella cosa inutile in più, piuttosto che una cosa in meno. Mai sia facciamo arrabbiare il giudice. Quanti ricoveri evitabili e impropri si fanno perché se, il poveretto che viene mandato a casa, muore per qualsiasi altro motivo, poi vengono a chiedere conto a te? ( proprio il giudice in persona, come Don Rodrigo coi suoi bravi). Ma poi quel posto in cui ci abbiamo messo il bronchitico che si poteva curare a casa, non lo abbiamo tolto a qualcuno che di quel ricovero aveva effettiva necessità e che magari sarà costretto a fare il giro della regione per trovare un posto letto? (e in ogni caso si griderà allo scandalo) Tanto, in questo lavoro, come diceva una mia saggia collega, “Come la fai la sbagli.”

Il tortuoso sentiero della medicina difensiva è lastricato di comportamenti finalizzati all’autotutela, come il tenersi sempre sul “conservativo” (con uno sbilanciamento, spesso soggettivo, del rapporto rischio/beneficio tutto a favore del rischio), o come la diffusa tendenza a richiedere esami a tappeto, al pari di una battuta di pesca con le reti. Vuoi che tra troponine, Tc torace, ecografie addominali e D dimeri qualcosa non venga fuori e rimanga impigliata tra le maglie di questa rete? L’importante è dire “Io l’ho fatto”. Però questi esami costano, sapete? Mica li regalano con le figurine. E poi un giorno i soldi finiscono e finisce che non si possono fare più neanche gli esami di cui si ha realmente bisogno.

E ancora, più esami e consulenze si richiedono più aumentano i tempi del ricovero, più aumentano i costi del ricovero, più gente staziona in Ps in attesa di un posto, più i Drg si impallano, più aumenta il debito, più si continua a tagliare sui fondi e, alla fine, meno risorse ci sono per le necessità della popolazione, come l’acquisto dei farmaci o la sostituzione di strutture obsolete. Diventa un gatto che si morde la coda (l’avete mai visto un gatto che cerca di mordersi la coda? E’ l’emblema di un movimento afinalistico e improduttivo) Senza pensare che alcuni esami non sono scevri da rischi e complicanze. Chi è stato vittima ingiusta di una denuncia vede stravolta la sua vita, passa notti insonni, spende migliaia di euro per difendersi e quando, dopo anni e anni, al termine di lunghissimi, costosi e inutili processi, viene finalmente scagionato (perché nella maggior parte dei casi è così) non è più lo stesso di prima. Il giudice si sarà sostituito a Ipocrate nella condotta di quel medico. Ecco, mi piacerebbe che un giorno si potesse tornare a lavorare con serenità: con diligenza da parte nostra ma anche con la collaborazione dell’utenza. Che ci possa essere un po’ più di senso civico e un po’ meno egoismo, maturando la consapevolezza che l’ospedale è un po’ come un bel parco il cui verde va rispettato e tutelato, perché tutti potrebbero averne bisogno.
Ma mi piacerebbe anche essere alta 1.80, vincere lo Strega e conoscere i due liocorni.
Quindi, per ora, continuo a confrontarmi con la realtà e a “resistere“ ogni giorno.